Il genere fantasy da anni è uno dei generi più letti nel mondo. Tolkien ha creato un mito, Martin continua a far sognare i suoi lettori e la Rowling è entrata nelle leggende della letteratura. Ma anche in Italia si sta realizzando una rivoluzione culturale basata su un fantasy meno anglosassone e più nazionale.
La fantasia è una naturale attività umana, la quale certamente non distrugge e neppure reca offesa alla Ragione, né smussa l’appetito per la verità scientifica, di cui non ottunde la percezione. Al contrario: più acuta e chiara è la ragione, e migliori fantasie produrrà.
J.R.R. Tolkien
Chi, se non Tolkien, autore di una delle saghe fantasy più famose di sempre come Il Signore degli Anelli, poteva essere il fautore di un genere che avrebbe donato a migliaia di lettori viaggi attraverso regni o interi mondi con guerrieri eroici, creature di ogni tipo e malvagi stregoni.
Il fantasy di per sé ha un’accezione molto antica e radicata nelle mitologie storiche, dalle saghe norrene, celtiche e dei nibelunghi, per passare alla mitologia omerica e greca, ma è nel XX secolo che la parola inizia a racchiudere un immaginario ben preciso, che spesso include storie di elfi e draghi.
Negli anni ottanta gli spettatori impazzivano per i vari Conan, LadyHawke o Excalibur… e poi tutta una serie di giochi di ruolo ispirati a tutta la mitologia nata nelle pagine de Il Signore degli Anelli.
Il fantasy è identificato moltissimo con gli scritti anglosassoni, ma l’Italia non è stata a guardare: il primo esponente italiano del fantastico? Italo Calvino.
L’Italia in tutto ciò non è stata propriamente a guardare, anche se da parte di tantissimi scrittori il confronto con la letteratura anglosassone e germanica è sempre stato piuttosto impari.
Da alcuni anni il vento sta cambiando e i miti e leggende della nostra cultura, da quelle nordiche alpine, per passare a quelle più propriamente del sud, inserite in un contesto geografico molto vicino alla morfologia della nostra nazione, hanno iniziato a far da sfondo a numerosi racconti e storie: il “fantasi” italiano con la I si stava pian piano facendo conoscere.
Tutto iniziò con Mariangela Cerrino che usò i miti etruschi ne I cieli dimenticati, poi ci fu il successo de L’ultimo Elfo di Silvana De Mari, ma fu Licia Troisi, la prima ad affacciarsi con successo come autrice italiana di fantasy riscontrando numeri straordinari per questo genere; tuttavia le Cronache del Mondo Emerso, create dalla giovane scrittrice di Ostia, sono ancora molto vicine all’immaginario classico donato da Tolkien e Martin.
La ricerca, da parte di numerosi scrittori, si è basata sulla grande tradizione fantastica del nostro paese, non a caso uno dei massimi esponenti del fantastico, Italo Calvino, è anche uno degli scrittori italiani più noti all’estero. Il movimento letterario italiano si sta popolando di nuovissimi scrittori che stanno realizzando una piccola rivoluzione culturale.
Per conto mio arrivo al fantasy attraverso la coincidenza di due linee: una intellettuale ed una emotiva.
racconta lo scrittore Giovanni De Feo, autore de Il Mangianomi e dell’Isola dei Liombruni
Quella intellettuale è la linea speculativa, cioè il porsi domande che siano insieme mitopoietiche e filosofiche. L’altra parte è quella legata alle atmosfere di certi luoghi, specie se li ho vissuti nell’infanzia. Non a caso tutti ragazzi dell’Isola dei Liombruni hanno nomi presi dai personaggi de Il Cunto dei Cunti di Basile, che trovo infatti un terreno felicissimo perchè vicino alle storie che ho ascoltato nella mia infanzia.
La mia famiglia è Irpina, e da bambino sentivo storie dell’incontro delle zie di mio padre con i Monacielli, gli spiriti bambini che vivono nelle case.
