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“Lo shodo è una disciplina attraverso la quale si coltiva se stessi. Esso crea una figura per mezzo della scrittura, e proprio attraverso l’astrattezza di questo mezzo permette di esprimere quasi inconsciamente il proprio pensiero, le proprie emozioni, il proprio spirito e, in definitiva, se stessi. Lo shodo è un’immagine di noi stessi. Dunque, per produrre un’opera di shodo bisogna coltivare se stessi.
Lo shodo è utile per coltivare l’intuizione perfino del più piccolo movimento, per questo i grandi maestri di arti marziali praticavano costantemente lo shodo.”
Questa frase non la troverete su wikipedia, tantomeno su Shodo for dummies. Queste parole sono di uno dei più grandi sensei di shodo viventi, se non il più grande, in risposta alla domanda “…come spiegherebbe cos’è lo Shodo ad un profano?”. Uso questa frase per introdurre l’articolo, perché credo che sia il modo più facile e immediato per esprimere il concetto di Shodo, in seguito darò qualche info su questo personaggio.
Il termine Shodo viene comunemente tradotto con “arte della calligrafia” ma sarebbe più giusto tradurlo con “ricerca e comprensione della vita tramite la pratica della calligrafia” in quanto composto dalle parole Sho e Do. La prima significa “scrittura” la seconda, appunto, “ricerca e comprensione della vita”. Al pari delle arti a noi più note, il cui nome termina con il suffisso Do (Judo, Karatedo, Kendo ecc), anche il praticante di Shodo, intraprende una crescita segnata da vari livelli detti Dan. La calligrafia è un’arte che implica un lungo apprendimento e una pratica costante e, in Oriente, è il fondamento della pittura. Un buon pittore è, prima di tutto, un buon calligrafo. Come la pittura, l’arte dello Shodo richiede innanzitutto la padronanza del tratto, l’immediatezza del gesto, la continuità del ritmo, il controllo della forza impressa al pennello e non tollera ritocchi o correzioni.
Si può scrivere una parola, una frase, una poesia, una preghiera, ma ciò che importa è riuscire a trasmettere lo spirito, il senso, l’emozione o cosa si vuole, sul foglio, di modo che le parole colpiscano gli occhi, lo sguardo di chi le osserva. In altre parole ogni tratto, ogni carattere è un’espressione della forza dell’artista (della sua interiorità, della sua anima).
Un accenno alle origini.
Verso il 500 d.C. la cultura cinese penetra in Giappone, che ne adotta il sistema di scrittura, adattandolo, dopo un lungo periodo, alla propria lingua. I monaci che si recavano in Cina per il loro apprendistato trapiantarono nel paese anche l’arte della calligrafia. La scrittura cinese ha uno sviluppo verticale e procede dall’alto al basso e da destra a sinistra. Le sue origini risalgono al secondo millennio a.C. e sono incise su gusci di tartaruga e ossa oracolari. Seguì un’evoluzione che portò all’uso del pennello ed alla formazione del complesso dei caratteri Kanji che ancora oggi rimane in gran parte invariato.
Fonte.
Un elemento fondamentale nella composizione di un’opera calligrafica è il sigillo (Yin). Esso è l’unico elemento colorato, generalmente rosso, che compare accanto ai tratti neri. La sua apposizione può incidere in maniera determinante nella definizione dell’equilibrio dell’opera. Se le sue dimensioni, la sua apposizione e la sua forma non sono adeguate, viene meno l’intera calligrafia, annullando completamente il suo equilibrio e la sua armonia.
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Breve storia della sigillografia (zhuanke / tenkoku, “l’arte dell’incisione dei sigilli”)
I sigilli, dalle loro origini, svolgono diverse funzioni ufficiali e private, ma ognuno di essi, in base alla propria forma, contiene anche un valore estetico. Le funzioni utilitaristico-comunicative dei sigilli possono essere così suddivise:
– indicare il nome dell’autore o del proprietario (sigilli personali);
– esprimere frasi o caratteri propiziatori o protettivi;
– comunicare contenuti edificanti o sentimenti mediante citazioni e testi poetici o religiosi.
