Gli esperti di cybersicurezza ingaggiati dal tribunale ne sono sicuri: Amazon sa qualcosa che non sta dicendo sul caso SolarWinds.

Il portentoso attacco hacker che ha colpito gli Stati Uniti è in questi giorni al centro di un’indagine del Senato, ma i politici stanno sbattendo contro uno scoglio che non avevano calcolato, l’azienda di Jeff Bezos.

Non c’è motivo di credere che Amazon sia stata colpita dall’infiltrazione digitale, tuttavia è risaputo che la Big Tech abbia alcune informazioni particolari sulla faccenda, informazioni che ha precedentemente condiviso con l’Intelligence, ma che ora non ha alcuna intenzione di rendere pubbliche davanti a un’udienza.

Mark Warner, presidente Dem della commissione d’indagine, e Marco Rubio, vicepresidente Repubblicano, si sono molto, molto irritati quando la ditta digitale non si è presentata a presentare la propria testimonianza e alcuni politici iniziano a chiedere di ravvivare la partecipazione dell’azienda a colpi di imposizioni legali.

Il fatto è che si ipotizza che i servizi cloud di Amazon, pur non essendo stati afflitti direttamente dagli hacker di SolarWinds, siano stati adoperati per ospitare e consegnare i file che sono serviti a trasmettere capillarmente l’infezione.

Stando agli indagatori, la Big Tech potrebbe essere in possesso di stralci utili a determinare chi sia stato a eseguire l’attacco: informazioni sui sistemi di pagamento adoperati dagli hacker, indizi sul loro traffico dati, dettagli sul come abbiano interagito con la Rete.

Il Senato è assetato di qualsiasi delucidazione si possa raccogliere, anche perché l’attacco è stato portato avanti all’interno dei confini USA, cosa che ha permesso ai cybercriminali di approfittare di alcune fragilità sistemiche a cui il governo vorrà sicuramente porre rimedio, a costo di limare ulteriormente la privacy dei propri cittadini.

 

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