Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del Bianconiglio. Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più.

Questa è, senza dubbio, una delle scene più iconiche della storia del cinema. Il riflesso negli occhiali di Morpheus, i colori brillanti delle pillole, la frase solenne. Quando Matrix uscì nel 1999 – poteva esserci un momento più perfetto? Proprio a cavallo non di due secoli, ma di due millenni – fu come se un fulmine fosse caduto sul grande schermo. La storia del programmatore di software Thomas A. Anderson, che scopre di essere Neo, l’Eletto, destinato a risvegliare l’umanità da Matrix, simulazione imposta da macchine che sfruttano le persone per ricavare energia, è una di quelle che fa da spartiacque: c’è un prima e un dopo Matrix. Bisogna tenerlo a mente scrivendo la recensione di Matrix Resurrections, quarto capitolo della saga delle sorelle Wachowski.

A quel primo folgorante film, che si può definire capolavoro senza paura di esagerare, sono infatti seguite altre due pellicole, Matrix Reloaded e Matrix Revolutions, uscite nel 2003 (nello stesso anno è arrivata anche Animatrix, serie di corti animati), sempre scritte e dirette da Lana e Lilly Wachowski. Non all’altezza dell’originale, da alcuni odiati visceralmente, pur con i loro difetti quei film gemelli hanno arricchito la mitologia di Matrix, dimostrando che la tana del Bianconiglio è potenzialmente infinita. Sembrava tutto concluso, invece, a quasi 20 anni di distanza dalla trilogia, arriva ora in sala dal primo gennaio Matrix Resurrections appunto, ancora con protagonisti Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss nei ruoli di Neo e Trinity. In molti hanno tremato all’annuncio: c’era davvero bisogno di un nuovo film? La vera domanda da fare è però: le Wachowski avevano ancora qualcosa da raccontare?

Le prime a chiederselo sono state proprio loro: non è forse un caso quindi se Matrix 4 è scritto e diretto da soltanto una delle sorelle, Lana Wachowski. Lilly ha infatti preferito non partecipare al progetto, perché, ha dichiarato, l’avrebbe riportata a una parte della sua vita che ormai considera conclusa. Lana invece ha creduto in questa storia, partendo da qualcosa di molto personale: la scomparsa dei suoi genitori. Il film è dedicato a loro e proprio con loro sembra dialogare l’autrice, attraverso quelli che, di fatto, sono i suoi genitori di finzione: Neo e Trinity. Messa a punto insieme agli scrittori David Mitchell (autore di Cloud Atlas, da cui le Wachowski hanno tratto l’omonimo film nel 2012) e Aleksandar Hemon, la sceneggiatura di Matrix Resurrections ha una struttura a scatole cinesi: la tana del Bianconiglio ha più livelli di lettura, racchiusi uno dentro l’altro, che potremmo riassumere, semplificando, paragonandoli ai concetti psicoanalitici di Es, Io e Super-Io.

Matrix Resurrections: porno per la mente

Il Super-Io si può riassumere come l’insieme dei divieti sociali sentiti dalla psiche come un ostacolo per la soddisfazione del piacere, una sorta di “sistema di censure” che regola il passaggio dalle pulsioni dell’Es all’Io. Il primo livello di lettura di Matrix Resurrections si avvicina molto al Super-Io: in un’epoca in cui ogni grande Studio cerca di capitalizzare sulle sue storie più forti e amate, era difficile pensare che Matrix non venisse toccato, a maggior ragione ora che Warner Bros. ha lanciato la sua piattaforma di streaming, HBO Max, su cui arriveranno sequel, serie e spin-off di ogni tipo, da quelli di Harry Potter a quelli del più recente Dune.

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Lana Wachowski gioca apertamente con questa proposta arrivata dalla major: ambientato 60 anni dopo i fatti dei primi tre film, in Matrix Revolutions ritroviamo Neo nei panni di Thomas A. Anderson. L’inizio sembra molto simile a quello del 1999: un personaggio sembra addirittura abbattere la quarta parete e dire agli spettatori “conosciamo quella storia”. Eppure molte cose sono cambiate: il signor Anderson ora è uno sviluppatore di videogiochi e la sua creatura più famosa è Matrix. Sta lavorando a un nuovo progetto, Binary (nome scelto non a caso), ma il suo socio in affari, Smith (Jonathan Groff), lo scoraggia: le persone preferiscono combattere l’ansia con la nostalgia, quindi è meglio dar loro un’altra dose della stessa medicina.