Accanto ai sigilli recanti caratteri di scrittura vi sono quelli figurati (soprattutto raffiguranti animali), che hanno generalmente le funzioni di mettere in evidenza gli emblemi dell’autore, proteggere dagli influssi negativi o suscitare buoni auspici.
L’impiego dei sigilli nasce dall’esigenza di indicare e garantire la proprietà e l’autenticità dei beni e dei documenti. Le più antiche testimonianze a noi pervenute sono tre sigilli in bronzo, non ancora decifrati, risalenti all’epoca Shang (XVI-XI secolo a.C.). Dalla successiva dinastia Zhou (XI sec.- 256 a.C.) ci sono invece pervenuti numerosi sigilli in bronzo e in terracotta, oltre la metà dei quali è stata decifrata. La gran parte di essi presenta iscrizioni che indicano la funzione ufficiale o i titoli nobiliari dei loro proprietari, come ad esempio: “Capo dell’Armata a sinistra del centro”, “Sigillo del Generale”, “Sigillo del re Changwu”.
Con la dinastia Qin (221-206 a.C.) l’unificazione della scrittura conduce, anche nella produzione dei sigilli, all’adozione generalizzata della forma di scrittura zhuan minore /shōten, la più usata fino ad oggi in questo campo. L’affermazione del supporto cartaceo nella scrittura ebbe un influsso anche nell’impressione dei sigilli, siccome in precedenza essi venivano prevalentemente impressi nell’argilla.
Sotto la dinastia Tang (618-907) l’attenzione verso i sigilli si accentuò e venne riscoperta la tradizione dei periodi Zhou, Qin e Han (206 a.C.-220 d.C.), ma fu solo nel XVI secolo che iniziò la vera arte dell’incisione dei sigilli da parte dei letterati. Fino ad allora l’esecuzione veniva svolta da artigiani che fondevano nel metallo o incidevano nella pietra i caratteri disegnati da letterati o da funzionari. Fu il calligrafo Wen Peng (1498-1573) che scoprì le caratteristiche di compattezza e di morbidezza di un tipo di pietra che ben si prestava alla lavorazione con semplici punte d’acciaio (piccoli scalpelli). Alla fine del XVI secolo si diffuse quindi la sigillografia vera e propria e da allora i letterati e gli artisti diedero vita a opere sempre più raffinate e aderenti alle proprie esigenze estetiche, caratterizzandole con l’incisione di tratti personali ed espressivi.
Fonte.[/more]
Ovviamente non è concepibile trattare, in maniera esaustiva, un argomento del genere con un semplice articolo, per questo mi sono limitato ad una generale descrizione di quest’arte.
Oltre alle fonti sopra citate, mi sento di consigliare due libri: “Shodo. La via della scrittura. Kaisho. Lo stile fondamentale”, edizione Stampa Alternativa, Roma 1993 e “Shodo. Lo stile libero. Calligrafia, tradizione e arte contemporanea”, Casadei Libri Editore, Padova 2006, entrambi scritti dal maestro di cui ho citato la frase di apertura. Il suo nome è Noryo Nagayama ed è uno dei pochissimi (l’unico nella’arte calligrafica) ad essere stato insignito, nel 2002, del titolo di “maestro non più giudicabile”. Noryo Nagayama, nome d’arte shimiya (“Palazzo dei quattro cavalli”), è nato nella prefettura di Ibaraki a nord est della regione del Kanto. Membro esaminatore della Nihon Kyoiku Shodo Renmei / Japan Educational Calligraphy Federation (J.E.C.F). E’ presidente dell’associazione Bokushin.
Per la fortuna di chi vuole avvicinarsi a questa disciplina, il maestro Nagayama vive in Italia e la sua associazione organizza dei corsi e seminari lungo tutto lo stivale. Io e ZioCrio abbiamo seguito questi seminari per più di un anno e a breve vorremmo riprendere. Le lezioni vengono effettuate una volta al mese, di domenica, ed hanno la durata di circa 8-9 ore. Sul sito potete trovare il calendario con le date.
Di seguito un video che ritrae il maestro Nagayama intento a scrivere una poesia, durante una delle sue lezioni… enjoy.