Ridley Scott è un nome curiosamente ostico da inquadrare per un’analisi oggettiva del suo status nella Storia del cinema contemporaneo. Pur essendo sicuramente annoverabile tra i grandi cineasti che hanno cambiato il linguaggio nell’ultimo mezzo secolo, non tanto per una produzione filmica passata a rincorrere il tempo perso (prima pellicola a 40 anni), quanto per la sua continua sperimentazione, egli non ha mai beneficiato di una considerazione unanime. A dir la verità né da parte della critica e né da parte del pubblico. Il suo peccato originale è quello di essere un grande autore che ha strizzato spesso e volentieri l’occhio ad un proposito più commerciale (come se questo possa essere qualcosa di cui vergognarsi), spesso adottando anche un’ironia grottesca e senza mettere in primo piano tematiche sociali e politiche (che comunque ci sono). Quello che però non è questionabile è la sua enorme sapienza nell’uso dell’immagine.
È bene iniziare da questo dato la nostra recensione di Napoleon, il nuovo film di Scott prodotto da Apple TV e in sala da noi dal 23 novembre 2023 con Eagle Pictures, perché quello che domina le oltre 2 ore e mezza (a fronte delle 4 della director’s cut) di questa epopea che narra di uno dei più grandi condottieri di sempre è la manipolazione della sua rappresentazione e, di riflesso, della rappresentazione del mondo e dell’epoca in cui ha vissuto e che ha, indelebilmente, segnato.
Ridley Scott è un nome curiosamente ostico da inquadrare per un’analisi oggettiva del suo status nella Storia del cinema contemporaneo.
La pellicola scritta da David Scarpa (già sceneggiatore di Tutti i soldi del mondo nonché penna de Il Gladiatore 2) con protagonisti Joaquin Phoenix e Vanessa Kirby è infatti una sorta di kolossal al contrario, che se da una parte segue quasi pedissequamente le canoniche tappe di una figura storica alla Bonaparte (ascesa, successo, caduta e morte), sottolineate da una messa in scena di altissimo livello, dall’altra si preoccupa di svuotarle di una reale epicità, respingendo volutamente lo spettatore dai personaggi. Questo pone il film all’interno di una curiosa via di mezzo che lo porta ad essere fuori dal tempo, a metà tra classico e contemporaneo e a metà tra ricostruzione storica formato entertainment e sua parodia.
In mezzo c’è tutta l’ossessione estetica di Scott, che, da regista enormemente sapiente dell’uso dell’immagine, si diverte a giocare con il campo e il fuoricampo e la destrutturazione e ricostruzione degli spazi, siano essi quelli dei palazzi francesi oppure degli enormi campi di battaglia.
Napoleone il bruto
Nel pieno successo della Rivoluzione Francese guidata da Maximilien de Robespierre Parigi è una polveriera. Una fornace che ribolle, corrotta da quei sacri valori di libertà, fraternità e uguaglianza che aveva portato molti a ribellarsi, ma che ora alimentano solo una sete di potere di pochi, incensata da una continua voglia di sangue che si nutre di teste nobiliari mozzate.
In questo marasma vince la lucidità di chi riesce a prevedere il futuro, come Napoleone Bonaparte (Phoenix). Già all’epoca sotto scacco dell’imperante ambizione materna, il capitano riesce con un piano straordinario a rompere l’assedio inglese a Tolone, in modo da infliggere un duro colpo ai realisti e a permettere alla “democrazia” di vincere definitivamente. Nel battesimo del fuoco (un topos scottiano) il piccolo militare di umili origini, ma di grande intelligenza strategica, diventa presto una rockstar, tanto da meritarsi le attenzione di donne bellissime, come Giuseppina (Kirby).
Nel pieno successo della Rivoluzione Francese guidata da Maximilien de Robespierre Parigi è una polveriera.
La ragazza, liberata dopo la caduta di Robespierre, ritorna a corte, dove riesce ad accalappiare un Napoleone grazie alla sua ossessione di possedere le qualità nobiliari che non saranno mai sue per diritto di nascita, nonostante egli sarà presto il simbolo di un potere assoluto, nato dal rovesciamento di ciò che per primo ha mosso i fuochi rivoluzionari, i quali hanno spodestato un re per ritrovarsi un imperatore. Uno di quelli che però ha bisogno di far presente il proprio rango agli astanti urlandolo con voce stridula, tradito dalla moglie sin dalla prima notte di nozze, desideroso di vincere un infantile gioco di potere, prima con lei e poi con i sovrani del resto del mondo.
Com’è costume dei personaggi di Scott egli riesce a dare il meglio di sé quando accetta la sua dimensione, tant’è che le grande strategie e le grandi vittorie hanno umili origini come le sue, trovando le proprie radici in una supervisione fatta vestendosi da straccione o nell’approfittarsi della superbia dei sangue blu, che si considerano esperti e facoltosi per grazia divina. Peccato che nel privato egli torni ad essere un bruto vestito di abiti splendenti.
Una messa in scena portentosa
Nella messa in scena di Napoleon troviamo molta della potenza cinematografica di Ridley Scott, il quale rispolvera le sue forme e i suoi colori canonici (c’è il solito deserto, non solo quando Bonaparte è ritratto nella sua campagna egiziana), che deflagrano nelle sequenze notturne tinte di rosso e blu e negli improvvisi chiarori mattutini, che richiamano quando l’empireo accecante quando una disabitata luminosità, dove i personaggi diventano proiezioni. C’è tanto di biblico nel kolossal del cineasta britannico, tra l’inferno peccaminoso delle corti parigine e il sacro furore delle battaglie.
