Quando si pensa alle ultime battute (e forse in questo caso parliamo proprio dell’ultima) di un leggendario cineasta giunto ormai al termine della sua carriera, la mente viaggia facilmente verso pellicole testamento o film summa del proprio lavoro o, ancora, titoli di commiato per lanciare un’ennesima provocazione alle generazioni future. Poi c’è Roman Polański. Il regista, arrivato alla veneranda età di 90 anni e a quota 24 pellicole, alla fine di un percorso personale che ha fatto la Storia del cinema nell’ultimo mezzo secolo, presenta, Fuori Concorso, all’80esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, un film che è una repulsione (cit.) verso la realtà cinematografica contemporanea e forse anche verso la critica, che l’ha condannato e che l’ha messo da parte (culmine è stato l’ostracismo verso un capolavoro come L’ufficiale e la spia).

Nella recensione di The Palace, nelle sale italiane dal 28 settembre 2023 con 01 Distribution, parliamo dell’atto di ribellione di un regista che abbrutisce un genere molto in auge negli anni ’90 nel cinema europeo come il Cinepanettone, riprendendo anche un immaginario da lui già affrontato (si può pensare al delirio grottesco della borghesia di Che? o al punto di vista adottato in Per favore non mordermi sul collo), solo per riportare in vita una galleria di volti e personaggi nel nuovo millennio.

Quando si pensa alle ultime battute (e forse in questo caso parliamo proprio dell’ultima) di un leggendario cineasta giunto ormai al termine della sua carriera, la mente viaggia facilmente verso pellicole testamento o film summa del proprio lavoro o, ancora, titoli di commiato per lanciare un’ennesima provocazione alle generazioni future. Poi c’è Roman Polański.

Un ensemble volgare, orrido e repellente che, nonostante venga così com’è portato su schermo, non viene quasi mai attaccato, anzi, alla fine della fiera viene visto quasi con simpatia e un certo pietismo. Nel metterlo in scena Polański decide di collaborare con Jerzy Skolimowski, rinnovando il duo da cui scaturì Il coltello nell’acqua, sua opera prima. Un altro indizio sul possibile termine della sua produzione filmica?

Non c’è satira sociale, non c’è lotta di classe, non c’è Östlund (anche se i meccanismi sono di un “grezzume” similare) e, nella maniera più assoluta, non c’è Ferreri, ma c’è una rievocazione del kitsch, del vecchio, del passato e del superato, che però è confortevole e immortale. Nel cast corale troviamo Oliver Masucci, Fanny Ardant, John Cleese, Mickey Rourke, Fortunato Cerlino e Luca Barbareschi.

Capodanno 1999

Gstaad, Svizzera, 31 dicembre 1999. Al The Palace Hotel si terrà la solita festa di capodanno per i suoi ospiti, tutti provenienti dall’altissima borghesia europea e non. Marchesi e marchese, star del porno, imprenditori, ereditieri, banchieri, politici, criminali e chirurghi plastici. Tutti orribili, tutti scorretti, tutti superficiali, vuoti e insopportabili.

C’è Putin in televisione che eredita il potere da Borís Él’cin, somme ingenti accatastate in gran segreto all’interno di casseforti improvvisate, figli non riconosciuti che inseguono padri col parrucchino, pinguini per celebrare anniversari di nozze e cani che mangiano caviale e hanno vermi nelle feci. Buon Duemila a tutti.

Sullo staff dell’hotel, capeggiato dal direttore Hansueli (Masucci), piovono qualsiasi tipo di richieste, sempre più assurde man mano che l’albergo va riempiendosi, in attesa di passare una notte su cui aleggiano diversi sentimenti e aspettative.

The Palace

Tutti orribili, tutti scorretti, tutti superficiali, vuoti e insopportabili.

Serpeggia infatti la paura di quello che all’epoca era vissuto come il famigerato bug tra molti degli ospiti e non solo, infatti anche tra i lavoratori c’è qualcuno che pensa di poter vivere l’ultima giornata prima della fine del mondo, a differenza dei ricchi ci va però incontro con una certa noncuranza e, anzi, quasi con un sereno accoglimento. Ovviamente per qualcuno potrebbe essere un’ultima notte, bisogna capire solamente la parola “ultima” a cosa potrebbe fare riferimento, ma per qualcun altro potrebbe segnare invece l’inizio di una nuova vita.

