La recensione di Lacci, il film d’apertura della 77esima Mostra del Cinema di Venezia, presentato nella sezione del Fuori Concorso del festival. Il film è diretto da Daniele Luchetti e basato sull’omonimo romanzo di Domenico Starnone.

Parte ufficialmente la 77esima Mostra del Cinema di Venezia. Una Mostra inevitabilmente differente da tutte le precedenti edizioni tra mascherine, distanziamento sociale ed amuchina. Eppure nonostante le strade del Lido ancora timidamente “invase” da giornalisti, appassionati e curiosi, il mortificante muro che copre il red carpet rendendo inaccessibili la parte glamour del festival – già drasticamente ridotta da una selezione che punta alle produzioni nostrane, pellicole di nicchia e poche star oltreoceano – la Mostra del Cinema vuole essere un simbolo di un’arte che non si arresta. Arte che, come tutti, è stata duramente messa al tappeto da un’inaspettata pandemia che ha stravolto il mondo di tutti quanti. Arte piegata dalla chiusura dei cinema, dei set, del precariato e del rinvio di eventi, film e festival stessi. Venezia, prendendosi tutte le sue responsabilità e armandosi di controlli, colonnine di disinfettante e misuratori di temperatura, porta in alto la bandiera del cinema, infondendo un po’ di speranza e anche di ritorno alla vita così come l’abbiamo sempre conosciuta.

 

recensione di Lacci

 

Ed è la recensione di Lacci a inaugurare l’inizio di questa 77esima edizione che dal 2 al 12 Settembre ci terrà compagnia con diversi ospiti, film provenienti da tutto il mondo e piccole scoperte da fare ogni giorno. Una Mostra che, in fondo, ha il sapore di casa, di legami indissolubili ma anche di scelte costrette – nel bene e nel male – di un’industria resa monca dal 2020.

Se lo scorso anno con Marriage Story di Noah Baumbach ci eravamo persi nei meandri di quella che apparentemente era la fine di un matrimonio ma che poi diventava un vero e proprio viaggio sulla nascita di una storia d’amore, di un grande amore; Lacci è l’esatto opposto. Lacci è un film su di una famiglia, una come tante famiglia, e sappiamo bene che il modello Mulino Bianco è anni luce lontano dalla realtà.

 

 

Napoli, anni ’80. Aldo e Vanda sono sposati. Dicono di amarsi. Hanno due bambini: Anna e Sandro.

Napoli, anni ’80. Aldo e Vanda sono sposati. Dicono di amarsi. Hanno due bambini: Anna (Alba Rohrwacher) e Sandro (Luigi Lo Cascio). Aldo è un giornalista radio della Rai. Ogni giorno viaggia da Napoli a Roma, da Roma a Napoli per lavoro; Vanda, invece, è un’insegnante precaria che ha lasciato famiglia e amici per amore, trasferendosi a Napoli.

Entrambi sono l’uno l’opposto dell’altra. Perché se Vanda da una parte è vivace, chiacchierona e un po’ caotica, dall’altra parte Aldo è una persona introversa, schematica e passiva. Un equilibrio non destinato a durare e che, infatti, sotto i nostri occhi si sgretola velocemente con l’ammissione di colpa dell’uomo di averla tradita. Ma la reazione di Vanda non è né di sdegno, né di rabbia o di dolore. Vanda si chiede perché. E no, non perché Aldo ha sentito il bisogno di tradirla con un’altra donna – donna che ama di un sentimento che non è capace di ammettere – ma del perché l’uomo abbia avuto il bisogno di esternare la “malefatta”.

 

recensione di Lacci

 

Perché dirlo? Se non l’avesse detto, tutto sarebbe andato bene. Nessuno avrebbe saputo. Capita, si va avanti. Ed invece no, egoisticamente Aldo ha detto una verità non tanto per il peso del tradimento, quanto per il bisogno di ferire, di liberarsi di una colpa che lo divora, e Vanda questo lo sa e non può accettarla.

