L’opzione nucleare di Facebook sta già mostrando i suoi violentissimi effetti. Il social network ha bloccato la condivisione di news e articoli in Australia, a pagarne il prezzo sono gli editori.
Questa settimana, Facebook Australia ha attivato quella che da molti è stata definita ‘l’opzione nucleare’: in risposta ad una nuova legge che obbliga le piattaforme tech a corrispondere un equo compenso agli editori per la condivisione dei loro contenuti, il social ha bloccato la condivisione di ogni notizia e contenuto dell’editoria.
La mossa ha colto alla sprovvista la politica, mandando in tilt anche le pagine delle organizzazioni non-profit e delle istituzioni australiane. «L’Australia ha sottovalutato l’importanza di Facebook», ha detto l’azienda in un comunicato.
Il social network ha già ripristinato alcune pagine istituzionali, ma le pagine di molte onlus rimangono ancora congelate.
Nel frattempo, il Primo Ministro dell’Australia ha annunciato di aver ricevuto il plauso e il sostegno di diversi altri Governi. Il Canada ha già annunciato l’intenzione di seguire l’esempio del Paese, lavorando ad una legge che obblighi Google e Facebook a pagare gli editori in modo simile da quanto sta avvenendo in Australia.
L’opzione nucleare di Facebook sta già mostrando i suoi effetti e a soffrire sono gli editori. Il traffico dei siti di news australiani è crollato del 13%, stando a quanto riporta l’istituto Chartbeat. Il dato per il traffico proveniente da fuori i confini nazionali è ancora più drammatico, con il crollo che ha toccato il 30%.
Michael Miller, il N.1 della News Corp, nel corso di un’audit davanti al Parlamento australiano ha confermato il duro impatto della decisione di Facebook, sostenendo – ad ogni modo – che il crollo del traffico proveniente dal social è stato in parte bilanciato da un aumento delle visite provenienti direttamente dalle homepage dei siti dei quotidiani.
Miller ha richiesto all’antitrust del Paese, l’Australian Competition and Consumer Commission (ACCC), di aprire un’indagine sulla mossa senza precedenti di Facebook.
Quando Google aveva annunciato che l’approvazione della legge avrebbe potuto costringere l’azienda ad interrompere alcuni servizi in Australia, il Governo aveva risposto di non volere cedere ai ricatti delle aziende. Per il momento, almeno con Facebook, sembra essere più vero il contrario. Quello di Facebook è un duro segnale inviato ai legislatori di tutto il mondo e grida a chiare lettere che il social non si farà scrupoli a far fuori servizi che ormai fanno parte della nostra quotidianità come rappresaglia per le scelte della politica.