Nel mondo del cinema e dello sport ci sono delle coppie che rimarranno indelebili per sempre e se parliamo di ciclismo senza dubbio Coppi-Bartali è il riassunto di tutto ciò che concerne l’essere una coppia: odio e amore, rispetto e agonismo, l’importanza dell’uno nei confronti dell’altro. Ma la storia di Bartali, divenuto Giusto tra le Nazioni è ancor più straordinaria.
Oltre allo sport a volte c’è anche tanto di più ed è proprio la straordinaria storia di Gino Bartali, raccontata dalla nipote Gioia, che rende il campione ancor più sorprendente di quello che si possa pensare.
Siamo nei primi tempi appena dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 ed è l’alba quando Gino Bartali apre l’uscio di casa, tranquillizza la sua cara moglie Adriana e da un bacio al suo piccolo Andrea di appena due anni. Nel suo cuore sa e spera di tornare presto, ma non prima di aver compiuto il suo dovere. Al Cardinale di Firenze, Elia Dalla Costa, ha dato la sua parola di portare a termine la sua missione.
A fargli compagnia solamente la sua fedele compagna a due ruote, instancabile amica che l’ha visto vincere, appena pochi anni prima, i suoi due primi Giri d’Italia e il Tour De France nel 1938. Sembra trascorso così poco tempo e invece, la guerra ha già stravolto la vita di tutti, non solo la sua.
Gino Bartali decide di entrare in una rete clandestina che si adoperava per poter salvare ebrei dalla deportazione
Addio gare, solo fame, sofferenza e miseria, ma nonostante ciò la sua esplosività muscolare e grande cuore potevano essere utili per una nobile causa. Gino Bartali sapeva infatti quale fosse la cosa giusta da fare e non ha esitato ad entrare in una rete clandestina che si adoperava con tutti i mezzi per poter salvare più ebrei possibile dalla deportazione.
Una delle soluzioni più efficaci si rivelò proprio quella di falsificare i documenti d’identità, arrotolarli con attenzione e infilarli uno ad uno nella canna della sua bicicletta.
Nei suoi lunghi viaggi decide di indossare la maglia con scritto a caratteri cubitali “Bartali” e lo fa non per pavoneggiarsi, ma per essere ancor di più riconosciuto ai vari posti di blocco nella speranza che i vigili o soldati che l’avrebbero fermato l’avrebbero lasciato andar via in poco tempo, magari solo con la richiesta di un autografo. Il pretesto dell’allenamento poi poteva funzionare come scusa nel caso lo avessero fermato distante da Firenze.
Con sé portava solamente un cacciavite per ogni evenienza e un tubolare in caso di forature. Era un ottimo meccanico, non aveva bisogno di nessun aiuto per la sua bicicletta. Nel silenzio di un’alba che annunciava un altro giorno di paura per tanti ebrei perseguitati, un piccolo grande uomo spingeva più forte che mai sui suoi pedali considerando la grande forza nelle sue gambe non solo un privilegio ma un vero e proprio dono di Dio.
Nessuno potrà mai raccontare cosa abbia realmente pensato o immaginato durante quelle lunghe e interminabili ore che hanno accompagnato i suoi viaggi solitari, di certo sapeva perfettamente che la sua non era una gara, per lo meno non del tipo a cui era abituato.
Da solo ha dovuto combattere ogni istante contro avversari sempre più grandi, come la paura, il tempo e gli imprevisti e a chi chiede perché lo abbia fatto la risposta è nelle sue parole più famose:
il bene si fa ma non si dice
Intervista alla nipote Gioia Bartali
Nasce da un’amicizia, nata prima della guerra, con il cardinale Elia Dalla Costa di Firenze che ovviamente non gli ha escluso la vicinanza anche con altri cardinali, tralasciando che mio nonno era amico di tutti i Papi. Dopo l’8 settembre, in quel momento di caos generale dove i tedeschi prendevano gli ebrei e i dissidenti politici, c’è stato bisogno di una figura come quella di mio nonno.
Il cardinale Elia Dalla Costa già operava in questa rete clandestina Delasem (acronimo di Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei) ma a un certo punto ha avuto necessità di una persona che fungesse da postino da Assisi a Firenze, una persona della quale si fidasse ciecamente e, data l’amicizia e il rapporto che scorreva tra il cardinale e mio nonno, decise di affidargli questo compito.
