I passaggi artici, sia ad est che ad ovest, sarebbero stati scoperti prima se il ghiaccio non li avesse gelosamente protetti. Ora che un rapido cambiamento climatico sta colpendo il nostro pianeta, l’Artico è spogliato dal suo solito costume ed è esposto a traffici prima impensabili.
Come spesso accade con eventi troppo remoti e poco documentati, non è possibile ricostruire con precisione i fatti realmente accaduti. Per questo non riusciamo a determinare con certezza quali sono state le terre descritte Sull’Oceano di Pitea.
Il racconto del viaggio, risalente al 325 a.C. circa, è un Periplo, ovvero un’analisi dell’itinerario e delle sue vicende, descritte secondo un certo schema. In questo racconto, che purtroppo è andato perduto, l’esploratore greco, in viaggio verso le più importanti piazze dello stagno, descrive quelle che sono le coste della Britannia.
Ma ciò che rende memorabile questo viaggio è l’inesauribile voglia di Pitea di spingersi oltre, nonostante gli scarni mezzi. Anche ad obiettivo compiuto, il suo navigare proseguì oltre l’esplorato; dopo circa sei giorni in mare in direzione nord, giunse su un’isola a cui darà il nome Thule.
Qui ci racconta del popolo che abita l’isola e del cibo di cui si nutrono, facendo menzione del miele. Presta molta attenzione anche agli inusuali fenomeni a cui assiste con stupore, riferendosi all’aurora boreale come il sole a mezzanotte.
Thule non trova ancora una collocazione esatta, ma il suo caliginoso mito perdura ancora oggi; nella letteratura classica, come nella cultura contemporanea, questo nome è stato più volte ripreso in diversi contesti, ma il più delle volte indica una qualsiasi terra lontana. Il primo ad utilizzare questa espressione fu Virgilio, il quale scrisse Ultima Thule, per riferirsi alle terre estreme.
Tornando al viaggio di Pitea, Thule dovrebbe verosimilmente corrispondere all’Islanda o alle Isole Faroe poiché da queste terre, il viaggiatore, con ogni probabilità deve essersi spinto sino in Groenlandia.
Da autori successivi come Strabone, il quale crede che tale viaggio sia solo un’opera di fantasia, apprendiamo che Pitea fosse bloccato nel proseguire la navigazione da qualcosa che non riusciva a comprendere del tutto:
Pitea parla anche di acque intorno a Thule e di quei posti dove la terra, propriamente parlando, non esiste più, e neppure il mare o l’aria, ma un miscuglio di questi elementi […] sul quale fosse precluso il cammino o la navigazione.
Strabone, Geografia
Collocando Pitea sul bordo del Circolo Polare Artico, ad oggi non ci è difficile immaginare quanto astrattamente descritto, ma resta vero che Pitea sia stato il primo a documentare la presenza di un mare ghiacciato e per questo non navigabile, anticamente conosciuto come Mare Congelatii.
Un Solo Grande Oceano
Dopo Pitea, solo le popolazioni norrene, come i Vichinghi, un po’ per caso si lanciarono nell’esplorazione transoceanica avvicinandosi al circolo polare artico. Intorno all’anno Mille, raggiunsero la costa occidentale dell’attuale Canada, precisamente Terranova, insediandosi in diversi altri siti, anche in Groenlandia; purtroppo, un forte calo delle temperature noto come Piccola età Glaciale, rese ancora più difficile sopravvivere in quei luoghi già così ostili. Per questo, verso la prima metà del XV secolo abbandonarono ogni cosa lasciando però le prove che ci consentono di affermare il loro primato temporale tra tutti i popoli che raggiunsero il nuovo continente.
Invece, le ragioni che vedono lontane le popolazioni della bassa Europa da queste terre gelide, sono sicuramente la mancanza delle conoscenze e della strumentazione necessaria ad intraprendere viaggi ad alto rischio come questo, senza dimenticare gli esosi costi economici da affrontare in caso di fallimento. Infatti, per i navigatori sporgere il naso fuori dal Mediterraneo, all’alba del XV secolo, significava fare un tuffo nell’ignoto, destinati ad esser giuoco di Eolo e Poseidone.