Assistiamo così a brainstorming in cui sembra di vedere la stessa Lana Wachowski parlare con Warner Bros.: “le idee sono il nuovo sexy”, si dice, “Matrix è porno per la mente”, “la storia non finisce mai”, “più cerchi, più trovi”. C’è anche però chi, come il Merovingio (adesso vogliamo la serie spin-off a lui dedicata, giusto per farlo arrabbiare ancora di più), è inorridito da tutto questo: sequel, prequel, remake, la vera Matrix ormai è Hollywood, che ci tiene buoni dandoci prodotti sempre uguali, allontanando l’angoscia della morte (e dei bassi incassi) spremendo il più possibile idee e personaggi.

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In realtà questa è una lettura ingenua: in altre forme d’arte più antiche, come la tragedia e la musica, si è sempre fatto. Gli autori greci scrivevano sequel dei loro drammi, Bach scomponeva le sue opere letteralmente rimontando e ribaltando alcuni pezzi. Il cinema, essendo un’arte più giovane, ci è semplicemente arrivato più tardi. Lana Wachowski lo sa benissimo e ci gioca consapevolmente, anche in modo poco sofisticato: ecco quindi che Trinity viene definita “milf” e il nuovo Morpheus (Yahya Abdul-Mateen II, che sostituisce Laurence Fishburne) non indossa più abiti scuri ma completi coloratissimi e dice la sua frase a effetto, “finalmente” (“at last” in originale), uscendo da un gabinetto.

In tutta questa ironia metacinematografica quelli smarriti sono proprio Neo e Trinity: i loro ricordi sono stati cancellati, non sanno più chi sono, soprattutto non si ricordano l’uno dell’altra.

I fantasmi della sua vita precedente sembrano però tornare a far visita all’Eletto: per riuscire a distinguere tra realtà e finzione Anderson va quindi dall’analista, o meglio, L’Analista (Neil Patrick Harris), che lo tiene a bada con una terapia a base di pillole blu.

Matrix Resurrections: 20 anni di industria e cambiamenti sociali

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Non è un caso (niente lo è quando si tratta di Matrix) se dall’Architetto siamo passati all’Analista: a Lana Wachowski non interessa sconvolgere di nuovo il cinema, rivoluzionare lo stile dei film d’azione. L’ha già fatto 20 anni fa insieme alla sorella. Si capisce dalle scene d’azione di Matrix Resurrections: laddove Matrix ha seminato per tutti gli altri film a venire (soprattutto grazie al bullet time, ma non solo), costruendo un immaginario, qui l’azione è invece secondaria. Alla regista interessa molto di più analizzare la sua storia.

In Matrix 4 si smonta la mitologia della saga, rileggendola attraverso tutto ciò che è successo nell’industria cinematografica in 20 anni.

Non solo: Lana Wachowski ragiona anche sui cambiamenti sociali. Centrale è il discorso sulle donne: c’è chi dice che “una volta le donne erano facili da controllare”. Oggi Trinity, risoluta come non mai, dimostra che essere padrone della propria storia e scegliersi da sole il nome è fondamentale. In questo film all’inizio la ritroviamo completamente snaturata: si chiama Tiffany, è madre di due figli, sposata con un uomo di nome Chad (un piccolo capolavoro: Chad è il nome con cui in certi ambienti particolarmente misogini, che hanno preso il loro nome proprio dalla pillola rossa di Matrix, viene definito l’ideale di bellezza maschile. A interpretarlo è Chad Stahelski, stuntman e regista della saga di John Wick, di cui è protagonista sempre Keanu Reeves). Cosa potrebbe volere di più una donna dalla vita se non una famiglia? Per fortuna, sotto questo strato spessissimo di convenzioni sociali e stereotipi, Trinity c’è ancora e lotta insieme a noi. E a Neo, che riconosce di dover essere lui a “dover credere in lei questa volta”.

Se nel primo Matrix il simbolo del conformismo, del farsi risucchiare dal sistema era una bistecca al sangue, ora a rappresentare tutto questo è il cappuccino del “SimuLatte”, il caffè dove si ritrovano Neo e Trinity. Anche se diversi, anche se con nuove etichette, loro sono sempre gli stessi e traggono la propria forza dalla loro unione. Spirituale e mentale più che fisica (il corpo è sempre stato una prigione nel mondo di Matrix). Insieme formano una diade che costituisce l’Io, la coscienza della saga.

Matrix Resurrections: “la scelta è un’illusione: sai già cosa devi fare”

Arriviamo quindi al livello più profondo di Matrix Resurrections, quello che lo rende un film molto più anarchico di quanto non sembri: l’Es, il “serbatoio dell’energia vitale” della pellicola è l’esperienza personale dell’autrice. Tra i tanti temi toccati nel Matrix originale, che ha unito filosofia e informatica, scienza e fede, cyberpunk e mitologia, c’è quello della trasformazione, del cambiamento. Impossibile non leggere la pellicola in questa chiave dopo la transizione di entrambe le sorelle Wachowski.

