Che incredibile cambio di passo questo nuovo Rodrigo Sorogoyen, che ha rubato la scena alla 75esima edizione del Festival del Cinema di Cannes (fuori concorso, sezione Première), bissando l’interesse del 2022, tutto spagnolo, riguardo le storie dei microcosmi rurali (in questi anni poi, che strano, vero?), affrontato prima dall’Alcarràs di Carla Simón, vincitore dell’Orso d’oro nel febbraio dell’anno scorso. Un cambio di passo perché nel suo film forse meno eclettico e dinamico (persino il piano sequenza, tipico del suo cinema, è chiuso dentro un ambiente domestico) e più dispersivo nella sua collocazione spaziale, egli dimostra ancora una volta e ancora di più come la telecamera sia padrona totale dell’idea visiva. Il senso di innovazione del cinema del regista madrileno, che passa anche per la sua encomiabilissima capacità cinefila di scomporre e attualizzare delle tematiche del cinema autoriale degli anni ’70 (non possono non venire in mente per questo film le opere di Peckinpah o Boorman, che si occupavano del potere rivelatorio della “N”atura nei confronti della “n”atura umana), sta soprattutto in questa sua incredibile consapevolezza. Questa è una pellicola che piacerebbe a Hitchcock o De Palma, ecco.

Nella recensione di As Bestas (titolo internazionale: Beasts), nelle sale italiane dal 13 aprile con Movies Inspired e Lucky Red, vi parliamo di una delle visioni fondamentali dell’anno 2023 (da noi la pellicola esce con diversi mesi di ritardo rispetto alla sua presentazione festivaliera e la distribuzione estera), non a caso la pellicola è risultata anche vincitrice di nove premi Goya e un premio César come Miglior Film Straniero. E se fosse stata in concorso sulla Croisette chissà…

Una pellicola che piacerebbe a Hitchcock o De Palma, ecco.

Il suo è un film bellissimo perché pieno, totale, completo in tutti i suoi aspetti. Della regia abbiamo accennato qualcosa, straordinaria non solo per la ricercatezza diegetica di ogni inquadratura e ogni movimento di camera, ma anche per il ritmo che dona sin da subito al titolo, che inizia con un ralenti significativo e spiazzante (oltre che bellissimo). Possiamo però soffermarci con egual entusiasmo sulla fotografia con la quale viene concepito il micro-villaggio frammentato nel passare delle stagioni o sulla direzione attoriale, nella sua divisione tra montanari ed eruditi (chi è chi?), che guida le interpretazioni magnifiche di Denis Ménochet, Marina Foïs, Luis Zahera, Diego Anido e Marie Colomb. Per non parlare dell’incredibile maestria nell’uso di sonoro e musiche, che nel loro dosaggio risultano sempre rivelatorie, coinvolgenti e utili.

Anche se, a dire il vero, la forza motrice della pellicola di Sorogoyen rimane lo script firmato dal regista insieme a Isabel Peña, che hanno preso spunto da un terribile fatto di cronaca realmente accaduto (anche se in quel caso la coppia di stranieri era olandese) per tirare fuori un thriller animalesco, primordiale, viscerale e ruvido, ma allo stesso tempo di una eleganza e sottigliezza francamente sbalorditive.

 

Un villaggio eco-sostenibile

Antoine (Ménochet) e Olga (Foïs) sono una coppia innamoratissima che nella loro Francia ha condotto una vita piena e agiata (qualcosa viene lasciato intendere), tale da permettere loro di studiare e di viaggiare. È un sogno, un’idea, un mirabolante slancio del destino e dello spirito li ha condotti due anni fa in un piccolo e sperduto villaggio della Galizia.

Nonostante siano benvoluti da una consistente fetta della popolazione locale, per un’altra essi hanno tutto l’aspetto di una sorta di “conquistatori gentili”. I due sono approdati in loco non solo con la ferma intenzione di impegnarsi in una propria attività agricola, ma anche in una bonifica strutturale per la quale si sono presi la briga di rimettere in piedi gratis case in decadenza e, soprattutto, votare contro l’istallazione di alcune pale eoliche, che avrebbe fruttato molto a livello economico a tutti i contadini locali, permettendogli, in più, di lasciare le loro terre. Qui nasce il vero contezioso, una percezione divergente non solo per quanto riguarda il merito della votazione, ma anche a proposito del riconoscimento del pari diritto altrui ad esprimersi sulla questione.

Nonostante siano benvoluti da una consistente fetta della popolazione locale, per un’altra essi hanno tutto l’aspetto di una sorta di “conquistatori gentili”.

As Bestas

Una ferita comincia ad allargarsi, arrivando ad inglobare differenze etniche (lo straniero contro l’autoctono), ma addirittura culturali (un professore che per capriccio mette bocca in questioni che riguardano quelli che si sentono semplici contadini), tutte componenti che, anche grazie ad agenti esterni, contribuiscono ad una incompatibilità dilagante. Una di quelle che non permette nessun tipo di avvicinamento, non solo per disprezzo verso l’altro, ma anche verso se stessi (è meraviglioso il fatto che uno dei due fratelli che si oppone ad Antonie sia stato un tempo un bellissimo ragazzo, ora caduto in disgrazia per via di un incidente, mentre l’altro è stato spezzato dalla responsabilità familiare).