Le prime timide e temerarie esplorazioni si realizzarono per mano dei portoghesi che, attratti dalle ingenti ricchezze in circolazione nel Marocco, si cimentarono a costeggiare l’Africa, cercando di capire da dove arrivassero l’oro e l’avorio che i Re d’Africa barattavano di buon grado con mercanzie europee.
Le difficoltà nel navigare le coste dell’Africa risiedevano nelle forti correnti che ostacolavano il ritorno nel calmo e sicuro Mediterraneo.
La conquista dell’Atlantico arrivò grazie all’ingegno degli uomini che nel corso di molti anni riuscirono a dominarlo, avvalendosi delle competenze sviluppate nella navigazione, in un processo continuo di prova ed errore. Le informazioni sui venti, sul mare e quindi l’esperienza acquisita nella navigazione si trasferì soprattutto nella concezione e costruzione di nuove imbarcazioni, finalmente adatte a traversare acque decisamente più impetuose.
L’esplorazione via mare assunse pian piano tratti più sistematici, trasformando la ventura in qualcosa di lievemente meno aleatorio.
Col rinnovamento operato dalla riscoperta dei testi della scienza antica in età moderna, come i testi tolemaici, cambiano anche le regole del disegno delle mappe, che finalmente aiutano i navigatori ad intraprendere viaggi importanti.
L’approdo nelle indie orientali, fino ad allora raggiunte solo per via terrestre attraverso i deserti più ostili tra l’Anatolia e la Persia, è senz’altro uno dei viaggi che sfrutta il maximum delle conoscenze sulla navigazione acquisite. La padronanza di questo itinerario si realizzò attraverso una serie di piccole conquiste nei confronti del mare, avvenute in un lasso di tempo relativamente breve:
- Capo di Buona Speranza, punto più a sud del continente africano, raggiunto da Bartolomeo Diaz nel 1487;
- Circumnavigazione del continente africano, completata da Vasco da Gama tra il 1497 e il 1498 .
Il consolidarsi di queste rotte verso oriente velocizzò il processo attraverso cui l’uomo europeo si insinuò in modo perentorio in queste terre, appropriandosi più delle risorse che dei territori. Il Medio Oriente, l’India, la Cina e l’Arcipelago Malese, nel XV secolo, ospitavano i mercati più grandi del mondo: si poteva trovare di tutto e di più, dalle spezie ai tessuti e poi cereali, gioielli e ceramiche.
Le grandi possibilità di ricchezza spostarono gli interessi di mercanti e investitori dal Mediterraneo ai grandi oceani, in particolare quello indiano. Rispetto al passato, affluirono in tanti: portoghesi e spagnoli, che dal 1494 con il Trattato di Tordesillas crearono un duopolio terracqueo, continuavano a disturbarsi a vicenda sconfinando nei rispettivi territori. A questi si aggiunsero francesi e olandesi. Seppur con notevole ritardo, arrivarono anche, gli inglesi.
Mare Liberum
Il rigido controllo applicato dai portoghesi nelle tratte dall’Europa verso l’India, rese difficoltoso l’ingresso di altre nazioni nel giro degli scambi commerciali con l’oriente. I primi ad eludere questa supervisione furono gli olandesi. Grazie alla loro intraprendenza raggiunsero i luoghi delle spezie attraverso rotte differenti, che all’altezza del Corno d’Africa puntavano dritte verso l’arcipelago delle spezie, piuttosto che proseguire lungo la costa est africana.
Altri, invece, cercarono strade più intricate e inesplorate, spinti forse dalla fantasia che da tempo disegnava i confini che l’uomo poneva al mondo, ipotizzando l’esistenza dei varchi attraverso cui il mare attorniava tutte le terre esistenti, tramite cui si poteva raggiungere ogni dove, anche il remoto oriente.
Con questa visione in mente parte, nel 1553, la spedizione dell’Ammiraglio Hugh Willoughby, la prima della Company of Merchant Adventurers costituita dall’ammiraglio stesso, Richard Chancellor e Sebastiano Caboto i quali credevano fermamente che:
Per battere la concorrenza bisogna mettersi in mare alla volta di mete sconosciute.
La spedizione sarebbe partita da Londra, con l’obiettivo di raggiungere la Cina, il Giappone e l’Indonesia, da nord scendendo poi verso sud attraverso un nuovo ed inedito passaggio, identificato poi come Il Passaggio a Nord-Est.
