Gli organismi che popolano il mare includono i vermi marini che appartengono alla classe Polychaeta e sono anellidi dai colori accesi, iridescenti o luminescenti. Questi vermi marini presentano diverse forme e comportamenti, ma sono tutti accomunati dai tipici parapodi, ossia sporgenze carnose che si trovano su ogni segmento corporeo e sono ricoperte di setole di chitina. I parapodi sono utili al movimento e alla respirazione.

La lunghezza dei policheti è solitamente inferiore ai 10 centimetri, ma può variare da 1 millimetro ai 3 metri. Esternamente, il loro corpo presenta un epitelio colonnare semplice avvolto da una cuticola sottile. Sono dotati anche di uno strato di tessuto connettivo, uno strato di muscolo circolare, uno strato di muscolo longitudinale e un peritoneo che cinge la cavità corporea. Presentano due mascelle e una faringe che viene velocemente rovesciata per alimentarsi. Si nutrono di erbivori, predatori, parassiti, spazzini e filtratori.

Sono più di 10.000 le specie di vermi marini appartenenti ai policheti che vivono nelle profondità oceaniche, riuscendo a sopravvivere a qualsiasi temperatura, sia a quelle molto fredde degli abissi che a quelle caldissime nei pressi delle sorgenti idrotermali. Il loro sistema circolatorio è semplice e include vasi sanguigni contrattili. Alcune specie hanno anche un cuore strutturato in maniera essenziale. Presentano un sistema nervoso ben strutturato in confronto a quello di altri anellidi, con un cervello di grandi dimensioni e organi sensoriali, tra cui occhi e statocisti.

Per quanto riguarda la riproduzione, molte specie esibiscono bioluminescenza, mentre alcune utilizzano occhi complessi dalla visione evoluta. Ed è proprio sulla riproduzione, e sui cicli che ne sono coinvolti, che si è focalizzato uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e condotto dall’Università Johannes Gutenberg di Magonza (JGU).

Lo studio sui vermi marini

I ricercatori si sono focalizzati sul verme marino Platynereis dumerilii e sulla proteina crittocromo atipica (Cry), che questi vermi utilizzano per regolare il loro calendario lunare interno con le fasi lunari. Queste ultime sono essenziali per i cicli riproduttivi degli organismi marini, che sono allineati alla luna piena, in base ad un calendario mensile interno o un orologio circalunare. Una proteina Cry specializzata, nota come L-Cry, serve al Platynereis dumerilii per distinguere la luce solare dalla luce lunare e dalle varie fasi lunari.

Attraverso la piattaforma di microscopia crioelettronica dell’Università di Colonia, i ricercatori sono riusciti ad osservare la struttura tridimensionale della proteina L-Cry in diverse condizioni di illuminazione. Insieme all’analisi strutturale, sono state effettuate indagini biochimiche presso l’Università di Magonza. I ricercatori hanno scoperto che la disposizione spaziale della proteina L-Cry alla luce è diversa rispetto a quella osservata in altre proteine Cry. Inoltre, i cambiamenti indotti dalla luce conducono L-Cry in direzioni opposte da quelle di altre proteine Cry.

In condizioni di buio, la proteina L-Cry crea un dimero, cioè due subunità tra loro collegate. Invece, quando la proteina si trova esposta ad un’intensa luce solare, si scinde in monomeri, ossia in singole subunità. Queste scoperte ci consentono di comprendere meglio il modo in cui L-Cry funge da fotorecettore, distinguendo questa da altre proteine ​​Cry che hanno diverse funzioni, tra cui l’analisi del campo magnetico terrestre negli uccelli.

Le dichiarazioni degli studiosi

I nostri risultati potrebbero spiegare come L-Cry riesca a distinguere tra luce solare e luce lunare: la luce solare intensa attiva sempre entrambe le subunità del dimero contemporaneamente, il che avvia la sua scomposizione in singole subunità. La luce lunare significativamente più debole, tuttavia, statisticamente attiva solo una delle due subunità. Le nostre indagini hanno fornito nuove importanti informazioni su come funziona questo insolito recettore della luce solare e lunare. Inoltre, le nostre intuizioni strutturali e meccanicistiche molecolari sulla funzione di L-Cry hanno aperto future strade di ricerca che dovrebbero aiutarci a comprendere meglio i processi molecolari ancora in gran parte sconosciuti coinvolti nella sincronizzazione dell’orologio circalunare con le fasi lunari.

Eva Wolf, professoressa dell’Istituto JGU di fisiologia molecolare, che ha condotto lo studio

 

Lavorare con proteine ​​sensibili alla luce è sempre una sfida. Quando prepariamo le proteine ​​L-Cry per l’analisi, dobbiamo eseguire tutti i processi sperimentali al buio o in condizioni di luce rossa specificatamente definite per evitare la preattivazione involontaria di queste proteine ​​molto sensibili alla luce. Per la caratterizzazione funzionale di L-Cry, è anche necessario utilizzare condizioni di illuminazione simili alla luce solare naturale subacquea e all’illuminazione al chiaro di luna del tipo che i vermi setole incontrano nel loro habitat naturale. Solo allora potremo confrontare le proprietà specifiche di L-Cry nel suo ruolo di recettore della luce solare e lunare con quelle di altri criptocromi.

Hong Ha Vu, dottorando e collaboratore dello studio