Avevamo lasciato il quindicesimo Dottore (incarnato da Ncuti Gatwa) e la sua nuova companion Ruby Sunday (interpretata da Millie Gibson) alla fine dell’ultimo Special di Natale, The Church on Ruby Road, pronti a lanciarsi in mille avventure nella attesissima Prima stagione del Moderno corso dalla saga. Una saga che approfitta dello slancio datole dall’apporto disneyano per un effettivo reboot, pur restando fedeli alla canonicità delle stagioni precedenti, senza tradire il pubblico storico ma anche alla ricerca di una nuova fetta di mercato, la più ampia possibile.
Dopo lo straordinario trittico di Speciali con David Tennant di cui abbiamo potuto godere alla fine dello scorso anno e il già citato – e godibilissimo – Speciale di Natale eccoci dunque alla prova del fuoco, con i primi effettivi episodi seriali del nuovo Doctor Who, che abbiamo potuto visionare in anteprima per voi.
Il dittico di episodi con cui si riparte si intitolano Space Babies (La stazione spaziale dei bambini) e The Devil’s Chord (Il maestro) e sono molto distanti l’uno dall’altro, per tematiche, ambientazione e anche resa generale. Andranno in onda, insieme, prima sulla BBC e subito dopo su Disney+ (anche nel nostro Paese), l’11 maggio.
Doctor Who: Space Babies (La stazione spaziale dei bambini)
Si parte all’avventura sul rinnovato Tardis, andando prima nella preistoria – per un’interessante parentesi sull’effetto farfalla – e poi nel distante futuro, ritrovandoci su una stazione spaziale in disuso solo apparentemente disabitata: difatti, nella stiva si aggira un singolare mostro dalla “inusuale” composizione, mentre in plancia ritroviamo un equipaggio composto da… bebé, che si aggirano con dei passeggini a motore e l’intelligenza di bimbi di sei anni. Qual è il segreto dell’astronave e come salverà, ancora una volta, la situazione il nostro Doctor?
Si tratta di una puntata di evidente messa in moto e rodaggio, in cui si danno agli spettatori tutti i riferimenti che servono loro per appassionarsi alle vicende dei due protagonisti, senza particolari guizzi di alcun tipo: né a livello di storyline né tanto meno a livello tecnico. In verità, dopo i quattro speciali di fine anno, appare quasi povero a livello di contenuti e messa in scena, andando tra l’altro a riportarci su un’astronave alla deriva a così poca distanza dalla precedente, anche se con un afflato decisamente meno horror. Un passo indietro? Un filler? Non proprio, perché in realtà, per quanto potrebbe risultare superflua come operazione, funziona molto bene e gli infodump non solo sono ben dosati (pur essendo molti) ma risultano anche iconici: il Dottore che spiega a Ruby la sua vita e perché la fa (trovate la clip in calce) è irresistibile, sia per una ottima formulazione delle battute sia per il carisma invincibile di Gatwa. Inoltre, è una volta di più un’opportunità per veicolare in maniera semplice e cristallina un messaggio formativo e di accettazione dell’altro importante.
Doctor Who: The Devil’s Chord (Il maestro)
Dopo un antipasto piacevole ma sottotono rispetto alle aspettative si torna a far sul serio, con un episodio che innalza la narrazione a più livelli: Ruby esprime di andare a curiosare dalle parti di Abbey Road, per essere testimone della registrazione dei primi successi dei Beatles. Si ritrovano, tuttavia, in un 1963 diverso da come se lo aspettavano, soprattutto perché non solo i Fab Four non sono all’altezza delle aspettative e si trascinano nel registrare canzonette senza valore, ma ogni afflato di artisticità e passione è scomparso dalla “musica”, per colpa del villain dell’episodio, il Maestro (portato in vita da un’impagabile Jinkx Monsoon, star di RuPaul’s Drag Race), che ha il potere di manipolare suoni e musica e intende eliminare ogni forma di afflato artistico (di cui, in sostanza, si nutre) dalle composizioni umane, condannandoci a un’esistenza sempre più triste e sull’orlo dell’estinzione. Si tratta di una battaglia che il Dottore teme fortemente di perdere, memore di quella che lo ha costretto alla Bigenerazione…
There’s always a twist in the end
Non diremo altro sulla trama, perché è il caso che scopriate da soli le tante sorprese in serbo, ma c’è davvero tanto sul piatto, facendoci una volta di più vedere come Russell T Davies sa benissimo dove vuole andare a parare, con un colpo al cerchio (il passato) e uno alla botte (il rinnovato futuro).
L’episodio presenta un villain ben pensato e che pone nuove basi per una narrazione orizzontale efficace; e a proposito di questo, abbiamo già da ora la conferma che Ruby lascerà il segno come Companion, dato che effettivamente c’è qualcosa di inusuale – oltre che misterioso – in lei, come confermato recentemente dallo stesso showrunner, stimolando la nostra curiosità in merito.
Si tratta di un bell’episodio, tuttavia, già dal concept, che riprende l’idea dell’importanza di fare Arte (non solo Musica, verrebbe da dire, anche se in questo caso è l’esempio principe) per elevarci e non abbandonarci al grigiume di una vita spenta e banalizzata. L’idea del “il mondo sarebbe diverso senza Yesterday” l’abbiamo già vista nel film di Danny Boyle, ma qui è tutto più focalizzato e il non-utilizzo dei celebri brani del gruppo di Liverpool non è solo un “trucchetto” per risparmiare ma un punto di partenza per esplorare un concetto.
Naturalmente l’utilizzo dei quattro è strategico e fa parte della lore stessa della saga, che li ha visti coinvolti in diverse occasioni in passato. Non è solo perché sono il gruppo musicale britannico più famoso di sempre (e quindi perfetti per apparire nello show del “supereroe” britannico più famoso di sempre) ma è proprio per recuperare la tradizione che vede il quartetto tornare, di tanto in tanto, nelle storie del Dottore, in un modo o nell’altro. Il 1963, difatti, è anche l’anno in cui la primissima versione di Doctor Who arriva sugli schermi, oltre a una data importante per i Beatles, che già in quell’anno avrebbero dovuto apparire, in versione anziana ma ancora in vena di performance, in un episodio ambientato negli anni ’90. Pura avanguardia che non si realizzò, dando tuttavia il là a tutta una serie di fun fact specifici coi legami tra i quattro e il Doctor, che qui trovano, a modo loro, un vero e proprio compimento.
Dopo aver visto i primi due episodi della nuova serie regolare, insomma, siamo quasi frastornati dalla roboanza che, se vuole, Davies può mettere in atto, accentuando le caratteristiche cardine del personaggio e facendole entrare in risonanza col vasto universo che gli ruota attorno. Questo anche grazie a un livello tecnico superiore rispetto al passato e all’apporto di un cast in parte e sempre eccellente. Non vediamo l’ora, in sostanza, delle prossime puntate, perché anche il punto più basso toccato da questo nuovo corso è comunque di livello medio-alto per questo genere di produzioni… senza calcolare che, comunque, di Dottore ce n’è uno solo!