Penso quindi che l’idea di un fantastico nostro, mediterraneo – continua Giovanni De Feo – abbia senso solo se non si faccia un’operazione di pura cosmesi e avrà valore nella misura in cui non sarà eco di qualcos’altro.
Parafrasando Sergio Leone, credo che la letteratura fantastica sia anche “spettacolo” e che lo spettacolo più affascinante sia quello del Mito. Non penso però che uno scrittore del fantastico debba solo “importare” le mitologie locali, credo invece che debba farle proprie e con esse ricreare la sua mitologia.
Una cosa interessante che si capisce leggendo le lettere di Tolkien, è che l’autore Inglese ha creato il materiale epico che alla fine ha formato i suoi romanzi perché pensava che il suo paese, benché ricchissimo di folklore, non aveva una sua epica fantastica.
Tolkien non ha semplicemente preso il folklore inglese e ne ha fatto epica: lo ha ricreato da zero a modo suo.
Il fantasy è infatti “inventio” nel senso originale del temine: si cerca quello che già c’è per farci qualcos’altro. La possibilità di creare un mito da zero è una libertà che amo sopra ogni altra.
Per esempio nel romanzo che ho pubblicato nel 2019 La Stanza Senza Fine, ho creato una mia mitologia della memoria giocando con il mondo della fotografia, dei ricordi e della possibilità di far vivere al protagonista un tempo potenzialmente illimitato nelle sue foto, una specie di immortalità dell’Immemore.
A differenza di altri forme di letteratura speculativa, come la fantascienza, il fantastico puro per me è quello dove permane un elemento preponderante di mistero, qualcosa che resisteall’interpretazione razionale –all’idea del “messaggio”– e che va interpretato come la mattina cerchiamo di comprendere i nostri sogni. O almeno, questo mi prefiggo io quando scrivo un romanzo fantastico”.
Le leggende delle antiche tradizioni del nord hanno senz’altro contribuito alla creazione di queste nuove storie, ma ci sono scrittori come Roberto Recchioni che per realizzare il proprio mondo fanno affidamento su luoghi fisici ben prestabiliti come la campagna laziale o le strade interne della Tuscia, quei boschi polverosi e in un certo qual modo ancora selvaggi che hanno bisogno soltanto di un qualcuno che possa dargli voce.
“Quello che stiamo cercando di fare con i nostri racconti è unire la nostra grande tradizione fantastica – afferma Roberto Recchioni, curatore di Dylan Dog e autore della saga YA – i nostri numerosi cavalieri, sparsi tra i vari Orlando Furioso o la stessa Armata Brancaleone, riportandoli in un mondo meno celtico e tolkieniano possibile.
Il mio fantasy è sporco, molto polveroso, si possono riconoscere luoghi che vanno da Civita di Bagnoregio alla Lucania, l’alto Lazio che confina con l’Umbria; mi sembrava naturale rifarmi al nostro retroterra culturale più che quello anglosassone che non mi appartiene.
Il primo capitolo di Ya è uscito nel 2015 con La battaglia di Campocarne, nel 2017 il secondo capitolo Ya L’Ammazzadraghi e nel 2021 uscirà il terzo capitolo.
Un’idea di mappa del fantastico italiano è un qualcosa a cui stiamo lavorando tutti, pur non sapendolo, affrontando attraverso l’italianità personaggi molto più piccoli che credono molto poco all’idea di un mito più grande di loro e che affrontano sfide e difficoltà meno leggendarie. Il mio fantasy di provincia, inserito in un’Italia molto medievale, è una riflessione attorno all’importanza delle storie e di chi le racconta.
