Un recente studio dell’Università di Anversa, in Belgio, ha attestato che il cranio dei picchi non ammortizza gli urti. Il cervello dei piccoli uccelli quindi potrebbe essere a rischio di traumi cranici per il loro continuo martellare sui tronchi. I picchi sono tipici per il loro martellare sugli alberi. Tartassano di buchi le cortecce per cercare larve di insetti o trovare il posto più adatto per nidificare.

Il loro martellare ha anche uno scopo per segnalare il proprio territorio a specie rivali. Il loro tamburellamento ha un ritmo personale. Quello del picchio rosso maggiore ha una percussione più veloce fra tutti gli altri picchi con 10-16 colpi al secondo. Ha un suono simile a un “tratatatatata”, mentre quello del picchio rosso minore è più leggero e risuona come un “tiritiritiriti”.

Gli studiosi hanno analizzato i video di tre specie diverse di picchi ad alta velocità. Hanno quantificato la decelerazione del cranio dopo l’impatto con la superficie. Poi hanno creato modelli virtuali con simulazioni di beccata del picchio. Ciò per capire come fosse possibile attutire tutta quella forza dopo ogni beccata. Ecco che la risposta rivela che il cranio dei picchi non assorbe gli urti degli impatti.

I ricercatori danno quindi una spiegazione su come questi animali possano sopravvivere al loro continuo picchiettare sul legno. La struttura del loro cranio non li protegge. Il loro cervello però è talmente piccolo rispetto ad altri animali che riesce ad evitare lo sbattimento a ogni beccata. Ovviamente se martellasse una superficie di cemento o metallo, allora il rischio di una commozione cerebrale sarebbe alto. I risultati dello studio spiegano anche perché i picchi hanno teste e muscoli del collo non molto grandi. Il cranio più grande e una beccata più forte potrebbero portare a traumi cerebrali forti. Possiamo quindi stare tranquilli e non vivere in ansia per i picchi, la loro vita non è in pericolo.