La microscopia crioelettronica eseguita, dai ricercatori dell’Università dell’Alabama a Birmingham, ha rivelato la struttura di un virus batterico con un dettaglio senza precedenti. Si tratta della prima struttura di un virus in grado di infettare lo Staphylococcus epidermidis. La possibilità di conoscere nel dettaglio, e ad alta risoluzione, questa struttura è un collegamento chiave tra la biologia virale e il potenziale uso terapeutico del virus per contrastare le infezioni batteriche.
Batteriofagi o “fagi” è il termine usato per i virus che infettano i batteri. I ricercatori dell’UAB, guidati da Terje Dokland, in collaborazione con Asma Hatoum-Aslan, dell’Università dell’Illinois Urbana-Champaign, hanno descritto modelli atomici per 11 diverse proteine strutturali del fago di nome Andhra. Lo studio è pubblicato su Science Advances. Andhra è un membro del gruppo dei picovirus. La gamma di ospiti che infetta è limitata a S. epidermidis, batterio della pelle per lo più benigno che, però, è anche una delle principali cause di infezioni di dispositivi medici. “I picovirus si trovano raramente rimangono poco studiati e poco utilizzati per applicazioni terapeutiche”, ha dichiarato Hatoum-Aslan, biologo fagico dell’Università dell’Illinois. Con l’emergere della resistenza agli antibiotici sia dello S. epidermidis che dell’agente patogeno correlato, Staphylococcus aureus, i ricercatori hanno rinnovato l’interesse per il potenziale utilizzo dei batteriofagi nel trattamento delle infezioni batteriche.
I picovirus
Questo tipo di virus uccidono sempre le cellule che infettano, dopo essersi legati alla parete cellulare batterica, averla sfondata enzimaticamente, aver penetrato la membrana cellulare e aver iniettato il DNA virale nella cellula. Hanno anche altre caratteristiche che li rendono candidati interessanti per l’uso terapeutico, tra cui un genoma piccolo e l’incapacità di trasferire geni batterici.
La conoscenza della struttura delle proteine di Andhra e la comprensione del modo in cui queste strutture consentono al virus di infettare un batterio renderanno possibile la produzione di batteriofagi su misura per uno scopo specifico, utilizzando la manipolazione genetica. “Con questo studio, abbiamo acquisito una migliore comprensione delle strutture e delle funzioni dei prodotti del gene Andhra e dei determinanti della specificità dell’ospite, aprendo la strada a una progettazione più razionale di fagi personalizzati per applicazioni terapeutiche. I nostri risultati chiariscono le caratteristiche critiche per l’assemblaggio del virione (nome della singola particella virale, in questa forma il virus è inattivo e fisicamente isolabile. Un virione, infettando una singola cellula ospite, è in grado di produrre migliaia di copie di sé stesso utilizzando i meccanismi di replicazione del DNA), il riconoscimento dell’ospite e la penetrazione”, ha dichiarato Dokland, professore di microbiologia presso l’UAB
La struttura di Andhra
La struttura generale di Andhra è costituita da un capside icosaedrico a 20 facce che contiene il genoma virale. Il capside è collegato a una coda tubulare corta. La coda dei virus presenta delle appendici che servono per legarsi alla superficie batterica. Anche nel caso d Andhra, la sua coda è in gran parte responsabile del legame con S. epidermidis e della rottura enzimatica della parete cellulare del batterio.
Le 11 diverse proteine che compongono ogni particella virale si trovano in copie multiple che si assemblano insieme. Il capside (struttura proteica che racchiude l’acido nucleico e lo protegge dall’ambiente esterno) di Andhra è composto dalle copie di due proteine (235 copie per ciascuna delle due), mentre le altre nove proteine del virione hanno un numero di copie che va da due a 72. In totale, il virione è composto da 645 pezzi di proteine che includono due copie di una dodicesima proteina, la cui struttura è stata prevista utilizzando il programma di predizione della struttura proteica AlphaFold.
I ricercatori hanno descritto il modo in cui ogni proteina si lega ad altre copie dello stesso tipo di proteina, ad esempio per formare le facce esameriche e pentameriche del capside, nonché il modo in cui ogni proteina interagisce con i diversi tipi di proteine adiacenti.
La crio-microscopia elettronica
I microscopi elettronici utilizzano un fascio di elettroni per illuminare un oggetto, fornendo una risoluzione molto più elevata rispetto al microscopio ottico. La crio-microscopia elettronica aggiunge l’elemento delle temperature super-fredde, rendendola particolarmente utile per la risoluzione della struttura quasi atomica delle proteine più grandi, delle proteine di membrana o dei campioni contenenti lipidi, come i recettori legati alla membrana, e dei complessi di più biomolecole insieme. Negli ultimi otto anni, i nuovi rivelatori di elettroni hanno creato un enorme salto di risoluzione per la crio-microscopia elettronica rispetto alla normale microscopia elettronica. L’informatica avanzata fonde migliaia di immagini per generare strutture tridimensionali ad alta risoluzione. Le unità di elaborazione grafica sono utilizzate per elaborare terabyte di dati. Anche il palcoscenico del microscopio che contiene il campione può essere inclinato durante l’acquisizione delle immagini, consentendo la costruzione tomografica tridimensionale, simile a una TAC in ospedale.
L’analisi della struttura del virione Andhra effettuata dai ricercatori dell’UAB è partita da 230.714 immagini di particelle. La ricostruzione molecolare del capside, della coda, della coda distale e della punta della coda è iniziata rispettivamente con 186.542, 159.489, 159.489 e 159.489 immagini. La risoluzione variava da 3,50 a 4,90 angstrom (un’unità metrica di lunghezza pari a 0,1 nanometri).