Accusata tempo addietro di non avere un adeguato piano di riduzione delle emissioni, Netflix si è attrezzata per offrire una stima della CO2 che viene generata per tenere in piedi il suo prodotto, con i dati finali che suggeriscono come i suoi consumi sarebbero ben più leggeri di quanto non sia dato pensare.

Adoperando il DIMPACT sviluppato negli ultimi dieci anni dall’Università di Bristol – grazie ai fondi di Netflix, BBC, Sky, BT e altre aziende del settore -, gli accademici hanno offerto una stima precisa delle vere conseguenze ambientali dello streaming video, mettendo in campo un’alternativa alle ipotesi generiche che solitamente vengono prese a riferimento.

A differenza delle stime generiche usate negli studi precedenti, il calcolatore utilizza i più recenti protocolli scientifici per misurare le emissioni (ad esempio le analisi del ciclo di vita) e i dati provenienti direttamente dalle società di intrattenimento e multimediali che si affidano allo streaming,

spiega Netflix nel suo comunicato.

I risultati raccolti indicano che ogni ora di streaming video corrisponde in Europa a circa 55 grammi di biossido di carbonio equivalente, emissioni che il portale compara a quelle relativa alla cottura al microonde di quattro pacchi di popcorn. A livello globale, la media sale, ma si dovrebbe comunque attestare “ben al di sotto di 100 gCO2e”.

Simili consumi contenuti sarebbero dovuti a una gestione sempre più efficiente della produzione e della gestione dell’elettricità, con gli apparecchi di consumo che rappresenterebbero in questo momento ben il 50 per cento la mole di produzione della CO2 in questione. In altre parole, sarebbe arrivato il momento di comprarsi uno schermo nuovo, uno che sia di una classe energetica degna di nota.

Ovviamente è il caso di prendere questi dati con le pinze, se non altro perché è lecito pensare che una ricerca finanziata direttamente dalle aziende coinvolte possa in qualche modo essere gravata da un certo conflitto di interessi (le lobby del tabacco ci hanno abituati male).

Pur con un’adeguata cautela, è importante notare che il DIMPACT sia effettivamente uno dei pochi strumenti con cui sia oggi possibile calcolare le conseguenze ambientali dell’usare il videostreaming, quindi non ci resta che prendere per buone le informazioni in questione e, nel frattempo, stimolare la progettazione di nuovi mezzi che ci consentano di approfondire la ricerca senza dover dipendere dai soggetti che vengono analizzati.

 

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