Un nuovo studio cerca di esplorare l’impatto che guerre e guerriglie hanno sulla vita degli animali selvatici.
Ricercatori dell’Università dell’Anglia orientale (UEA) della Gran Bretagna, dell’Univesitá Federale del Paraiba (UFPB) del Brasile e dell’Università angolese di Agostinho Neto (UAN) hanno pubblicato oggi sul Scientific Reports un’indagine approfondita sul come venga alterata l’esistenza della fauna dei paesi colpiti da conflitti militari.
Il testo riporta molti, se non tutti, gli elementi che stravolgono negativamente gli equilibri biologici delle nazioni in guerra: dalla sospensione dei pattugliamenti anti-bracconaggio all’installazione delle basi militari in aree protette, dalla caccia ai grandi mammiferi alla costruzione dei campi per i rifugiati.
L’impatto più significativo viene tuttavia esercitato in via indiretta, attraverso i cambiamenti istituzionali e socio-economici che avvengono durante e a seguito di questo genere di battaglie intestine.
Anche nei casi in cui si riesca a raggiungere la pace, la povertà, la fame e il desiderio di ricostruire finiscono infatti a limitare le possibilità di ripopolazione degli animali selvatici.
Nella più grande area protetta dell’Angola, la popolazione di 20 dei 26 grandi mammiferi della savana è calata del 77 per cento a causa della guerra, ma negli anni di pace post-bellica che vanno dal 2002 a oggi, un simile declino non è mai stato risolto.
L’indagine riporta anche che, sebbene in durante le ostilità i cacciatori preferiscano puntare le prede di grandi dimensioni, nel periodo post-bellico i bersagli per antonomasia siano creature medio-piccole, se non altro perché i grandi mammiferi risultano ormai decimati.
Nella maggioranza casi, tuttavia, le guerriglie sono fomentate dagli interessi dei paesi stranieri nei confronti delle risorse locali da parte (basti pensare a Niger, Mali e Burkina Faso), mentre in altre situazioni fungono da cornice a guerre per procura dove gli abitanti si massacrano in favore delle potenze estere (si veda lo Yemen).
Questi conflitti internazionali hanno una durata più prolungata ed è meno probabile che si risolvano attraverso la politica. Pertanto, considerando le misure che possono ridurre l’impatto delle guerriglia sugli animali selvatici, enfatizziamo la complicità intenzionale o involontaria dei poteri stranieri, i quali dovrebbero promuovere politiche in grado di mitigare gli impatti dannosi per l’ambiente dei conflitti armati,
ha dichiarato Franciany Braga-Pereira, dottorato di zoologia presso l’UFPB.
Nel loro piccolo, i ricercatori hanno cercato di mantenere un atteggiamento “ottimista”, facendo notare come in alcuni casi le guerre riescano paradossalmente a sostenere il ripopolamento degli animali selvatici. D’altronde nessun umano vorrebbe costruire casa dalle parti di un campo minato.
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