Da sempre, gli scienziati hanno sequenziato il genoma dei virus per monitorare eventuali mutazioni nel corso del tempo: non fa di certo eccezione il recente coronavirus.
Secondo gli ultimi studi pubblicati, la versione attualmente più presente sarebbe quella in forma mutata, denominata D614G.
Secondo quanto riportato da un nuovo studio preliminare effettuato dai ricercartori dello Houston Methodist Hospital, la versione mutata sarebbe responsabile di quasi la totalità delle infezioni da Covid-19 avvenute nel corso di quest’estate in tutto il mondo. James Musser, principale autore di questo nuovo studio, sostiene che questa forma mutata di coronavirus conterrebbe l’amminoacido glicina Gly614 in corrispondenza della proteina spike (implicata nel legame con la cellula bersaglio), e ciò aumenterebbe la contagiosità e il potenziale infettivo rispetto alla versione “originale” del virus.
Uno studio risalente a giugno ha infatti evidenziato come la versione D614G di Sars-CoV-2 sia dalle 3 alle 6 volte più contagiosa nei confronti delle cellule umane in laboratorio rispetto alla versione originale, suggerendo che la mutazione abbia aumentato l’abilità del virus nell’invadere le cellule stesse, compatibilmente a quanto dichiarato dallo stesso Musser.
Nel suo studio sono stati raccolti più di 5000 campioni provenienti da Houston, prelevati nel periodo temporale tra marzo e maggio, e riconducibili alla “prima ondata” di coronavirus. All’interno di questo gruppo è stata evidenziata una presenza dell’82% della mutazione D614G. Nel secondo set di campioni, raccolti tra la fine della prima ondata e il mese di luglio, la mutazione D614G ha rappresentato ben il 99% della totalità dei campioni prelevati, suggerendo una vera e propria dominanza all’interno della seconda ondata.