È noto da tempo che le infezioni virali possono essere più gravi nei maschi che nelle femmine, ma il perché è rimasto un mistero, forse fino ad oggi. Uno studio, pubblicato su Nature Immunology, condotto da ricercatori dell’Università of California- LOS ANGELES HEALTH SCIENCES, afferma che un gene extra legato al cromosoma X può spiegare la minore gravità dell’infezione virale nelle femmine. La chiave potrebbe risiedere in un regolatore epigenetico che potenzia l’attività di cellule immunitarie antivirali specializzate, note come cellule natural killer (NK). In particolare, i ricercatori hanno scoperto che le cellule NK femminili di topo (e anche quelle umane) hanno una copia in più di un gene legato al cromosoma X chiamato UTX. UTX agisce come regolatore epigenetico per potenziare la funzione antivirale delle cellule NK, mentre ne reprime il numero.
“È risaputo che i maschi hanno più cellule NK rispetto alle femmine, ma non capivamo perché il maggior numero di cellule NK non fosse più protettivo durante le infezioni virali. È emerso che le femmine hanno più UTX nelle loro cellule NK rispetto ai maschi, il che consente loro di combattere le infezioni virali in modo più efficiente”, ha dichiarato la co-autrice Maureen Su, professoressa di microbiologia, immunologia e genetica molecolare e di pediatria presso la David Geffen School of Medicine dell’UCLA. I ricercatori hanno osservato che ciò era vero indipendentemente dal fatto che i topi avessero o meno le gonadi (ovaie nelle femmine; testicoli nei maschi), indicando che il tratto osservato non era legato agli ormoni. Inoltre, i topi femmina con una minore espressione di UTX avevano un maggior numero di cellule NK che non erano in grado di controllare l’infezione virale. “Questo implica che UTX è un determinante molecolare critico delle differenze di sesso nelle cellule NK”, affermano i ricercatori. I risultati suggeriscono che le terapie che coinvolgono le risposte immunitarie devono superare l’approccio “a taglia unica” e passare a un modello di medicina personalizzata, in grado di personalizzare i trattamenti tenendo conto delle differenze individuali, come la genetica, l’ambiente e altri fattori che influenzano la salute e il rischio di malattia, scrivono i ricercatori. “Dato il recente entusiasmo per l’uso delle cellule NK nella clinica, dovremo incorporare il sesso come fattore biologico nelle decisioni di trattamento e nella progettazione dell’immunoterapia”, ha dichiarato il coautore Tim O’Sullivan, assistente alla cattedra di microbiologia, immunologia e genetica molecolare presso la Geffen School.