Lana Wachowski ha messo il suo vissuto anche dentro questo Matrix Resurrections, stavolta in modo molto più consapevole.

Nel film c’è la sua esperienza da regista che fa un film dettato dal marketing per Warner Bros., c’è l’artista che ha creato uno stile riconoscibile e ne prende le distanze con affetto e c’è la donna a cui ora interessa essere sempre più padrona della propria storia e delle proprie storie.

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Nel film si dice che “Matrix ti mette rumore in testa”: possiamo interpretarlo come Hollywood, i social, la politica poco interessata ai diritti civili, i pregiudizi della gente. Tutto ciò che affievolisce la nostra speranza e fa aumentare la nostra disperazione. L’Analista lo dice: “la speranza e la disperazione hanno un codice quasi identico”. Come si fa quindi a preservare il codice della speranza? Attraverso le storie e le emozioni che sanno trasmettere. L’emozione è uno strumento potentissimo: fatti e finzione possono essere facilmente confusi e manipolati se si sanno gestire le emozioni. È quello che fa un bravo narratore, ma anche un leader politico. Bisogna quindi capire da che parte stare. Sì, capire, non scegliere: in Matrix Resurrections si dice forte e chiaro che “la scelta è un’illusione: sai già cosa devi fare”. È proprio chi non conosce se stesso, chi non sa chi è, chi continua a ragionare in termini binari – “pillola rossa e pillola blu”, “maschio e femmina”, “giusto e sbagliato”, “noi contro di loro” – che può provocare disastri. E soprattutto che vive in una bugia. Alla fine la risposta di questo Matrix è semplicissima, ma non per questo meno efficace: la risposta è l’amore. Non soltanto quello romantico, ma sopratutto un amore accogliente, che abbraccia ogni forma, colore, volontà di espressione. L’amore che fa pensare in termini di “noi e loro”, che cerca di far evolvere e migliorare il mondo, invece che distruggerlo e mantenerlo immobile.

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Nel finale si parla proprio di “dipingere il cielo di arcobaleni”: risulterebbe falso e stucchevole in bocca a chiunque, ma non se a dirlo è Lana Wachowski. In questi ultimi dieci anni la regista ha infatti raccontato storie che hanno ampliato sempre più il punto di vista: in Cloud Atlas il vissuto dei personaggi si intreccia attraverso il tempo, in Sense8 attraverso lo spazio (e in Matrix Resurrections ci sono molti dei protagonisti della serie tv, come Brian J. Smith, Eréndira Ibarra e Max Riemelt). Per lei essere padroni della propria storia e mitologia è tutto. E forse ha ragione: oltre a trama, messa in scena e incassi, la vera essenza di un film, e quindi di una storia, è l’emozione da cui nasce e che trasmette. Se le sorelle Wachowski hanno chiamato Neo “signor Anderson”, come il professore che a scuola le spinse a credere nella loro creatività e quindi in se stesse, un motivo ci sarà: niente è più potente di una storia in cui ci riconosciamo.

Matrix Resurrections è in sala dal primo gennaio 2022.

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Matrix Resurrections
Recensione di Valentina Ariete

Come scritto nella recensione di Matrix Resurrections, il nuovo film della saga, questa volta diretto dalla sola Lana Wachowski, è una creatura ibrida e affascinante. Il film ha più livelli di lettura, che smontano e analizzano la mitologia di Matrix. Gli effetti speciali e le scene d'azione non sono più di impatto come nell'originale, ma non è su questo che ha voluto concentrarsi la regista. Keanu Revees e Carrie-Anne Moss sono ancora un Neo e una Trinity convincenti, che ci portano per mano in quello che, più che un film d'azione, è una lunga seduta di psicanalisi, che sfida continuamente lo spettatore.

ME GUSTA
  • Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss sono ancora fantastici.
  • Le nuove aggiunte sono perfette: su tutti Neil Patrick Harris nel ruolo dell'Analista e Jessica Henwick in quello di Bugs.
  • È un film che ha molti livelli di lettura: decifrarli può diventare un gioco affascinante.
  • C'è un interessante gioco metacinematografico in cui si scherza sul film stesso.
  • Lana Wachowski analizza la sua creazione alla luce di 20 anni di cambiamenti sociali e dell'industria cinematografica.
  • Pur se meno rivoluzionario rispetto al Matrix originale, lo stile della regista è sempre riconoscibile.
FAIL
  • Le scene d'azione non sono all'altezza del Matrix originale.
  • Dopo un inizio eccellente, la parte centrale cala di ritmo, ma si riprende nel finale.
  • Chi si aspettava un film d'azione si ritroverà davanti a una seduta psicoanalitica.