Le fotografie scattate il 20 luglio 1969 durante la missione spaziale che portò i primi uomini sulla Luna hanno alimentato per anni le teorie dei complottisti. Analizziamo la storia della Hasselblad EDC e di come gli astronauti hanno realizzato alcune delle immagini più iconiche della storia.
Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento.
Henri Cartier-Bresson aveva le idee molto chiare sul ruolo della fotografia in quanto non c’è racconto o illustrazione che possa competere con la potenza di un immagine che “ricrea fedelmente quel dato momento”. La fotografia è immediata, istantanea, ma allo stesso modo introspettiva e quanto più possibile emozionale.
La fotografia da quando è nata ha raccontato i grandi avvenimenti della storia, dalla scoperta della tomba di Tutankhamon, alle grandi guerre Mondiali, dalla caduta del muro di Berlino fino alle Olimpiadi in tutto il mondo.
Il 20 luglio 1969, quando Neil Armstrong saltella sul suolo lunare insieme al collega Buzz Aldrin è dotato di una macchina fotografica, modificata ad hoc per l’utilizzo speciale nello spazio e ancorata alla propria tuta. La diatriba scaturita dalle immagini realizzate da quella Hasselblad EDC ha fatto nascere le varie teorie complottistiche sullo sbarco sulla Luna.
Siamo mai andati sulla Luna? Le fotografie sono state realizzate in uno studio fotografico? È tutta una finzione da parte della Nasa?
Tutte domande alle quali cercheremo di rispondere prendendo in esame i fatti reali di quella notte in cui l’uomo calpestò il suolo lunare per la prima volta nella sua storia.
La Nasa dopo vari lanci, prove e sconfitte programma la sua missione per “conquistare” la Luna, una missione che doveva essere documentata in ogni suo dettaglio data l’importanza dell’incarico.
Il marchio svedese di macchine fotografiche Hasselblad fu scelto per la missione Apollo in quanto le sue fotocamere univano ad una meccanica eccellente e alla qualità indiscussa delle ottiche Zeiss, una grande facilità d’uso, con la pellicola posta all’interno di caricatori rimovibili che potevano essere scambiati anche durante l’utilizzo.
Ovviamente non erano le prime missioni spaziali documentate fotograficamente, le Hasselblad furono già utilizzate nelle missioni Gemini (dal 1965 al 1966) e nella missione Gemini 4 ci fu anche la presenza a bordo di un secondo modello di fotocamera, una Zeiss Contarex 35mm, montata su una pistola a gas ed utilizzata da Ed White nel corso della prima storica passeggiata spaziale americana.
Ma la difficoltà di fare foto nello spazio, soprattutto se rapportata alla tecnologia analogica degli anni sessanta, ha alimentato le teorie del complotto sulla Luna. C’è chi afferma che le fotografie scattate in quel luglio del 1969 non siano vere: l’assenza delle stelle, un orizzonte anomalo, le ombre convergenti… tutte prove, secondo i complottisti, che la passeggiata di Armstrong sia stata fatta all’interno degli hangar della Nasa e non a migliaia di chilometri dalla Terra.
La missione ha senza dubbio comportato tantissime difficoltà tecniche, ma tutte sono state risolte con tanta ricerca e dedizione. La Hasselblad EDC era basata su una Hasselblad 500 EL ed era dotata di un reseau plate (il famoso vetro trasparente con le crocette nere) rivestito di un sottile strato di materiale conduttivo per scaricare l’elettricità statica provocata dallo sfregamento della pellicola durante l’avvolgimento per via dall’assenza di atmosfera sulla Luna.
Un altro espediente per proteggere al meglio la scocca della fotocamera è stato quello di rivestirla di argento, per favorire il mantenimento della temperatura durante l’utilizzo sulla superficie lunare. Lo stesso argento fu utilizzato anche per ricoprire i caricatori della pellicola. Anche il lubrificante utilizzato solitamente per le parti meccaniche in movimento venne sostituito con altre sostanze più adatte all’ambiente lunare.
