In reazione all’attacco al Campidoglio di Washington avvenuto a inizio gennaio, la commissione della House Energy and Commerce statunitense sta cercando di capire quale sia il ruolo dei social network nella dinamica di diffusione dell’odio e dell’estremismo all’interno della società. Chiamato a testimoniare, Mark Zuckerberg, CEO di Facebook, si è appoggiato a una narrazione molto precisa: è tutta colpa di Donald Trump.

Sono convinto che l’ex presidente debba essere considerato responsabile per le sue parole, mentre coloro che hanno infranto la legge debbano essere considerati responsabili delle loro azioni,

ha scritto l’imprenditore in una dichiarazione d’apertura che parzialmente stona con la posizione che il social aveva adottato nelle giornate immediatamente successive alle proteste, ovvero che i discorsi d’odio fossero stati propagati da quei social che non vantano la medesima “trasparenza” di Facebook.

Come spesso capita con Zuckerberg, il resto dei quesiti si sono scontrati contro una resistenza passiva o con varie riformulazioni del concetto base. Il tono non è cambiato neppure quando la commissione lo ha incalzato per chiedergli come fosse possibile che si rifiutasse di ammettere che il social “abbia avuto un ruolo nella pianificazione e nell’esecuzione dell’attacco a Capitol” Hill.

Penso che la responsabilità sia in seno alle persone che hanno compiuto azioni che hanno infranto la legge e che hanno dato vita all’insurrezione. In secondo piano, anche alle persone che hanno diffuso quel genere di contenuti, incluso il presidente, ma anche altri, con una retorica continuativa che sostiene come le elezioni siano state manipolate e che incoraggia le persone a organizzarsi [a combattere],

ha ribadito il CEO di Facebook.

Il dibattito è divenuto velocemente un tiro alla fune in cui il dirigente del social cercava strenuamente di evitare di discutere se vi fossero o meno gruppi estremisti e xenofobi all’interno del portale e i delegati governativi che sollecitavano risposte facendo leva sui report dell’FBI, i quali indicano esplicitamente che Facebook sia stato un punto di “reclutamento e pianificazione” dell’attacco.

Tralasciando Trump e gli agitatori in generale, Zuckerberg si è trovato infine ad ammettere che “certi contenuti fossero presenti nei nostri servizi” e che in tal senso il portale abbia ancora molto lavoro davanti a sé, se vuole rendere i sistemi di moderazione più efficienti.

 

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