La recensione di Wonder Woman 1984, secondo film dedicato Wonder Woman diretto da Patty Jenkins con Gal Gadot nel ruolo dell’eroina amazzone. Questa volta Diana Prince deve vedersela non con uno, ma due antagonisti, interpretati da Kristen Wiig e Pedro Pascal. Dal 12 febbraio on demand.
Scrivere la recensione di Wonder Woman 1984 lascia un sapore amaro: il secondo film diretto da Patty Jenkins dedicato all’amazzone di Themyscira non è stato fortunato.
Rimandato diverse volte, uscito in USA a Natale, in molti avevano deciso che fosse già invecchiato senza aver nemmeno visto la sala. Insieme all’amaro c’è poi un’altra sfumatura: quella delle occasioni sprecate.
Questo nuovo capitolo delle avventure di Diana Prince, interpretata di nuovo da Gal Gadot, ha due anime: una più politica e una da cinecomic. Una delle due funziona, l’altra no.
Disponibile in Italia dal 12 febbraio in esclusiva on demand sulle principali piattaforme di streaming (Amazon Prime Video, Apple Tv, Youtube, Google Play, TIMVISION, Chili, Rakuten TV, PlayStation Store, Microsoft Film & TV, Sky Primafila e Infinity), possiamo finalmente farci un’idea anche noi di WW84.
Avevamo lasciato Wonder Woman a inizio secolo: in Wonder Woman 1984, come suggerisce il titolo, la ritroviamo negli anni ’80. Prima di catapultarci tra giacche con le spalline e marsupi, Patty Jenkins ci mostra una scena dell’infanzia di Diana: la più piccola tra le partecipanti a una gara, dimostra ottime abilità fisiche fin da giovanissima, è intelligente, perché trasforma le sue debolezze in vantaggio, ma cede alle sirene della scorciatoia facile.
Sua madre, la regina Ippolita (Connie Nielsen), e la sua mentore, Antiope (Robin Wright), le insegnano quindi una lezione importante: esiste solo la verità e non si può vincere fino a quando non si è pronti a essere dei vincitori.
Patty Jenkins ha dichiarato più volte di voler fare non un film sugli anni ’80, ma un film che sembrasse girato negli anni ’80.
Ecco quindi che dalle arene di Themyscira ci spostiamo in quelle moderne, i centri commerciali. Come in una pellicola di Richard Donner o John Hughes tutto è grande, ricoperto di plastica. Amata dalle folle (e soprattutto dalle bambine), Wonder Woman è un’icona. Diana Prince invece è rimasta emotivamente bloccata per 70 anni.
Nonostante sia una stimata esperta di storia e antichità allo Smithsonian Institute, non esce con nessuno, non fa amicizia con nessuno. Pensa ancora a Steve Trevor (Chris Pine). Ed è in questo momento che incontra tre elementi che daranno finalmente una spinta alla sua vita da essere umano: Barbara Ann Minerva (Kristen Wiig), Maxwell Lord (Pedro Pascal) e i suoi desideri.
Wonder Woman 1984 è il film più politico del DC Extended Universe
Non solo musica, vestiti e arte: lo spirito degli anni ’80 qui è soprattutto quello della politica del Presidente Ronald Reagan e dell’ascesa di Donald Trump. Il consumismo sfrenato, la mancanza di consapevolezza circa le questioni ambientali, il disequilibrio di potere tra uomini e donne. In questa epoca di edonismo Diana sembra non rispecchiarsi.
Al suo opposto ci sono appunto Minerva, sua college esperta di gemme, considerata “non cool” e quindi ignorata da tutti, che prova immediatamente una grandissima ammirazione per lei, e Maxwell Lord, che, con ciuffo arancione proprio alla Trump (e spot pubblicitari in stile Better Call Saul!) cerca di costruire un impero sulle menzogne, millantando giacimenti di petrolio che non possiede.
Il destino di questi tre personaggi, che rappresentano altrettanti approcci diversi al potere, è unito da un antico artefatto, una pietra in grado di esaudire i desideri. Ognuno di loro ne esprime uno. Ma, come spesso accade, la magia richiede un prezzo.
Barbara desidera di essere come Diana: abbagliata dalla sua bellezza, sicurezza e ammirazione che suscita negli altri, confonde queste qualità con l’essere un predatore
Barbara desidera di essere come Diana: abbagliata dalla sua bellezza, sicurezza e ammirazione che suscita negli altri, confonde queste qualità con l’essere un predatore. Da insicura che non sa camminare sui tacchi si trasforma in un vero e proprio felino, tutta abiti aderenti e aggressività. Acquisendo anche la forza fisica di Wonder Woman, comincia a vendicarsi di chi l’ha minacciata, ignorata, arrivando a trasformarsi nel suo stesso carnefice quando incontra l’uomo che ha tentato di aggredirla.