Noi autori stiamo attuando dal basso una “rivoluzione” che permette di esplorare l’Italia attraverso leggende, miti e soprattutto luoghi che magari una volta si ascoltavano intorno al fuoco o durante feste popolari; una rivoluzione che cerca solo di sdoganare in qualche modo gli stereotipi classici che provengono dai miti celtici, norreni e dall’immaginario tolkieniano, fornendo al lettore un tipo di fantasy radicato in Italia e non un “rifacimento” di opere già scritte.
L’intento è far riappropriare le storie con l’Italia, non andare forzatamente a cercare miti nordici, ma magari mutuare personaggi in realtà quotidiane di una nazione con delle potenzialità geografiche, e soprattutto storiche, molto forti.
Un altro esponente della corrente italiana e della nostra tradizione è Vanni Santoni, autore di Terra Ignota e L’impero del sogno.
“Quando decisi di gettarmi nel genere fantasy, dopo vari romanzi realistici che avevano ottenuto bei riscontri critici e di pubblico, alcuni miei colleghi mi sconsigliarono di farlo proprio per come è visto questo genere in Italia.
Dieci anni fa, il fantasy in Italia era ancora qualcosa da mascherare da “fantastico” o da nascondere con pseudonimi; qualcosa di addirittura vergognoso da praticare: e anche per questo la sfida stava diventando sempre più allettante.
Oggi, con tre libri fantasy (su undici) alle spalle, sono contento di aver usato il mio vero nome anche per essi – racconta Vanni Santoni – specie dopo che L’impero del sogno mi ha permesso di legare i due filoni, oltre che di elaborare una mia via al fantastico, di ispirazione italiana ma senza rinunciare all’intero canone, dato che siamo ormai in ambito di Weltliterature anche nei “generi”.
Ma se Terra ignota affondava le radici anche nel mito arturiano, nel manga e nel cinema fantasy americano anni ’80, L’impero del sogno, che pur ammicca al mondo dei videogiochi, anche nelle sue scelte strutturali, è pieno di rimandi al nostro folklore, ci sono divinità etrusche e sarde tra gli antagonisti, e luoghi ricolmi di medioevo come Firenze e Pisa.
Il fantastico in Italia non è più visto come un genere da bistrattare.
Oggi la percezione del fantastico in Italia sta cambiando, ed essere tra i motori di questo cambiamento – ricorderei anche il saggio Di tutti i mondi possibili, che ha contribuito a dare serietà al dibattito critico attorno al fantasy e le raccolte Zappa e spada – ci responsabilizza.
Non è un caso che negli ultimi anni anche i più grandi autori si siano cimentati col genere: l’ultimo Nobel, Ishiguro, ha scritto, oltre che un libro distopico come Non lasciarmi, anche un fantasy puro come Il gigante sepolto”.
L’entroterra sardo con le sue miniere abbandonate, le vette dolomitiche con le proprie leggende su gnomi e fate, una Sicilia che non ha nulla da invidiare alle storie di frontiera del far-west, insieme ai boschi dell’Italia centrale e le numerose tradizioni pagane del fantastico italiano, si stanno riscoprendo in questi anni con lo scopo di dare dignità a un genere che era quasi esclusivamente terreno fertile di anglosassoni o americani.
Gli editori iniziano a credere a questo cambiamento e non è un caso che nascono anche progetti editoriali come Zappa e Spada – Spaghetti Fantasy, un’antologia di racconti ambientati in una simil-Italia medievaleggiante, edita dalla casa editrice Acheron Books, che ha deciso di specializzarsi nella narrativa fantasy ad ambientazione italiana.
L’Italia e il fantasy quindi, grazie all’intraprendenza di autori ed editori, stanno iniziando a realizzare un cammino comune, basato sulle grandi storie e folklore della nostra tradizione, perché come leggiamo nell’incipit di Ya di Roberto Recchioni
Ricordati questo ragazzo, le storie non sono mai stupide. Le storie sono tutto quello che abbiamo. Senza di loro… non siamo niente.
In testa all’articolo e in cover oggi: illustrazione di Roberto Recchioni per Ya – L’Ammazzadraghi.