Risolti i problemi prettamente tecnici, l’altro problema da risolvere era come riuscire a permettere all’astronauta di scattare le foto.
La Hasselblad era ancorata sulla tuta all’altezza del petto dell’astronauta (una specie di primordiale GoPro, ma molto più complessa, pesante e ingombrante da manovrare) e questo comportava diverse difficoltà: l’ostacolo non era tanto il destreggiarsi tra i vari comandi (diaframma, tempo di scatto e distanza) quanto imparare a centrare il soggetto senza utilizzare il mirino.
Negli addestramenti pre-lancio ci furono sessioni intere di allenamento con gli astronauti che provavano a scattare foto nelle condizioni che avrebbero trovato nello spazio. Le immagini venivano subito sviluppate e sottoposte all’attenzione degli stessi per mostrare loro gli errori e correggersi nelle sessioni successive.
Il Fotoritocco
La prima denuncia che viene fatta dai complottisti è il fotoritocco di alcune immagini: la foto diventata simbolo della missione (Buzz Aldrin a figura intera sul suolo lunare) è un classico esempio di fotografia inquadrata male: visto quanto era difficile inquadrare correttamente, Aldrin nel fotogramma originale appare quasi tagliato fuori nel lato superiore.
In seguito la foto è stata modificata, aggiungendo una porzione di cielo nero, inquadrandola meglio e regolandone il contrasto: tutte modifiche necessarie (realizzate in camera oscura) e soprattutto dichiarate dalla NASA.
L’assenza delle stelle
Un altro classico dei complottisti è l’assenza delle stelle nelle fotografie. Come è possibile che in nessuna delle fotografie scattate si notino le tanto amate stelle che dalla Luna dovrebbero risultare ancora più luminose?
Anche il Sole è una stella e allo stesso modo risulta molto più luminoso sulla Luna. Per realizzare foto senza sovraesporre il suolo e gli altri dettagli nella parte bassa dell’inquadratura, è fondamentale chiudere il diaframma dell’obiettivo e far entrare poca luce, oscurando di conseguenza le stelle in cielo. Se si volessero riprendere le stelle, l’astronauta di turno dovrebbe aprire di molto il diaframma dell’obiettivo e allungare i tempi di posa, con una macchina ben ancorata su un cavalletto, ottenendo però così un suolo lunare totalmente bianco e senza dettagli, completamente sovraesposto.
L’Orizzonte anomalo
Altro cavallo di battaglia dei complottisti è il famoso orizzonte lunare “anomalo”. Cosa denunciano? Secondo loro l’orizzonte si troverebbe troppo vicino alla scena fotografata o ripresa, un’altra “prova della falsità della missione Apollo”.
Qui è la fisica che va contro ai cari complottisti ricordandoci le leggi che regolano l’andamento dell’orizzonte del pianeta. Il diametro della Terra è di 12.742 km mentre quello della Luna è di 3.474 km, quasi quattro volte più piccolo.
L’orizzonte lunare è effettivamente più vicino dell’orizzonte terrestre: è quindi assolutamente normale vedere in fotografia (e anche dal vivo) l’estrema vicinanza dell’orizzonte.
Si potrebbe continuare ancora moltissimo rispondendo punto per punto alle tante e sconclusionate teorie dei complottisti, ma noi ci fermiamo qui, crediamo che abbiate capito il punto della questione.
Scattare foto sulla Luna è stata solo una delle tante sfide tecniche superate dalla NASA, ci sono centinaia e centinaia di immagini tra le quali una percentuale altissima di fotografie sfocate, male inquadrate e mosse (per le difficoltà già spiegate) a testimoniare la grandissima impresa effettuata nel 1969, ormai cinquanta anni fa.
È stata tutta una messa in scena? No, l’impresa di Buzz Aldrin, Neil Armstrong e Michael Collins rimane uno degli eventi storici più importanti dell’umanità. Un evento che ha segnato un’epoca e che ha dato uno slancio sia scientifico che culturale verso i nuovi orizzonti della ricerca in campo spaziale.