Patty Jenkis riflette sul femminismo: la stessa Wonder Woman fu creata con questo intento da William Moulton Marston nel 1941, con l’idea di farla diventare un’icona femminista. E sembra dirci che ancora oggi c’è tanta confusione: battersi per i propri diritti non vuol dire imitare gli atteggiamenti aggressivi degli uomini.
Dall’altro lato Diana è ancora confusa: cancellare i sentimenti, dedicarsi soltanto alla propria causa senza mai pensare a ciò che desidera per se stessa è la via giusta per sconfiggere odio e pregiudizio?
Mentre le due litigano, Maxwell Lord non si fa domande: mente, ruba, uccide in nome della sete di potere, arrivando perfino a rinnegare suo figlio.
Non è difficile capire che questo film è stato pensato per muovere una critica alla presidenza Trump. E Wonder Woman 1984 è riuscito a intercettare proprio lo spirito dei tempi, mostrando rivolte popolari (l’occupazione di Capitol Hill è accaduta a inizio 2021), leader sociopatici e senza scrupoli, desiderio di cambiamento.
È davvero un peccato che la pellicola non sia uscita prima delle elezioni USA 2020: forse avrebbe assunto un altro valore. Certamente però è il film più politico del DC Extended Universe.
C’è della Wonder Woman in questo film su Wonder Woman?
Arriviamo quindi alle note meno positive. Per costruire questo ragionamento su politica, femminismo e società, Patty Jenkins e gli sceneggiatori Geoff Johns e David Callaham hanno sacrificato la parte supereroistica. Vediamo poco in azione Wonder Woman e molto più Diana Prince.
E purtroppo quando è finalmente il momento di vederla sul campo le scene d’azione non funzionano: gli effetti speciali non sono all’altezza, le coreografie sono confuse, il montaggio non fa mai capire bene chi e come stia facendo qualcosa. La grande battaglia finale è al buio, con Wonder Woman e la sua avversaria, trasformatasi in Cheeta (lo stadio finale della trasformazione di Barbara), che si confondono con la scenografia. E in un film dedicato all’eroina per eccellenza dei fumetti DC questo è un problema.
Non c’è però soltanto poca Wonder Woman in azione: il suo personaggio viene di volta in volta fagocitato dai co-protagonisti.
Steve Trevor (e quindi Chris Pine) ritorna (si vede già dal trailer) e “la linea comica” a quel punto va in primo piano. Quando c’è, Kristen Wiig si prende la scena sia in versione slapstick sia da villain.
Per non parlare di Pedro Pascal, che trasforma WW84 nel suo film: sembra di assistere a un Pedro Pascal show. Il suoi villain, insieme alla musica di Hans Zimmer, è il punto di forza della pellicola.
Gal Gadot è una delle donne più belle al mondo: ma non riesce a essere convincente quando si tratta di dare spessore drammatico al personaggio. Né quando deve esprimere i suoi conflitti interiori, né fisicamente: si muove sempre come se fosse in passerella e non come una guerriera amazzone.
Non la aiuta però una sceneggiatura si perde presto in una serie di scelte a volte incomprensibili
Non la aiuta però una sceneggiatura che, pur partendo bene, costruendo un discorso politico e due antagonisti finalmente interessanti (e non i soliti pupazzoni in CGI di cui non importa niente a nessuno), si perde presto in una serie di scelte a volte incomprensibili. Ci troviamo di fronte a una pietra magica che esaudisce i desideri (una soluzione di scrittura anche abbastanza pigra) eppure quando è il momento di riportare in vita Steve si sceglie di farlo entrare nel corpo di un’altra persona.
Una cosa abbastanza inspiegabile: primo perché è una complicazione inutile, secondo perché in tempi come questi, in cui ci si interroga sul consenso come in poche altre epoche storiche, si mostra con disinvoltura il corpo di quest’uomo impiegato in atti e situazioni su cui non ha controllo. Una mossa ingenua: non a caso in molti si sono lamentati.
Un peccato: perché, come scritto in questa recensione di Wonder Woman 1984, il discorso portato avanti su desiderio, femminismo e politica non è banale.
La scena iniziale, la scena del volo (dal forte valore simbolico: Wonder Woman impara a volare quando riesce finalmente a bilanciare il suo lato umano e quello di guerriera) sulle note di Hans Zimmer, l’armatura dorata e Pedro Pascal valgono sicuramente la visione. Senza la scelta scellerata fatta per il personaggio di Steve e alleggerito di diversi minuti nella parte centrale Wonder Woman 1984 sarebbe stato un film molto più riuscito. Speriamo che, se ci dovesse essere un terzo capitolo, Patty Jenkins e la sua squadra riescano a mettere a frutto il buono fatto in Wonder Woman e in questo WW84 così da far spiccare davvero il volo all’amazzone di Themyscira.
Ah e attenzione: non interrompete la visione ai titoli di coda.