Telegram, parla il CEO: “Apple censura i nostri utenti, ma non ci permette di dirlo”

Il CEO di Telegram contro Apple, rea di aver preteso la censura di alcuni gruppi usati dai manifestanti pro-democrazia in Bielorussia. “Non ci permettono nemmeno di dire che siamo costretti a rimuovere i post perché lo hanno chiesto loro”.

“Dovete eliminare quei gruppi, ma non potete dire che ve l’abbiamo chiesto noi”, sarebbe questa la richiesta arrivata a Telegram direttamente dalla Apple. A denunciarlo è il CEO dell’app: secondo Irked Durov, Cupertino avrebbe chiesto a Telegram di eliminare tre gruppi utilizzati dai manifestanti per i diritti civili e la democrazia in Bielorussia.

In passato, quando rimuovevano alcuni contenuti su richiesta di Apple, Telegram rimpiazzava i post con una notifica che avvisava gli utenti del motivo della rimozione, ossia che l’app stava semplicemente obbedendo ad una precisa policy di iOS. Oggi non possiamo più farlo, Apple ci ha contattato diverso tempo fa dicendoci che non possiamo avvisare i nostri utenti con una notifica di questo tipo, perché conterrebbe informazioni “irrilevanti”.

ha spiegato Durov con una serie di post condivisi sul suo canale Telegram. Durov sostiene che Apple stia cercando di «nascondersi dietro ad un linguaggio vago» in modo da non prendersi la responsabilità della censura dei manifestanti.

Secondo un sondaggio, il 94% degli utenti bielorussi ritiene che i canali che Apple ci ha chiesto di rimuovere dovrebbero rimanere attivi. Apple ha il diritto di comportarsi in modo avido ed eccessivamente formalistico (o forse no, ma questo lo devono dire i tribunali e i legislatori). Tuttavia, è tempo che Apple impari ad assumersi le responsabilità delle conseguenze delle sue policy, invece di nascondersi dai suoi utenti: hanno il diritto di conoscere la verità.

In Paesi come la Bielorussia, app fortemente decentralizzate e libertarie come Telegram vengono utilizzate per bypassare le censure del Governo e coordinare le proteste contro la presidenza di Lukašėnka. Ad agosto il Governo aveva tagliato fuori la popolazione dal web per diversi giorni, Telegram —raccontava all’epoca un articolo di Radio Free Europe— era rimasto uno dei pochi strumenti a disposizione dei manifestanti per continuare a rimanere informati sulla violenza delle forze dell’ordine bielorusse.

In Italia la storia è molto diversa, e di Telegram si è spesso si è parlato in relazione ad alcuni gruppi e canali che, al suo interno, promuovevano contenuti illegali. Se dove la democrazia è assente o traballa, come in Bielorussia e in alcuni Paesi del Medio Oriente, l’approccio laissez faire di Telegram è un importante strumento nelle mani dei manifestanti, in Italia quello stesso approccio finisce oggetto d’accusa. Così è successo che lo scorso aprile le associazioni degli editori italiani avessero denunciato —ottenendo tempestiva soddisfazione dalle autorità— alcuni canali dediti alla pirateria dei principali quotidiani disponibili in edicola, mentre, sempre nello stesso mese, Wired aveva scovato una rete di canali e gruppi Telegram che promuovevano e distribuivano attivamente pornografia illegale.

 

 

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