Le autorità cinesi intimano lo stop alle attività di mining di criptovalute. Il Bitcoin tocca il valore più basso delle ultime due settimane, scivolando sotto i 32.000$ per la prima volta dallo scorso 8 giugno. Male anche altre al-coin, come XRP che ha perso il 12%.
Domenica scorsa la Cina ha ordinato l’interruzioni delle attività di mining nella provincia di Sichuan. La notizia è stata data dal Global Times, quotidiano controllato dal Partito comunista cinese. Secondo la CNBC, è realistico stimare che la Cina abbia perso il 90% della sua capacità di mining. Il Times attribuiva alla Cina il 75% delle attività mondiali di mining, una stima che si basa sull’hash rate dispiegato dalle mining farm cinesi. Valore che scende al 65% secondo la CNBC.
Iniziative contro il mining di criptovalute erano già state intraprese dalle autorità della Mongolia e dello Yunnan. Da una parte lo stop al mining, dall’altra l’obbligo per i servizi finanziari e di pagamento – come Alipay di Alibaba – di interrompere ogni servizio legato alle criptovalute.
Non tutti gli insider sono preoccupati:
Quando la Cina starnutisce, il Bitcoin prende il raffreddore. Ma questa esibizione di forza spesso si ferma, appunto, ad un esercizio fine a sé stesso. Nel corso degli ultimi otto anni questa storia si è già ripetuta almeno tre volte
ha detto alla CNBC Charles Hayter, CEO di CryptoCompare.
Sta di fatto che l’hash rate totale della blockchain del Bitcoin è crollato drasticamente in queste ore, raggiungendo uno dei valori più bassi di sempre: 91,2 EH/s, poco più di un mese fa era pari a 171,4 EH/s. Crolla drasticamente anche la redditività del mining, passata – scrive il Coin Telegraph – da 0,449$ al giorno per TH/s ad appena 0,226$.