La recensione di Utopia di Gillian Flynn, cronaca dell’emigrazione trans atlantica della serie british ideata da Dennis Kelly, sedotta e abbandonata da Channel 4 ed ora riportata invita da Amazon.
Alcuni di voi, forse pochi, forse troppo pochi (ma neanche è colpa vostra, visto che in Italia è ancora inedita) conosceranno la storia della piccola serie di Dennis Kelly, sedotta e abbandonata da Channel 4 dopo appena due stagioni, ma che nello spazio concessogli è stata in grado di anticipare temi tristemente legati all’attualità e alcune delle necessità più stringenti del cinema dei giorni nostri.
Nella recensione di Utopia di Gillian Flynn, che dell’opera di Kelly è il remake americano, oltre che a cercare di analizzare al meglio possibile la serie Amazon Original, parleremo quindi per forza e per amore anche dell’originale. Vedete la cosa anche come un invito a recuperarla. Delusi non rimarrete.
Partiamo subito dicendo che sia per la specificità dei contenuti che per la particolarità del linguaggio adottato nell’affrontarli, la serie di Kelly era difficile da adattare e impossibile da emulare, anche per Flynn, che indubbiamente sà scrivere e sà scrivere molto bene, come dimostrano Gone Girl e Sharp Objects. Il suo lavoro di rimescolo degli ingredienti è encomiabile così come il suo tentativo di tradurli secondo il suo linguaggio, che è più divulgativo rispetto a quello di Kelly oltre che legato a forme e tematiche più canoniche della letteratura americana.
Attento a ciò che desideri
In principio c’è un fumetto (o graphic novel, come precisava la Becky della serie originale, affermazione che desterebbe oggi le ire di più di qualcuno), Distopia. Esso racconta la storia di Jessica Hyde e della sua fuga da un centro all’interno del quale si conducevano terribili esperimenti, dove era tenuta prigioniera con il padre, “un geniale nonché eterodosso scienziato”. Un volume diventato nel tempo un cult tra gli appassionati, pochi ma buoni, divisi tra chi lo adora per il suo valore artistico e chi invece lo reputa il remake delle profezie di Nostradamus, contenente gli indizi di tutti i mali che hanno colpito la Terra negli ultimi anni. Un calderone di sociopatici, quarantenni vergini e cospirazionisti. Ovvero i nostri protagonisti.
Wilson Wilson (Desmin Borges), Ian (Dan Byrd), Becky (Ashleigh LaThrop), Grant (Javon Walton) e Samantha (Jessica Rothe), membri di un gruppo online che parla solo delle profezie di Distopia e che reagirebbe come se fosse caduto un meteorite dallo spazio se un ipotetico seguito del fumetto dovesse improvvisamente fare la sua comparsa.
Un calderone di sociopatici, quarantenni vergini e cospirazionisti. Ovvero i nostri protagonisti.
Cosa che accade, naturalmente. La storia vera e propria infatti inizia quando una coppia di ignari giovani trova le pagine di Utopia nella casa dove si è trasferita da neanche un pomeriggio e decide di metterlo in vendita durante una fiera del fumetto, scommettendo sul fatto che l’insana passione di quelle strane colorate creature urlanti possa spendere follie per accaparrarselo. Ancora, il caso dei nostri protagonisti, che non non sono troppo colorati, ma non si fanno pregare per recarsi sul luogo.
Curioso il caso della Cara di Fiona Dourif, qui bellissima, al contrario di quando era interprete di un’altra serie british, anch’essa cancellata.
L’evento diventa una specie di eccentrica terra di confine, in cui realtà e finzione si sovrappongono in un vortice sanguinoso per accaparrarsi il famigerato fumetto, che naturalmente nasconde realmente al suo interno il segreto della più grande cospirazione mai ordita nella storia del mondo. Resta da capire il ruolo che hanno nella storia il dottor Dr. Kevin Christie (John Cusack), la versione green di Steve Jobs se fosse stato un genio della microbiologia, e lo sfigato, ma intelligentissimo dottor Michael Stearns (Rainn Wilson). I due deludenti tenori, in particolare Cusack, tralasciando l’ex Enigmista di Gotham. Incolpevole fino a prova contraria invece Christopher Denham, interprete del personaggio che più soffre il passaggio in America. Curioso infine il caso della Cara di Fiona Dourif, qui bellissima, al contrario di quando era interprete selvaggia di un’altra serie british, anch’essa cancellata.
Nota a margine, sia Distopia che Utopia sono fruibili al di là del loro ruolo nella serie e le loro pagine sono godibili anche singolarmente, merito dello straordinario lavoro dell’illustratore brasiliano João Ruas.