Come prefigurato dagli ideali della compagnia l’impero inglese, trovandosi in uno stato di debolezza economica, a causa dei pochi rapporti commerciali, e territoriale, per gli iniziali fallimenti coloniali in America, non aveva alcuna alternativa se non quella di abbracciare delle sfide.
Quello che sappiamo riguardo la spedizione è che il convoglio composto da due navi, l’una guidata da Willoughby e l’altra da Richard Chancellor, decise di fermarsi in terra russa dopo la morte per congelamento dell’ammiraglio. Qui durante la sosta, venne stipulato un accordo commerciale tra Inghilterra e Russia, da cui nacque la Muscovy Trading Company, che fece della caccia alle balene il suo più grande business.
La creazione di compagnie di questo tipo non era inusuale in questi anni. Considerate quasi come organi di stato, nascevano spesso grazie ai finanziamenti dei sovrani, con l’obiettivo di duplicare o triplicare l’investimento iniziale in pochi anni. La East Indian Company, nata nel 1600, o la VOC olandese, nata due anni più tardi, e infine la Compagnie des Indes orientales, quasi cinque decadi in ritardo, competevano tra loro senza regola alcuna, in acque in cui Spagna e Portogallo reclamavano il loro esclusivo dominio.
In questo contesto storico nascono diatribe diplomatiche per motivi legati a chi fosse autorizzato a commerciare e transitare in territori reclamati da qualcun’altro.
Come detto in precedenza, il Trattato di Tordesillas divise le terre tra Spagna e Portogallo, lasciando intendere che chiunque non appartenesse a questi stati non potesse transitare in mare e nemmeno avvicinarsi alle coste.
Quando queste voci dalla Spagna raggiunsero l’Olanda e l’Inghilterra, giudiziosi esponenti del diritto, come Ugo Grozio e Hakluyt, si espressero in difesa degli interessi comuni e delle proprie nazioni formulando i capi saldi dell’attuale diritto internazionale:
L’uso della vasta, sconfinata, deserta distesa dell’oceano e con esso l’accesso ai territori dei sovrani d’oriente non può essere interdetta da principi o stati che su quelle terre non hanno sovranità alcuna.
Con queste parole Ugo Grozio, nel famoso trattato Mare Liberum, condanna la creazione dei monopoli commerciali da parte delle potenze occidentali, sostenendo l’assoluta libertà delle nazioni di muoversi e di commerciare attraverso i mari del globo.
Facendo un salto ai giorni nostri, l’enunciato di Grozio perdura nella sua autentica verità, ma oggi come ieri spesso viene ignorato, soprattutto se vi sono interessi economici da proteggere. Questo è il caso della regione artica, una terra circondata da avvoltoi in attesa che il tempo faccia il suo corso.
Gli Interessi Intorno al Polo
Ricollegandoci alla storia dei varchi introno al globo, nel 1728 il danese Vitus Bering intraprese un viaggio nel tentativo di scoprire il famoso Stretto di Bering tra la Russia e l’Alaska, finalmente con successo. Con questa nuova opportunità, ricercata per la prima volta due secoli prima, quasi si realizza una comunicazione tra Asia ed Europa senza la necessità di circumnavigare un intero continente. Ovviamente parliamo di quello Africano.
Tuttavia, queste nuove speranze vengono arrestate dalle troppe difficoltà nel completare, senza intoppi, anche un solo viaggio sfruttando la recente scoperta.
Deve trascorrere un altro secolo prima che la più grande opera artificialis ottocentesca venga completata: il Canale di Suez. Inaugurata nel 1869, l’opera permetteva di tagliare l’Istmo di Suez, accorciando la distanza tra il Mediterraneo e l’Oceano Indiano, velocizzando gli scambi come mai prima di allora.
Oggi purtroppo, si fa sempre più concreta la navigazione della Via Polare, più conveniente dell’attuale passante per il canale; considerata impraticabile in passato per la presenza quasi costante del ghiaccio, ora non ha più gli impedimenti di qualche secolo fa.
In questo modo l’Artide assume una nuova importanza strategica per effetto dello scioglimento dei ghiacci e della conseguente accessibilità alle risorse. Oltre a rotte più brevi, che ridurrebbero di quasi 7000 km la tratta Asia-Europa, gli interessi sono incentrati anche verso i giacimenti naturali come petrolio, gas e minerali.
