Al termine di quello che potrebbe essere il primo (doppio) passo (si vocifera infatti che ci saranno altri 4 capitoli) del nuovo universo cinematografico, ma con sede Netflix, di Zack Snyder, possiamo affermare oltre ogni ragionevole dubbio che esso sia lo specchio perfetto di limiti, pregi e, soprattutto, interessi della visione artistica e progettuale del cineasta statunitense, al momento in uno stato di confusione evidente e di certo non aiutato dalla libertà praticamente assoluto che gli è stata donata.
Nella recensione di Rebel Moon – Parte 2: la sfregiatrice, disponibile in streaming dal 19 aprile 2024, ci troviamo, infatti, di fronte ad un film già condannato perché totalmente dipende del precedente (qui la nostra recensione), che però è stato praticamente nullo in ogni senso, dal ritmo alla resa visiva, dalla costruzione dell’immaginario all’intreccio. Purtroppo a ben poco è servito a Snyder il fatto di essere stato stavolta minimamente più a fuoco.
Un problema enorme che in questo caso non ha fatto altro che diventare più evidente, rendendo vano il troppo basilare ma pur individuabile scheletro dell’universo in cui la saga si svolte, così come il sottotesto che dovrebbe donargli il senso tematico. Per dirla semplicemente, Rebel Moon – Parte 2 avrebbe dovuto basarsi su un legame costruito con il pubblico nella Parte 1, ma questo legame non c’è. Passo indietro clamoroso per un regista che ha affrontato il team building spesso nei suoi ultimi film, dando in questa creazione il peggio di sé, al punto da vanificare gli sforzi di Sofia Boutella, Djimon Hounsou, Ed Skrein, Michiel Huisman, Doona Bae, Staz Nair, Fra Fee e Elise Duffy, praticamente abbandonati a loro stessi.
Quello che rimane è l’idea di epicità ad ogni costo e la dimensione sacrale dei protagonisti di Snyder, della loro missione e di ciò che rappresenta. Una serie di giustapposizioni cinematografiche (spesso malconcepite) per ricreare sequenze o immagini impregnate di eroismo, titanismo e romanticismo, ma di narrazione, coerenza, legame semantico neanche l’ombra, al punto che ci si chiede se il regista si ricordi cosa significhi fare cinema.
Villaggi di fango contro grandi città
Il sottotesto politico e sociale di Rebel Moon – Parte 2: la sfregiatrice è talmente semplice e chiaro sin dal titolo della saga che non si capisce come sia possibile che Snyder abbia pensato di sottolinearlo nuovamente dopo il primo film.
Eppure la prima mezzora di questo nuovo capitolo è rivolta ad una sintesi mal scritta e mal inserita del “dove eravamo rimasti” con tanto di flashback ulteriori per far luce ancora sul passato dell’allegra combriccola per poi soffermarsi ancora una volta su come il lavoro agricolo (“lavorare la terra”), quello frutto del sudore della fronte, della collettività e dell’assenza di gerarchie, sia l’unica difesa legittima contro ogni tipo di dittatura. Il tutto in ralenti, se possibile.
Un messaggio già inviato e tra l’altro abbastanza in contrapposizione per un regista che ha anche in questo caso al centro del suo pensiero cinematografico la dimensione virile, testosteronica (anche quando c’è una donna protagonista) e patriottica. Magari Snyder è cambiato sul serio, pensate all’orribile scena di sesso in 300 e che qui invece, pur essendo logica in sceneggiatura, abbia invece deciso di saltarla a piè pari.
Il resto è la messa in scena di una battaglia tra un villaggio di fango e hipster contro l’esercito super tecnologico in cui ritroviamo tutte le commistione e la natura derivativa del titolo, dall’idea di partenza che è praticamente copia carbone de I sette samurai di Akira Kurosawa alla messa in scena, che è un miscuglio snervante di tanti altri immaginari (stavolta al western al sci-fi si aggiunge un’idea di war movie più duro e puro). Tutti insieme per forza, senza trovare mai uno straccio di armonia.
Snyder sta sabotando Snyder
Ancora una volta la bontà del lavoro di Zack Snyder si può riassumere nella sintesi dell’immagine, che è ciò per cui il cineasta di Green Bay gira i suoi film, ma è ovvio che questo non può bastare, lo sà bene anche lui e in passato lo ha dimostrato. Il suo errore in questa saga infatti non è solamente di ideazione di una struttura cinematografica, ma anche di grammatica.
Lo si vede perché vuole parlare allo spettatore come se si fosse già costruito un legame con esso, pretendendo un trasporto che non può essere raggiunto perché non si sono mai create neanche le basi per fare in modo che ciò accada. Anzi, il dubbio in chi guarda è che a Snyder interessi sul serio comunicare in qualche modo con lo spettatore, dal momento che se fosse stato un suo pensiero allora avrebbe fatto il primo passo, che nel cinema, anche il più teorico, significa far vivere ciò che si mette su schermo.
I personaggi non sono scritti, le loro storie non sono credibili e l’intreccio all’interno del quale girano, si muovono, combattono, si innamorano o muoiono non è praticamente mai convincente. Questo porta ad una serie di equivoci linguistici, che si vedono nelle ripetizioni e nell’eccessiva didascalia (i famosi flashback che intasano il minutaggio di questo film e del precedente) che finiscono per appesantire la narrazione e spezzare il ritmo della pellicola, che man mano si sfalda, depotenziando ulteriormente dei nodi già molto fragili.
Al centro dei deficit di Rebel Moon – Parte 2: la sfregiatrice (anche se, come già detto, la colpa maggiore è nella Parte 1, che è la matrice di provenienza) c’è però un altro fraintendimento, o meglio, il più grande fraintendimento fra tutti: pensare di essere riusciti a fondere stile e contenuto. Sì, perché, anche leggermente meno rispetto alla pellicola precedente, anche stavolta la firma “snyderiana” è poco amalgamata con il conteso e il tono della narrazione del film, al punto da risultare un ostacolo ad una narrazione più funzionale, fluida e coinvolgente. La fotografia, il montaggio, le scelte di regie, la direzione attoriale, la scenografia e addirittura il lavoro sugli effetti speciali, insomma, tutto l’ensemble dei comparti tecnici, è incredibilmente deficitario, approssimativo. Questo rischia di far cadere anche il nucleo del cinema del regista, ovvero la creazione dell’immagine, in un film in cui sembra appena migliore.
Rebel Moon – Parte 2: la sfregiatrice è disponibile su Netflix dal 19 aprile 2024.
Rebel Moon - Parte 2: la sfregiatrice vive dei deficit e i fraintendimenti del primo capitolo, pagando, nonostante il suo essere più centrata rispetto a quest'ultimo, lo scotto di basarsi troppo su di esso, evidenziandone così i grandi problemi progettuali della saga. Il problema dell'universo di Zack Snyder e Netflix è infatti nella voragine di credibilità e coinvolgimento nella costruzione di personaggi e immaginario, il che non fa altro che rendere lo stile del regista un ostacolo alla narrazione. In questo caso si rivede un'interesse per la creazione dell'immagine cinematografica il giusto per farci capire che potrebbe essere un peccato che tutto il resto lo renda uno sforzo vano.
- Il peccato è che più a fuoco della Parte 1, ma si basa troppo su di essa per uscire indenne in qualche modo.
- Si rivede l'interesse per la creazione dell'immagine.
- Basato su un equivoco.
- Malgirato, montato e messo in scena.
- Gli attori sembrano abbandonati a loro stessi.