Utopia, Kelly e Flynn
Flynn si cala nell’entroterra culturale dei suoi protagonisti e opera una traduzione basata su una serie di ribaltamenti del punto di vista e un contemporaneo avvicinamento ai suoi topos letterari, nel tentativo di donare alla serie una sua anima. Proposito riuscito solo parzialmente. Infatti nel riadattare un materiale così peculiare in modo da tradurlo in un linguaggio più vicino alle sue corde, Flynn finisce con l’imbrigliare l’Utopia di Kelly, domando la sua aggressività, ma sacrificandone la potenza.
La serie diventa più controllata e parlata, logorroica a tratti, e il viaggio dei protagonisti si trasforma presto in un gioco di rompicapi con tutte le soluzioni in bella vista. Tutto viene mostrato, anticipato e discusso. Vengono create tavole rotonde e (letteralmente) liste concettuali. Tutto al servizio della costruzione dei personaggi, che non ne beneficiano neanche perché le svolte della storia rimangono le stesse dell’originale, che basavano la loro riuscita su tutt’altro tipo di approccio. La situazione peggiora se poi anche le armi per intrattenere sono le brutte copie di quelle di Kelly: un’ironia oppressa dal pedante moralismo americano e una violenza in versione dolcificata di quella british gelante e orrorifica.
Nel riadattare un materiale così peculiare in modo da tradurlo in un linguaggio più vicino alle sue corde, Flynn finisce con l’imbrigliare l’Utopia di Kelly, domando la sua aggressività, ma sacrificandone la potenza.
Errore di concepimento in una serie in cui c’è tanto coraggio (l’idea alla base lo è di per sé) e in cui Flynn fa le cose migliori quando aggiunge materiale suo, originale o solo ispirato, quello si realmente potente ed esemplificativo del motivo che l’ha affascinata in Utopia. C’è una frase su cui si basa tutta la logica della trascrizione della serie, legata al rovesciamento (l’unico veramente azzeccato) della visione del mondo, che da vuoto e acido diventa affollato, anche troppo. Cosa hai fatto per meritare il tuo posto?
Immaginiamo un futuro
Utopia è un ritratto satirico del sogno di tutti quanti i cospirazionisti del mondo, legato a doppio filo alla cultura nerd, i cui adepti sono trattati ancora nella loro visione sfigata degli anni 80, ma con la cura e il rispetto di chi è consapevole che siano i padroni dell’era moderna. E funziona: consente i rimandi e gli easter egg, le citazioni e le battute (divertentissimi i mashup tra i gemelli Weasley e Salamanca di Breaking Bad e tra Grant e Tredici), ma difetta sullo scopo finale per cui il sogno stesso è stato pensato, che è anche la cosa che rendeva così all’avanguardia la serie originale: il racconto del futuro.
Divertentissimo il mashup tra i gemelli Weasley e Salamanca di Breaking Bad e tra Grant e Tredici.
Un pensiero che non sfiora mai la testa di Flynn che anche nell’accennare alla via per arrivarci comincia a parlare di altro, lasciandosi andare (guarda un po’) alla critica politica. Tra le mille pieghe della sociologia e della natura umana si parla dei difetti dell’America e degli americani, spacciati per essere del mondo e dell’uomo, tra la manipolazione dei media e la pigrizia che ha consegnato il Paese in mano a folli ed egomaniaci.
Da anni il cinema è alla ricerca spasmodica di una visione del futuro. Come una nuova corsa all’oro. Lontani sono i tempi in cui uscivano in sala film in cui si poteva assistere a sogni (o incubi) ad occhi aperti relativi a versioni di mondi immaginati in anni che poi sono quelli che viviamo oggi, ben più spaventosi, me ne rendo conto. Ora quello che possiamo trovare sono o versioni uguali alle passate, ma con riferimento temporale spostato in avanti (ogni citazione a Blade Runner 2049 è puramente casuale) oppure ipotesi della fine di questo presente infinito e infinitamente insostenibile. Lo ha fatto la Marvel con Infinity War meglio di tanti altri geni del cinema che da lei hanno preso le distanze per poi copiarla (vedi Tenet di Nolan), ma la parte costruens è lungi dall’essere immaginata. Quella con cui invece giocava Utopia di Kelly (nella prima stagione), flirtando con un ossimoro tra detto e mostrato, in cui sembrava già di essere nel mondo post, rendendosi conto che aveva gli stessi problemi di quello in cui viviamo.
In conclusione della recensione di Utopia possiamo dire che Flynn confeziona un remake commercializzato, ripulito e riadattato. Attuale, non volendo (cosa che ci tiene a sottolineare), divertente e pensato con passione e sincero interesse. Assolutamente non eccezionale, nel senso semantico del termine, peccato che venga da una serie che era solo quello.