Tra le grandi problematiche causate dall’uomo c’è sicuramente il Pacific Trash Vortex: la più grande chiazza di immondizia galleggiante nell’Oceano Pacifico. La chiazza ormai, soprannominata Isola di Plastica, ha la grandezza di una nazione.

Pacific Trash Vortex è il grande accumulo di spazzatura galleggiante, prevalentemente formato da plastica, che si trova in mezzo all’Oceano Pacifico fra il 135º e il 155º meridiano Ovest e fra il 35º e il 42º parallelo Nord. La sua estensione tende sempre a cambiare quindi non è ben nota, le stime però vanno dai 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km² (un’estensione che equivale quasi agli Stati Uniti d’America), con una percentuale che arriva al il 5,6% dell’Oceano Pacifico. L’accumulo si è formato a partire dagli anni ottanta, a causa dell’incessante inquinamento da parte dell’uomo ovviamente e dall’azione della corrente oceanica la North Pacific Subtropical Gyre, dotata di un particolare movimento a spirale in senso orario.

La dimensione è variabile ma si attesta intorno ai 10 milioni di km²

Questo vortice confluisce al centro una regione relativamente stazionaria dell’Oceano Pacifico che permette ai rifiuti galleggianti di aggregarsi fra di loro, formando un’enorme “nube” di spazzatura presente nei primi strati della superficie oceanica.

Purtroppo anche l’Oceano Atlantico non è da meno e ha la sua isola di rifiuti seppur leggermente più piccola: la North Atlantic garbage patch nella quale purtroppo molti animali, come tartarughe e uccelli, muoiono a causa dell’inquinamento da plastica, soprattutto a causa della sua ingestione che può provocare occlusioni o perforamento dell’apparato digestivo.

 

 

L’esistenza della Grande chiazza di immondizia del Pacifico fu annunciata, a seguito di studi sull’inquinamento, in un documento pubblicato nel 1988 dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti.

Le predizioni erano basate su risultati ottenuti da diversi ricercatori con base in Alaska che, fra il 1985 e il 1988, misurarono le aggregazioni di materiali plastici nel nord dell’Oceano Pacifico. La predizione oltre che rispettata, è stata ampiamente superata e mentre i rifiuti galleggianti di origine biologica sono spontaneamente sottoposti a biodegradazione, la plastica purtroppo si fotodegrada, ovvero si disintegra in pezzi sempre più piccoli fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono. Questi ultimi polimeri inoltre rimangono plastica e la loro biodegradazione resta comunque molto difficile.

La fotodegradazione della plastica può produrre inquinamento da PCB.

Il galleggiamento delle particelle plastiche, che hanno un comportamento idrostatico simile a quello del plancton, ne induce l’ingestione da parte degli animali planctofagi, e ciò causa l’introduzione di plastica nella catena alimentare. L’isola costituisce, purtroppo, un nuovo ecosistema dove la plastica è colonizzata da circa mille tipi diversi di organismi eterotrofi, autotrofi, predatori e simbionti, alcuni dei quali apparentemente in grado di degradare la materia plastica e gli idrocarburi.

In esso si trovano anche agenti potenzialmente patogeni, come batteri del genere vibrio. La plastica, a causa della sua superficie idrofobica, presenta una maggior resistenza alla degradazione e si presta a essere ricoperta da strati di colonie microbiche.

Gli effetti per l’ambiente non sono stati ancora studiati in maniera approfondita e appaiono di difficile valutazione a causa della grande estensione del fenomeno, ma sono purtroppo importanti.

Si pensa soprattutto alle alte concentrazioni di PCB (molto tossici e probabilmente cancerogeni) che possono entrare nella catena alimentare, ma anche alla capacità della microplastica di fornire un supporto alla proliferazione di colonie microbiche di patogeni. Più in generale, è preoccupante la presenza di rifiuti pervasivi e tossici, in un ecosistema fondamentale, durante periodi di decine o centinaia di anni e lo ricordiamo, oggi, in particolare, che ricorre la Giornata Mondiale degli Oceani.

 

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