Il Cardinale Elia Dalla Costa aveva bisogno di un uomo fidato per le operazioni clandestine e che fungesse da postino da Assisi a Firenze
Inoltre mio nonno conosceva anche l’allora vescovo di Assisi, monsignor Nicolini, quindi nel momento che hanno deciso di chiamare lui sapevano perfettamente che tipo di persona fosse: una persona predisposta assolutamente per il bene. In quel momento mio nonno poteva anche rifiutare una missione di questo tipo ma dall’altra parte aveva capito che quel dono, quella forza esplosiva nell’andare in bicicletta poteva essere messa veramente a servizio degli altri e quindi ha fatto semplicemente il suo dovere.
Gino Bartali poi è stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem nel 2013, ha portato con sé tutta la vita un segreto meraviglioso stretto nel suo cuore e mai confessato. Da buon cristiano si è messo a disposizione di chi aveva bisogno del suo aiuto e senza per questo chiedere mai nulla in cambio.
Se io ho piacere di parlare con i ragazzi di Gino Bartali è perché credo fortemente che lui sia un validissimo esempio, sotto tantissimi punti di vista: i valori, i principi, la solidarietà, il coraggio, l’umanità ecco che oggi devo essere sincera faccio fatica a trovare una figura analoga a quella di mio nonno. Il mondo mediatico è molto veloce, si punta molto all’apparire mentre per mio nonno l’apparire non ha mai significato niente.
L’Olocausto e la memoria sono dei temi troppo importanti per lasciarli sul dimenticatoio. Chi salva una vita salva il mondo intero, mio nonno con questa attività clandestina ha salvato più di ottocento persone e aggiungo una storia che nessuno conosceva fino a poco tempo fa nemmeno mia nonna, l’aver nascosto una famiglia di ebrei in una cantina vicino casa sua.
Ha tenuto nascosto anche alla moglie per più di un anno la clandestinità di una famiglia ebrea in una cantina vicino casa
Proprio il figlio di questa famiglia, Giorgio Goldenberg, ha dato l’opportunità a mio nonno di essere nominato Giusto tra le Nazioni in quanto serve una testimonianza diretta di un ebreo salvato per essere nominato Giusto, cosa che gli ottocento ebrei che hanno ricevuto i documenti non sapevano che fosse mio nonno a trasportarli.
Quando nel 2010 ci fu questo appello, al quale rispose Giorgio Goldenberg, immaginate lo stupore di mio nonna ignara che per più di un anno suo marito clandestinamente portava del cibo e nascondeva un’intera famiglia in una cantina a pochi metri dalla loro casa. La memoria serve a questo, anche se sono storie che possono fare male, servono senza dubbio a far sì che non accadano più.
Rapporti professionali tranne mio nonno non ne abbiamo avuti, tra l’altro in passato è stato proprio mio nonno a non incoraggiarci a seguire le sue orme (né ai figli né ai nipoti) perché per lui il ciclismo è stato veramente uno sport e lavoro molto difficile, ricco di tanti imprevisti, sacrifici e soprattutto di tante cadute e difficoltà quindi per lui era uno sport pericoloso.
Tra l’altro mio papà Andrea mi raccontava che quando lui prendeva la bici, mio nonno gli chiudeva immediatamente il cancello di casa per rendervi conto di quanto fosse terrorizzato. Poi alla fine in famiglia di Bartali ne è bastato uno.
A me ovviamente fa solo che piacere anche perché io dico sempre che dove si parla di Fausto in qualche modo si parla di Gino e viceversa. Mio nonno, in qualche modo ha dovuto portarsi dietro per moltissimo tempo questo pezzo di storia del ciclismo dato anche dalla prematura morte di Coppi.
Ricordo in primis il rispetto che c’era tra loro, valore fondamentale, molto corretti entrambi, Fausto era una persona molto sensibile e totalmente differente da mio nonno sia dal punto di vista caratteriale che da quella più prettamente fisica. Questo non toglie che nella loro carriera sportiva ci sono stati degli episodi straordinari, anche da avversari, come la foto più famosa di questo scambio di borraccia segno tangibile di quello che può rappresentare la solidarietà sportiva.
Due atleti che hanno lottato uno contro l’altro senza risparmiarsi ma con un rispetto veramente oltre le righe, mi piacerebbe che questo gesto sia visto dalle nuove generazioni proprio come esempio da applicare quotidianamente nelle proprie sfide sportive.