La recensione di Padrenostro, il film autobiografico di Claudio Noce sull’attentato che riguardò il padre nell’Italia degli anni ’70. Primo film italiano presentato nel Concorso del Festival di Venezia.

A sei anni dall’ultimo film, Claudio Noce arriva a Venezia aprendo il concorso degli italiani. La nostra recensione di Padrenostro vi porta nell’Italia degli anni ’70, più precisamente in una Roma dominata da sempre più scontri politici; i famigerati anni di piombo, in cui si verificò un’estremizzazione della dialettica politica che produsse violenze di piazza, lotta armata e terrorismo.

All’epoca Claudio Noce aveva solo un anno, ma il 14 dicembre del 1976 suo padre, il vicequestore Alfonso Noce, fu vittima di un attentato dove rischiò la vita. L’attacco venne perpetrato dall’organizzazione terroristica Nuclei Armati Proletari, in cui persero la vita il poliziotto Prisco Palumbo e il terrorista Martino Zichittella.

 

 

Noce con Padrenostro racconta la terribile vicenda tutta attraverso gli occhi dell’infanzia

Noce con Padrenostro racconta la terribile vicenda tutta attraverso gli occhi dell’infanzia, dell’innocenza, di chi ancora non comprende che alcuni ideali si pagano con la vita e di quanto sia fragile, a volte, l’esistenza delle persone, distrutta per fini politici e sociali.

Riprendersi da una vicenda del genere non è mai facile, per non dire impossibile. La famiglia di Noce restò notevolmente provata dall’avvenimento, in primis il fratello del regista, raffigurato un po’ nel giovane protagonista di questo film.

 

recensione di padrenostro

 

Valerio Le Rose (Mattia Garaci) è un ragazzino biondo, dagli occhi grandi e un po’ solitario. Appassionato di calcio e con un grande amore per il papà che, a causa del lavoro, vede sempre poco. Valerio vive in funzione dell’approvazione del padre e vive ogni suo giorno aspettando il momento in cui potrà condividere con lui. Ma la quotidianità della famiglia Le Rose verrà fortemente compromessa, e destinata ad essere condizionata, a causa di un feroce attentato che vede coinvolto Alfonso Le Rose (Piefrancesco Favino), il papà di Valerio.

Una mattina Valerio viene buttato giù dal letto per una raffica di spari provenienti da fuori la sua finestra. Si precipita con foga ad aprire la persiana e uscire fuori al balcone, per poi assistere ad una scena che cambierà per sempre la sua vita.

Spari, sgommate, sangue. Neanche nei film avrebbe mai sognato di vivere una scena del genere. Il destino di Alfonso è appeso ad un filo, e mentre la madre Gina (Barbara Ronchi) urla e si precipita per la strada, Valerio resta scioccato alla vista di un uomo con il passamontagna che lentamente si dissangua sul viale di casa sua.

 

 

 

La guerra del tema

Le premesse di Padrenostro ci fanno fin da subito comprendere cosa ci voglia raccontare il regista Claudio Noce: non un film sull’Italia degli anni ’70; nemmeno un film sulla politica e sulla società dell’epoca; ma bensì una pellicola analizzata dagli occhi di un protagonista poco più che bambino, il quale si ritrova a fare i conti troppo presto con la crudeltà della vita.

 

recensione di padrenostro

 

Neanche da grande Valerio si ritroverà a superare del tutto i traumi di quel 1976 costellato da una serie di eventi che partono proprio con l’attentato del padre.

Padrenostro è una pellicola intima, che vorrebbe essere profonda e raccontare di un trauma, di un’infanzia rubata e anche di una fase di crescita complessa, in un periodo difficile e con un cognome altrettanto complesso con cui fare i conti. Eppure la storia finisce con l’essere confusionaria, poco precisa, spesso dando per scontato alcuni avvenimenti e dettagli, altre volte cercando di fare il passo più lungo della gamba, finendo con l’essere pretenziosa.

Pretenzioso è il termine corretto per il film di Claudio Noce che non sa bene cosa vuole davvero raccontare

Si, pretenzioso è il termine corretto – purtroppo – per il film di Claudio Noce che non sa bene cosa vuole davvero raccontare: un trauma? L’ossessione di un figlio per suo padre? Una storia di amicizia? Si perché a complicare le cose troviamo anche un amico misterioso di Valerio, Christian, comparso un po’ all’improvviso e che fin da subito ci da l’aria di non essere per davvero lì per caso.

Il film prende fin troppe direzioni, confondendo spesso e volentieri lo spettatore.

Per quanto gli anni di piombo siano stati un tassello fondamentale per la storia italiana, la vicenda Noce potrebbe non essere così conosciuta; ed infatti, entrando in sala completamente all’oscuro non si ha chiara l’idea se il personaggio interpretato da Favino, appunto Alfonso Le Rose, sia un uomo positivo o meno. La prima impressione è proprio quella del malavitoso, di affari sporchi. E la sensazione accresce ancora di più proprio a causa del giovane protagonista, occhi con cui viene inquadrata l’intera storia. Dopo la sparatoria, Valerio sembra quasi intimorito, sfiduciato dal padre, per poi tornare improvvisamente sui suoi passi e ricominciare a venerare la figura paterna.

 

 

La narrazione quindi è goffa, arrogante, imprecisa. La pellicola scorre, ma non riesce mai davvero ad emozionare, coinvolgere, colpire. Una regia pulita, semplice, che non sorprende, non affascina e che fin troppo spesso usa cliché o escamotage piuttosto démodé e desueti.

Vera nota positiva e piacevole è l’interpretazione dei giovanissimi Mattia Garaci e Francesco Gheghi, piccoli grandi protagonisti di questo dramma borghese completamente irrisolto. Naturali, spensierati, puri ed innocenti come dovrebbe essere un ragazzino alla loro età, ma al tempo stesso dagli occhi lucidi, malinconici e tristi di chi sa di aver visto troppo e troppo presto. Di chi ha già assaggiato il lato più amaro, feroce e velenoso della vita.

 

 

L’esigenza del trauma

Lo sguardo innocente di Valerio, il suo soffocante bisogno di certezza ed accettazione, ma anche la difficoltà a respirare, sentendosi in trappola, quella trappola rappresentata da una famiglia borghese, contratta in un clima politico e sociale instabile, pesante.

Padrenostro – come molti dei film presenti in questo Festival di Venezia – insiste sull’esigenza di riflettere sui legami famigliari, sui rapporti tra persone, tra genitori e figli.

Il film di Noce assume quasi una forma terapeutica per elaborare un trauma che lo schiaccia, lo distrugge. Un trauma che condiziona e devasta un’intera famiglia, la quale cerca di combattere violentemente per mantenere vivo il loro legame. Il film urla questo suo disagio interiore, assumendo però la forma di un flusso di coscienza a voce alta e non molto altro. Privo di mordente ed attrattiva, Padrenostro è un qualcosa di talmente tanto intimo, sottile e riservato da allontanarsi completamente dall’esigenza di intrattenimento e coinvolgimento richiesta dallo spettatore, rompendo la necessaria sospensione dell’incredulità.

 

 

In conclusione della recensione di Padrenostro posso solo dire che è ammirevole come Claudio Noce abbia messo al servizio del cinema una storia tanto intima e personale come quella di questo film, ma che al tempo stesso non riesce a creare quella dimensione di irreale, coinvolgendo realmente lo spettatore e finendo con il confezionare una pellicola pretenziosa e superficiale. Non il miglior esordio per gli italiani.