Microsoft conferma di star discutendo l’acquisto di TikTok, ma prima di portare avanti le trattative punta a ottenere la benedizione di Donald Trump.
In un post pubblicato poche ore fa sul suo blog ufficiale, Microsoft ha ufficializzato quanto ormai era noto, ovvero che l’azienda starebbe valutando di rilevare le quote cinesi del noto social TikTok.
Martellata dalle costanti accuse di spionaggio mosse dal presidente statunitense, l’app si trova ora nella condizione di volersi allontanare dalla sua casa madre pur di continuare indisturbata le proprie attività, eppure neppure l’ipotesi di rottura dei rapporti con la Cina sembrava essere in grado di placare l’antagonismo del Governo.
Venerdì scorso, venuto a sapere delle mire di Microsoft nei confronti di TikTok, Trump si era infatti detto pronto a imporre in fretta e furia nuove leggi atte a impedire che un’azienda americana potesse mettere le mani sulle quote del social controllate da ByteDance.
Per evitare che la situazione degenerasse, il CEO Microsoft, Satya Nadella, è entrato personalmente in contatto col presidente per discutere l’intera faccenda. Secondo alle fonti di Reuters, il dialogo avrebbe portato a una “tregua” di 45 giorni in cui le due Big Tech potranno discutere indisturbate i termini della compravendita.
Nel giro di settimane, Microsoft procederà speditamente nelle contrattazioni con l’azienda proprietaria di TikTok, ByteDance, e prevediamo in ogni caso di completare il confronto non più tardi del 15 settembre 2020. Durante questa fase non vediamo l’ora di proseguire il dialogo con il Governo degli Stati Uniti, presidente incluso,
sostiene la nota pubblicata da Microsoft.
Sedata l’emergenza, l’amministrazione Trump sta però già spostando i riflettori su altri lidi: in un’intervista rilasciata al programma Sunday Morning Futures di Fox News, il Segretario di Stato Mike Pompeo ha dichiarato che il Governo intenda colpire “a breve” le aziende tech cinesi.
Nello specifico, l’uomo politico ha menzionato la più nota app cinese di messaggistica, WeChat, accusandola esplicitamente di fornire i dati degli utenti statunitensi al Partito Comunista di Xi Jingping.
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