Nella vita può capitarti di tutto, a me è capitato questo. Questo amore. Questo matrimonio. Questi figli. Ci siamo fatti un patto che non c’entra con l’amore, ma con la lealtà.

Ma si può parlare davvero di lealtà in una relazione? In un matrimonio? E fin dove ci si deve spingere, sacrificare per il fantomatico “bene dei figli”?

Lacci apre una serie di suggestioni, di riflessioni con il ritratto di Vanda e Aldo, portandoci nella loro rottura, separazione, sgretolamento che li vedrà distanti ma poi nuovamente vicini. Vicini solo per dimostrare a loro stessi che per un bene più grande possono andare oltre, perché nella vita bisogna perdonare e dimenticare, perché una famiglia è composta da un padre e una madre, perché non importa quello che vuoi ma è importante mantenere le facciate, le apparenze, anche a discapito di sgretolare, definitivamente, quel briciolo ormai rimasto.

 

recensione di Lacci

 

E Vanda (Elena Morante) e Aldo (Silvio Orlando) arrivano ad essere due estranei conviventi, carichi di segreti, rimpianti e rimorsi. Spuntandosi silenziosamente veleno in faccia, tra frecciatine spietate, calpestando ancora di più il sentimento che li ha uniti, ma al tempo stesso odiandosi da vicino.

La trasposizione cinematografica di Luchetti è la messa in scena più comune di quanto l’esasperazione del modello stereotipato della famiglia possa distruggere tutto

La trasposizione cinematografica di Luchetti, ambientata in una Napoli e Roma di cui abbiamo solo una vaga suggestione ma senza che mai gli stereotipi o le caratteristiche tipiche della città influenzino le vite e le azioni dei personaggi – anche perché Lacci è, in fondo, una storia universale – è la messa in scena più comune di quanto l’esasperazione del modello familiare distrugge tutto, in primis l’amore, e che spesso il “bene dei propri figli” e solo una mera scusa per non ammettere “il fallimento”. Come se un amore finito, un tradimento, una separazione si possano davvero considerare un fallimento.

 

 

E questo, con l’andare del tempo, si tramuta in rancore e rimorso, sentimenti che invece di salvare i famosi figli, li sporca, li appesantisce e disincanta nei confronti di un mondo che no, non è una copertina di giornale né lo spot di una merendina, ma semplicemente è un mondo imperfetto dove l’amore diventa un’arma a doppio taglio, i bambini diventano adulti e gli adulti i bambini.

Luchetti, però, nel tracciare il dramma di una tipica famiglia imborghesita, non riesce a conquistare fino in fondo.

Lacci è un film che scorre, con il quale è facile anche riconoscersi, chi per un motivo e chi per l’altro, ma che alla fine scalfisce la superficie di una tema molto più profondo.

E questo lo si nota fin dai personaggi incerti, poco approfonditi, traballanti nei dialoghi che riescono ad emergere grazie ai loro interpreti. La doppia coppia Rohrwacher-Lo Cascio e Morante-Orlando funziona nel complesso, eppure c’è sempre qualcosa che non convince mai del tutto lo spettatore.

 

 

Forse l’esasperazione tipicamente italiana di drammi borghesi di questo genere di cui – diciamolo pure – registi come Muccino ci hanno reso fin troppo saturi, non riesce a conquistare completamente, allontanandoci in più di un’occasione proprio quando riesce ad immergersi nella catarsi della storia.

In conclusione della recensione di Lacci, per quanto piacevole e scorrevole, la pellicola di Luchetti figura bene nel fuori concorso di un Festival creato in condizioni d’emergenza, ma difficilmente riesce a rendere davvero giustizia all’apertura di un’edizione che, forse, avrebbe dovuto osare di più, decisamente di più.

 

Lacci sarà distribuito al cinema dal 1 Ottobre da 01 Distribution