Proprio in queste ultime è rintracciabile l’incredibile capacità di Scott di gestire gli spazi sopracitati, in mezzo ai quali gli eserciti scompaiono e poi ricompaiono, si perdono, fuggono, si intrappolano, si dimenano. Dove il numero dei cannoni, della fanteria o della cavalleria non contano più perché sottomessi alla capacità di chi sa come sfruttare l’area, quasi in modo matematico. Capacità resa ancora più difficile dal fatto che gli spazi da prendere in considerazione hanno una vita e una volontà loro al centro delle quali c’è spesso l’acqua, che il cineasta britannico eleva ad oggetto cinematografico determinante.
C’è tanto di biblico nel kolossal del cineasta britannico, tra l’inferno peccaminoso delle corti parigine e il sacro furore delle battaglie.
Nel portare in scena il privato di Napoleone Scott invece dipinge, rifacendosi dal neoclassicismo francese (metà 1700) e da un’estetica che rimanda a Barry Lyndon di quel Kubrick che tra i suoi progetti incompiuti ne aveva proprio uno su Bonaparte. Dal film del 1975 il cineasta inglese pesca anche quelle geometrie e quei labirinti perfetti contraltari del percorso dell’ambizioso protagonista, che a sua volta con il personaggio interpretato da Phoenix qualcosina in comune ha.
Un mix particolare che porta Napoleon fuori dal tempo, testimoniato anche da un registro musicale fatto da canti popolari, ma anche da brani distanti anni luce. Una diversità la cui spiegazione si stacca dalla semplice funzione diegetica di accompagnamento.
Imperatore e imperatrice
Da racconto soggettivo e interno alla storia (addirittura di costruzione epistolare), Napoleon ha il suo centro nevralgico nel rapporto tra i suoi due imperatori. Legati indissolubilmente l’uno all’altra al punto tale che il medesimo destino si presenta prima a lei e poi a lui, sotto forma di quell’esilio voluto dalla società in cui hanno vissuto.
Nel riprendere il suo aspetto più hitchcockiano, Scott gioca con il campo e il fuori campo, finendo però con il mortificare il personaggio di Giuseppina, inquadrata solamente come una martire misera (quindi neanche possibile oggetto di pietà alcuna) e indicata come parte forte di questo gioco al predominio con il suo sposo per motivi che però non ci è permesso vedere. Noi siamo sempre dalla parte di Napoleone, anche quando leggiamo le parole di lei. La sua figura cambia davanti ai nostri occhi nella misura in cui cambiano gli occhi del mondo verso l’imperatore, ingabbiato in questo morboso complesso freudiano verso le donne della sua vita: la Francia, la madre e lei.
Legati indissolubilmente l’uno all’altra al punto tale che il medesimo destino si presenta prima a lei e poi a lui, sotto forma di quell’esilio voluto dalla società in cui hanno vissuto.
Il Napoleone di Phoenix è un rozzo minuto omuncolo, che fa le smorfie, che è poco dotato, che scappa dai burocrati, che si addormenta quando gli parlano di politica, che sbuffa, si scoccia e sbatte i piedi. Il grandissimo interprete si piega su se stesso, cercando nei meandri del suo lato più infantile il modo di mettere in scena un neo Cesare che è parodia della grandezza dei suoi idoli e forse anche parodia del suo contraltare reale.
Non ammette mai un errore, ambisce solamente alla perfezione e si vanta di essere destinato ad una grandezza senza pari, ma tiene soprattutto ad essere l’eroe del popolino. Ciononostante non lo vediamo mai disperato in modo maturo e consapevole, come se non potesse neanche essere all’altezza di una tale complessità. Il suo impegno sta nel vincere una puerile gara machista, quando ciò che lo eccita è in verità la sottomissione.
Napoleon si annovera così nella lista dei film che hanno trattato il tema del superomismo, tracciando profili di dittatori in modo tale da evidenziarne la pericolosità (i morti che si sono lasciati alle spalle) attraverso la messa in ridicolo, la decostruzione, la distruzione del mito attraverso il grottesco, l’esasperato. Una scelta di tono delicata e che a volte non è centrata.
Napoleon arriva al cinema dal 23 novembre 2023 con Eagle Pictures.
Napoleon è il nuovo kolossal di Ridley Scott, prodotto da Apple TV, e con protagonisti Joaquin Phoenix e Vanessa Kirby. Più che un kolossal, quasi una sorta di una sorta di kolossal al contrario, che rispetta le classiche tappe di una figura storica come quella del condottiero francese, preoccupandosi però di svuotarle di una reale epicità, respingendo volutamente lo spettatore dal personaggio principale, reso in modo rozzo e rozzo grottesco, quasi denigratorio. Un registro delicato che spesso porta fuori giri il film, a metà tra ricostruzione storica formato entertainment e sua parodia. In mezzo c'è l'estetica di Scott, che fa valere la sua incredibile conoscenza nell'uso dell'immagine, giocando con campo e fuoricampo e destrutturando e ricostruendo gli spazi, siano essi quelli dei palazzi francesi oppure dei campi di battaglia.
- La messa in scena, dai costumi alla fotografia.
- L'equilibrio dei toni del film, quando si raggiunge.
- L'uso e la gestione degli spazi, soprattutto nella ricostruzione delle battaglie.
- Il campo e il controcampo penalizza Giuseppina.
- I toni del film spesso non sono in equilibrio.
- Ci sono dei momenti di stanca del film, che non permettono di centrare tutti i punti tematici.