Oltre a rotte più brevi tra Asia ed Europa, gli interessi si concentrano anche sui giacimenti naturali di petrolio, gas e minerali.
Le nazioni a contendersi la regione sono Stati Uniti, Danimarca, Canada, Norvegia, Russia, Finlandia, Islanda e Cina. Si può facilmente notare come la Cina sia l’unica tra le nazioni menzionate a non avere nessun territorio che si affacci sull’Artico; essa si è autodefinita nazione semi-artica e più volte ha pubblicamente espresso il suo forte interesse a far parte dei membri del Consiglio Artico. Per il momento rientra insieme a Corea del Sud, Giappone, India, Italia, Singapore e Svizzera tra gli stati osservatori.
In ogni caso le stime sullo scioglimento dei ghiacci permettono di affermare con poco margine di errore che entro l’anno prossimo lo Stretto di Bering sarà in condizione di openwater per circa 160 giorni l’anno, con 30-40 giorni di copertura parziale al 40%.
L’ampio periodo di libera percorrenza darà la possibilità ad un numero sempre maggiore di imbarcazioni di percorrere le tratte artiche. In questo modo l’artico è esposto a traffici prima impensabili che ancor più velocemente lo faranno scomparire. Al momento sempre più pescherecci e navi dedicate al turismo percorrono acque nell’intorno del polo nord. Si contano circa 800 imbarcazioni che nell’anno corrente hanno navigato nelle acque governate dal Polar Code. Non è difficile ottenere la conseguente implicazione: più navi, più emissioni.
Le stime tralasciano le possibilità che l’uomo ha di liberare, da sé, le rotte bloccate dal ghiaccio. Le nazioni maggiormente interessate alla regione sono in combutta in una corsa agli armamenti che al momento vede in testa la Russia. Non parliamo di soldati, anche se quelli non mancano, ma di navi speciali chiamate rompighiaccio, di cui è necessario munirsi per spergiurare qualsiasi pericolo nel percorrere le rotte artiche nei mesi di gelo e disgelo. Attualmente la Russia dispone di una flotta composta da più di 50 navi specializzate nel rompere il ghiaccio di poco, medio e largo spessore.
Si prefigura quasi un nuovo scenario di guerra che per il momento vede le nazioni sfidarsi con inutili rivendicazioni territoriali, come quella russa del 2007 con l’affissione della bandiera nazionale ad una profondità di 4200 metri sul fondale del Polo Nord. Non sono da meno le dimostrazioni di forza con esercitazioni militari sia canadesi che statunitensi, disposti rispettivamente nelle loro terre più vicine al Polo. Infine, non mancano provocanti proposte d’acquisto dell’America che vedono protagonista la Groenlandia.
Noi tutti conosciamo le cattive condizioni in cui verte il nostro pianeta: probabilmente le i dati sul surriscaldamento globale non saranno esatti, ma si pensa che siano comunque peggiori di quanto stimato. Ogni giorno entrano in gioco nuove variabili totalmente trascurate o sottovalutate, come il permafrost. Presto o tardi, il nostro pianeta non sarà più in grado di offrire ciò di cui già oggi soffriamo la penuria; il Polo Nord non offrirà più il suo splendido bianco scudo e quei paesaggi così impressi nel nostro immaginario. Tutto ciò lascerà il posto ad un nuovo oceano completamente navigabile, poco più in là del 2050, per la gioia degli speculatori delle rotte artiche.
Negli scambi tra gli uomini, il commercio si è rivelato per un verso uno straordinario veicolo di civiltà, ma per l’altro il flagello di intere popolazioni.
Denis Diderot
Per tutti gli approfondimenti:
- Scenes from the new Cold War unfolding at the top of the world, National Geographic (nationalgeographic.com)
- Open for business, National Geographic (nationalgeographic.com)
•••
La Storia in Breve è una rubrica di carattere storico che cerca di raccontare – in breve – popoli, grandi personaggi, battaglie e curiosità del mondo antico e moderno. Non dimentichiamo ciò che merita di essere conservato, ricordando salviamo il nostro passato.
Iscrivetevi al Lega Nerd Social Club per discutere delle nostre diverse rubriche.