Una nuova indagine suggerisce che la disinformazione politica che imperversa sui social media potrebbe essere facilmente ridimensionata, se i portali ricordassero agli utenti l’importanza di condividere solamente informazioni puntuali. Il MIT suggerisce infatti che le fake news non nascano tanto dalla malizia, quanto dal disinteresse che ci viene imposto da una consumazione bulimica dei media.
I risultati della ricerca, pubblicati recentemente su Nature, avvisano senza mezzi che il problema alla base della disinformazione sia infatti la nostra incapacità cronica di “fermarci a pensare“. Vediamo i titoli degli articoli, ne leggiamo le prime righe e poi li condividiamo con leggerezza.
I test effettuati dagli scienziati hanno scoperto che il mettere in dubbio l’attendibilità delle fonti spinge gli utenti ad affidarsi a punti di riferimento più autorevoli. Non solo, il MIT ha anche registrato come il tasso di condivisione delle fake news si dimezzi, quando gli utenti si impegnano attivamente a leggere gli articoli prima di condividerli (passando dal 30 al 15 per cento).
Le persone, insomma, non si affiderebbero alla disinformazione per malizia e alcune piccole modifiche potrebbero essere sufficienti a bloccare una dose importante di baggianate. Certo, rimarrebbe in circolazione tutta la “post-verità” radicale, ma quella non è che una parte minuscola di un problema ben più ampio.
Improbabile, comunque, che le piattaforme social accolgano la suggestione degli universitari, soprattutto perché lo spirito critico si muove in direzione opposta all’engagement del pubblico e le conseguenze economiche sarebbero imprevedibili.
Tenendo conto della feroce economia dell’attenzione che domina la nostra società, c’è inoltre da chiedersi se gli effetti di un simile intervento possano essere costanti anche sul lungo periodo o se la nostra mente imparerebbe presto a ignorare le notifiche.
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