A livello globale uno smartphone ha una durata di vita media di circa 22 mesi. Questo dato può fornire un’idea sull’impatto che i rifiuti elettronici, o e-waste, hanno sul pianeta. Secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), un rifiuto elettronico è un qualsiasi dispositivo alimentato da energia elettrica che arriva alla fine del suo ciclo vitale.

L’ultimo rapporto disponibile del Global E-waste Monitor 2020 dell’ONU nel 2019 sono state prodotte circa 56,3 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, cifra che evidenzia la necessità di riciclare e riconvertire tali dispositivi che, attualmente, vede un riciclo del solo 20% dei rifiuti. Cadmio, piombo, ossido di piombo, nichel e mercurio sono solo le più comuni sostanze che si possono ritrovare in questi dispositivi e oltre a inquinare fiumi, mari e laghi possono rilasciare gas nell’atmosfera che danneggiano gli ecosistemi.

Per diminuire la produzione di rifiuti elettronici si dovrebbe puntare alla riduzione del numero di dispositivi in circolazione, ma soprattutto al riutilizzo di quelli ancora funzionanti e al riciclo dei componenti di quelli non più utilizzabili. Estrarre minerali dai depositi naturali ha un costo 13 volte superiore a quello del recupero dagli e-waste. Va anche considerato che oggetti correttamente riciclati potrebbero generare un valore di oltre 62,5 miliardi di dollari all’anno.

Il riciclo di questi rifiuti rappresenta la sfida ecologica del prossimo secolo e le pubbliche amministrazioni, in collaborazione con gli enti locali, dovrebbero mettere in atto dei programmi di riciclo anche per questi rifiuti.