L’attesa della fine è vissuta con maggior trepidazione proprio dal direttore sopracitato, il quale, solo arrivato al termine del suo servizio, potrà finalmente rilassarsi e fumarsi un sigaro, anche rifiutandosi di ottemperare all’ennesima lamentela. Una piccola rivoluzione per lui.

L’abbrutimento dell’orrido anni ’90 oggi al cinema

Polański passò il capodanno del 1999 proprio nell’hotel protagonista di The Palace e si dice fosse da allora che aveva in mente di girare una pellicola su quella specifica notte del 31 dicembre.

Guardato in quest’ottica il film può essere effettivamente letto come una rievocazione biografica, che poi diventa storica anche in senso cinematografico, vista la riproposizione di un impianto di genere cristallizzato nel tempo e che vive nell’idea sempiterna di essere nato vecchio (dava questa sensazione già all’epoca del suo concepimento e forse proprio questo ossimoro alla base può essere la chiave del suo non passare mai realmente di moda). Non è un caso che il cineasta non si faccia nessun tipo di problema a riproporre i medesimi stereotipi, sia nelle gag, sia nella scrittura dei personaggi, sia nel modo di recitare, sia nei movimenti di camera e, infine, anche nella costruzione scenografica.

La linea sottile su cui vive questo tipo di pellicola è quella legata alla trattazione dell’orrido, che deve sempre mantenersi su una certa, ironica, accogliente pudicizia. Una locura disgustosa, ma così controllata da risultare, apparentemente, innocua.

Polański passò il capodanno del 1999 proprio nell’hotel protagonista di The Palace e si dice fosse da allora che aveva in mente di girare una pellicola su quella specifica notte del 31 dicembre.

The Palace

Il “rischio” del film del leggendario cineasta è quello di diventare un attacco ai protagonisti e a quello che rappresentano o di estremizzare così tanto il senso di disgusto che si vuole trasmettere allo spettatore fino a donargli un’importanza politica, magari lavorando per opposizioni e quindi rischiando di far intravedere una presa di posizione all’interno di un conflitto che non deve esistere in una pellicola del genere. L’unico leitmotiv deve essere la riproposizione della decadenza attraverso l’unico genere cinematografico che la può portare su schermo in modo scientifico. Tutto il resto è fuori contesto.

The Palace è un titolo che non deve avere cambio di passo, che deve astenersi da guizzi e che non deve andare mai incontro al contemporaneo, da cui deve invece rimanere necessariamente distaccato per giungere alla sua compiutezza. Deve salvare i sui personaggi, senza assolverli, ma semplicemente accompagnandoli verso il nuovo millennio, con tutto il loro bagaglio di orrido. Polański confeziona una pellicola inaspettata per il momento in cui arriva, ma che acquista un suo senso per il suo concepimento e per l’ottica personale con cui la pensa un autore rigettato da una realtà che ha contribuito a far progredire in tanti preziosi modi.

The Palace è disponibile nelle sale italiane dal 28 settembre 2023 con 01 Distribution.

60
The Palace
Recensione di Jacopo Fioretti

The Palace, la pellicola presentata Fuori Concorso a Venezia 80, potrebbe essere, di fatto, l'ultima fatica di un gigante del cinema come Roman Polański e il fatto che abbiamo deciso di ribaltare le aspettative che di solito serpeggiano intorno ad un film del genere è già interessante. Questo Cinepanettone perfettamente confezionato potrebbe essere visto come un lavoro di repulsione nei confronti di una realtà cinematografica che lo ha rigettato e con cui potrebbe aver scelto di accomiatarsi con la messa in scena scientifica della decadenza di un certa classe sociale immortale, attraverso un linguaggio nato vecchio e quindi cristallizzato nel tempo.

ME GUSTA
  • L'idea che un cineasta possa decidere di fare una pellicola così repulsiva a 90 anni.
  • La maestria con cui rispetta tutti i crismi del genere di riferimento.
  • La prova del cast, in linea con il registro che la pellicola esige.
  • I costumi, il trucco e la scenografia sono esempi perfetti del kitsch necessario.
FAIL
  • Una pellicola di un genere nato già vecchio, rispettato in tutti i suoi crismi.
  • Non è un titolo per chi cerca satira politica.
  • Forse chiediamo troppo, ma qualcosina in più di John Cleese ci avremmo sperato.