Sulla piattaforma Deepwater Horizon, al largo della Louisiana, nell’aprile del 2010 scoppiò un incendio che causò il riversamento di 800 milioni di litri di petrolio nel Golfo del Messico, inquinando gli ecosistemi marini di Florida, Mississippi, Louisiana e Alabama.
Negli anni successivi si cercò in tutti i modi di arginare il problema il più in fretta possibile, calcolando i danni che l’incidente ha causato all’ambiente. Dopo oltre 10 anni sono arrivati anche dei risultati sui danni a lungo termine della popolazione marina. Il primo studio, pubblicato su PLOS Online, è stato condotto dalla National Marine Mammal Foundation di San Diego e riguarda i delfini della Louisiana.
Lo studio è stato condotto su 71 delfini che abitano nella Baia della Louisiana, inquinata dal petrolio, i quali, tra il 2013 e il 2018 sono stati sottoposti a indagini genetiche. I risultati sono stati poi confrontati con le analisi di delfini che abitano la Baia di Sarasota, non colpita dal disastro.
Sono state così individuate numerose variazioni nell’espressione genica nei delfini vittime del disastro e la maggior parte di queste sono legate a geni da cui dipende la salute dell’animale. Questo significa che sono state evidenziate anomalie in come certi geni vengono tradotti, non che abbiano subito mutazioni a livello di DNA.
Per esempio un gene, il PRG3, che negli umani è legato al declino della salute dei polmoni, nei delfini contaminati se ne rileva una quantità 8 volte superiore rispetto a quelli sani. Infatti i primi stanno riscontrando problemi polmonari.
Il campione studiato, come sottolineato dagli autori, è ristretto e servono ulteriori studi per confermare questi risultati.