I neuroscienziati del MIT hanno scoperto che il cervello adulto contiene milioni di “sinapsi silenziose”, connessioni immature tra i neuroni che rimangono inattive finché non vengono reclutate per contribuire alla formazione di nuovi ricordi. Finora si riteneva che le sinapsi silenziose fossero presenti solo durante lo sviluppo precoce, quando aiutano il cervello ad apprendere le nuove informazioni a cui è esposto nelle prime fasi della vita. Tuttavia, il nuovo studio del MIT ha rivelato che nei topi, adulti, circa il 30% di tutte le sinapsi della corteccia cerebrale sono silenziose. L’esistenza di queste sinapsi silenti può aiutare a spiegare come il cervello adulto sia in grado di formare continuamente nuovi ricordi e imparare cose nuove senza dover modificare le sinapsi convenzionali esistenti, dicono i ricercatori.

“Queste sinapsi silenziose sono alla ricerca di nuove connessioni e quando vengono presentate nuove informazioni importanti, le connessioni tra i neuroni interessati si rafforzano. Questo permette al cervello di creare nuovi ricordi senza sovrascrivere quelli importanti immagazzinati nelle sinapsi mature, che sono più difficili da modificare”, spiega Dimitra Vardalaki, autrice principale del nuovo studio.

Il gruppo di ricerca ha cercato di misurare i recettori dei neurotrasmettitori nei diversi rami dendritici (ramificazioni del neurone che trasportano il segnale nervoso in direzione del nucleo della cellula), per farlo hanno utilizzato una tecnica chiamata eMAP (epitope-preserving Magnified Analysis of the Proteome/analisi ingrandita del proteoma con conservazione degli epitopi), sviluppata da Chung. Con questa tecnica, i ricercatori possono espandere fisicamente un campione di tessuto rendendo possibile ottenere immagini ad altissima risoluzione.

Lo strano caso dei filipodi

Mentre eseguivano queste immagini, hanno fatto una scoperta sorprendente. “La prima cosa che abbiamo visto, e che era super bizzarra e non ci aspettavamo, è che c’erano filopodi ovunque”, racconta uno degli autori. I filopodi, in sostanza, sono sottili sporgenze – che nel caso dei neuroni si estendono dai dentriti- usate dalle cellule per sondare l’ambiente circostante. Sono, molto, molto piccoli e quindi difficili da studiare e individuare con le tecniche di imaging tradizionali. I ricercatori hanno sfruttato la tecnica eMAP, sviluppata da Chung, per iniziare a studiare meglio queste ulteriori minuscole ramificazioni.

Gli scienziati del MIT hanno cercato di individuare i filopodi in altre zone del tessuto cerebrale. Con grande sorpresa, li hanno individuati anche nella corteccia visiva del topo e in altre parti del cervello. Successivamente hanno deciso di monitorare l’attività elettrica generata dai singoli filopodi mentre li stimolavano mimando il rilascio del neurotrasmettitore glutammato da un neurone vicino. Utilizzando questa tecnica, i ricercatori hanno scoperto che il glutammato non generava alcun segnale elettrico nel filopodio che riceveva l’input. Se però i recettori per il glutammato venivano sbloccati sperimentalmente, allora si generava il segnale elettrico nel piccolo filamento. Ciò offre un forte sostegno alla teoria secondo cui i filopodi rappresentano sinapsi silenziose, ma attive all’occorrenza, all’interno del cervello.

Inoltre, dopo questa scoperta, gli scienziati ipotizzano che riattivare la sinapsi silenti è molto più facile e utile che cercare di far lavorare sinapsi già attive ma mature. “Se si parte da una sinapsi già funzionale, non si ottiene la stessa plasticità”, spiega Harnett.

Il prossimo obiettivo del team di ricerca è quello di trovare queste sinapsi silenziose nel tessuto cerebrale umano. Sperano anche di riuscire a capire se il numero o la funzione di queste sinapsi sia influenzato da fattori come l’invecchiamento o le malattie neurodegenerative. “È del tutto possibile che, cambiando la quantità e, quindi, la flessibilità del sistema di memoria, diventi molto più difficile cambiare i propri comportamenti e abitudini o incorporare nuove informazioni”, dicono gli scienziati. “Si potrebbe anche immaginare di trovare alcuni degli attori molecolari coinvolti nei filopodi e cercare di manipolare alcuni di questi elementi per cercare di ripristinare una memoria flessibile quando invecchiamo”.