Insomma, una discordia che da esterna, logica, razionale e concettuale diventa epidermica, sedimentantosi sempre più in profondità, fino ad annullare qualsiasi ragionamento o sovrastruttura. Fino a tornare, appunto, alla dimensione bestiale.

Gli aloitadores

Gli aloitadores sono delle figure quasi folkloristiche nella Spagna galiziana. Essi si esibiscono durante la Rapa das Bestas, una celebrazione durante la quale lottano a mani nude con i cavalli per bloccarli, rasarli e marchiarli.

Sorogoyen parte da questo per esprimere il senso metaforico di ciò che mostrerà: una vicenda che prende piede in un paese isolato da tutto, spezzettato nella sua concezione visuale, diviso in pochi ambienti, quasi tutti selvaggi. Una dimensione western in nature, che si presta a trattato antropologico. Cornice che da ideale diventa inospitale a causa di uno scontro che a forza di includere qualsiasi tipo di differenza possibile arriva ad azzerare tutto e approdare all’odio puro. Come un bar in cui in un momento si beve e si gioca a domino e in quello dopo ci si ritrova gomito a gomito con qualcuno che vorrebbe spaccarti una bottiglia in testa.

Nella sua capacità di lavorare in antitesi, mostrando un fuoco che nasce e prende piega sottopelle, ma che fatica ad esplodere in superficie, As Bestas acquista una potenza e una tensione travolgente, gestita in un modo incredibilmente sapiente, coinvolgendo lo spettatore al punto di attrarlo in una catarsi continua, segnata, in più, da uno scontro ideologico (anche per gli strumenti con cui si combatte) in cui non c’è un vero torto o una vera ragione. L’insostenibile peso del conflitto.

Una dimensione western in nature, che si presta a trattato antropologico.

As Bestas

Arrivati al culmine il film cambia improvvisamente, virando, aprendo un nuovo capitolo proprio quando la natura umana si rivela, ma non per allontanarsi da essa, anzi, per scavare ulteriormente, approfondendo un aspetto opposto a quello di cui si è occupato finora. L’altro lato della medaglia (come può essere il femminile per il maschile) che però era osservabile, come sempre capita, nelle pieghe del suo opposto.

Dato per assunto che “l’amor che move il sole e l’altre stelle” del suo cosmo è l’esplorazione di ciò che porta gli uomini ad abbassarsi allo stesso piano degli animali, As Bestas decide di descrive questo processo prima tramite una violenza che nasce dall’incomunicabilità, anzi, dalla incapacità di adattarsi l’uno all’altro e quindi del sentimento ostile che cresce con la vicinanza. E in un secondo momento fa tutto l’opposto. Dopo essersi concentrati su come l’odio può dividere viene infatti messo in scena come esso possa unire, dimostrando che l’uomo è in grado di adattarsi sempre, anche grazie a ciò che in origine è stato il motivo della discordia. Ciò che ha reso casa un posto da cui voler fuggire può divenire ciò che più ti unisce ad essa. Un aspetto, questo, che nulla ha a che fare con gli animali e che, dunque, fa ancora più paura.

As Bestas è disponibile al cinema dal 13 aprile 2023 con a Movies Inspired e Lucky Red.

85
As bestas
Recensione di Jacopo Fioretti

As Bestas è la consacrazione di Rodrigo Sorogoyen, presentata incredibilmente fuori concorso Cannes75 nella sezione Cannes Première. Una pellicola che mischia sapientemente il genere western e thriller antropologico altamente simbolico, in cui la tensione è costruita in antitesi donando ad essa ancora più forza. Curato in ogni suo aspetto, dalla regia elegante, cinefila e mai manierista al montaggio ritmato e suadente, fino alla fotografia, il sonoro e la direzione attoriale, questo di Sorogoyen è un film che cambia, si trasforma, non si accontenta, sorprende, ma non risulta mai arrogante, giudicante o stucchevole. Un grande titolo, un grande lavoro. Tra le migliori visioni di questo 2023 italiano.

ME GUSTA
  • La sua straordinaria capacità di creare una catarsi continua con lo spettatore.
  • L'uso del sonoro, la direzione attoriale, la fotografia.
  • La capacità di rendere la telecamera sempre protagonista, come nei migliori thriller degli anni '70.
  • Il lavoro sulla violenza crescente mostrata in antitiesi.
  • Il ritmo straordinario e trascinante, fin dalla prima sequenza.
  • L'eleganza della costruzione narrativa, altamente significativa.
  • L'uso della dimensione e degli archetipi western.
FAIL
  • Un film emotivamente impegnativo, forse non adatto ad un pubblico ampio, ma che da tutti dovrebbe essere visto.