Guardando lo schermo del nostro smartphone può sembrarci strano che solo una manciata di anni fa giravamo con dei mattoncini come il Nokia 3310, indistruttibili, ma ancora con tasti fisici, schermo in bianco e nero e il solo gioco “snake” ad alternarsi alle chiamate.

Oggigiorno invece con lo smartphone facciamo di tutto e gli schermi sono diventati sempre più grandi, ma sopratutto sono belli, colorati e touch. Eh sì, il touchscreen, tecnologia ad oggi indispensabile che pensiamo sia comparsa dall’oggi al domani.. e invece non è così. Come tante “nuove” tecnologie anche questa viene da anni e anni di ricerca, ma sopratutto da grandi, grandissimi fallimenti commerciali.

Ecco allora una lista di tutte quelle periferiche e ammennicoli tecnologici che sono stati un grande fallimento commerciale in passato, ma che hanno fatto da apripista a tecnologie di successo.

 

 

 

Touchscreen e pennini

A Steve Jobs si possono fare critiche e complimenti, ma di una cosa si è sicuri: sapeva quand’era il momento di stroncare un prodotto e quando invece lanciarlo in pompa magna. Ed è questo il caso del binomio Apple Newton – IPhone.

Era il 1993 e la Apple commercializzava un computer palmare touch, l’Apple Newton, dopo una ricerca durata 5 anni e dopo aver speso ben 100 milioni di dollari in progettazione.

Le recensioni della critica specializzata non furono disastrose come si potrebbe pensare oggi, così come il costo, nonostante fosse alto, non era proibitivo per il target a cui si indirizzava, cioè manager: si parla infatti di circa 700 dollari per il modello base.

 

 

Allora quali furono i motivi del fallimento? Purtroppo proprio le abilità di “punta” dell’Apple Newton cioè riconoscimento vocale, scrittura, utilizzo di applicativi e navigazione internet, funzionavano maluccio ed erano ancora troppo acerbe per i tempi, col risultato che quando Steve Jobs tornò alla Apple nel 1998, la prima cosa che fece (forse anche un po’ per vendetta), fu di cancellare il progetto.

 

A sinistra un Apple Newton MessagePad 2100 e a destra il primo iPhone del 2007

 

Quasi 10 anni dopo Jobs lanciava sul mercato l’IPhone, oggetto che era destinato a cambiare il mondo, anche grazie a quelle che erano le ceneri del progetto Apple Newton e le sue potenzialità, ovvero praticità del touch screen, scrittura e applicativi.

 

Apple Newton

Anni 1993 – 1998
Unità vendute circa 300.000
Costo all’epoca  699-999 $
Costo attuale usato
200-400 € (cerca su eBay.it)

Curiosità: appare in una puntata dei Simpson, in una gag riguardante proprio la scrittura imprecisa, viene scritto infatti “Beat up Martin” (trad. Picchiare Martin) e quello che ne fuoriesce è “Eat up Martha” (trad. Mangiati Martha). Proprio la pessima predizione della tastiera dell’Apple Newton ha ispirato in seguito la nascita delle tastiere intelligenti.

 

 

 

Il DVD gigante

Quella dei Laser disc è musica per gli occhi, possibilità di concentrare in un unico dischetto di 30 centimetri di diametro immagini ad altissima definizione e l’ impeccabile suono digitale del Compact. Gustare al meglio nel proprio salotto film, opere, balletti e concerti è semplicissimo e non troppo dispendioso. Basta acquistare l’ apposito lettore (il prezzo va dalle ottocentomila lire al milione e duecentomila, mentre la spesa per un disco varia tra le 45 e le settantamila lire).

Scriveva “la Repubblica” in un articolo del 1991 recuperabile qui.

E a ben vedere, il Laserdisc era una grande innovazione nel panorama sia video che audio (e anche videoludico). Infatti si proponeva come alternativa di lusso e di qualità agli LP e le VHS.

 

 

Il Laserdisc nasce nel 1978 dai tecnici Philips e MCA (Music Corporation of America); delle dimensioni di un 33 giri, assomigliante ad un DVD, ma non ha le caratteristiche di quest’ultimo: infatti il formato è analogico e non digitale; non è compresso, ed è questa la caratteristica che fa sì che la qualità audio/video sia ai massimi livelli.

 

 

Cosa non ha funzionato? Prima le beghe legali tra MCA e Philips, poi l’impegno di quest’ultima assieme a Sony per la nascita del Compact Disc (CD) (tanto che nell’1989 il brevetto Laserdisc passò alla Pioneer) e non ultimo il costo esorbitante dei Laserdisc e dei dei lettori.

Invero in Giappone il Laserdisc ebbe un notevole successo (3,6 milioni di lettori), che però non contagerà mai il resto del mondo. Nel 2009, quindi più di 30 anni dopo la commercializzazione, il Laserdisc, viene mandato in pensione.

Ad oggi caratteristiche innovative lanciate dai Laserdisc, cioè supporto multilingua nei film, qualità video/audio, facilità nel cambiare scena velocemente, ma sopratutto ricerca della miglior qualità disponibile sia audio che video, sono apprezzabili sia sui DVD che sui Blu-Ray.

 

 

Laserdisc

Anni 1978 – 2009
Unità vendute 16,8 milioni di Laserdisc
Costo all’epoca 745 $ il primo lettore (1978)
100 $ un film (1980)
Costo attuale usato  15-300€ un film

Curiosità: La storia del Laserdisc è sicuramente legata a quella dei Laser Games, tra cui i più famosi sono stati sicuramente “Dragon’s Lair“, “Space Ace“, “Fire Fox” e “Cliff Hanger” (ne parlavamo qui).

Nonostante una grafica all’epoca nettamente superiore a quelle che erano le console casalinghe e i cabinati, ebbero comunque un successo limitato dovuto sia al costo esorbitante dei cabinati (e delle partite) sia alla scarsa interazione tra giocatore e gioco (insuccesso che poi si ripetette con i giochi del CD-i, sempre di Philips).

 

 

 

 

Le Periferiche di Nintendo

Indubbiamente la Nintendo ha sempre cercato di innovare il settore videoludico con varie periferiche nel corso degli anni, e attualmente con una console atipica come Nintendo Switch (ed ora Nintendo LABO, qui la nostra recensione), lo fa ancora.

Non si è fermata certo alle sole periferiche, portando infatti concetti quali gli e-sport su larga scala, anni prima che questi prendessero piede. Di questo abbiamo parlato qui.

 

A volte ha semplicemente fallito, portando sul mercato periferiche ed accessori che erano troppo acerbi o mal gestiti. Facciamo quindi una rapida carrellata.

 

 

Nintendo Power Glove

(periferica NES, 1989)

Intendiamoci, l’idea era buona ed innovativa, e giocare muovendo la mano guantata per aria doveva apparire un’esperienza molto cyberpunk. I fattori che non fece funzionare il guanto magico della Nintendo furono principalmente due: i controlli erano molto imprecisi ed il Power Glove non aveva titoli che potessero essere giocati solo col guanto.

 

 

In realtà era quest’ultima la motivazione per cui era così impreciso: era il Power Glove a doversi adattare ai titoli, non il contrario. Questo portò ben presto la maggior parte dei giocatori ad abbandonarlo per il più preciso e classico pad.

A cosa è servito questo fallimento? Anni dopo Nintendo prenderà spunto dal suo vecchio guanto per i suoi WiiMote, in particolare quella del movimento in uno spazio e dei tasti fisici sul controller (infatti il Power Glove poteva anche essere usato come un semplice pad).

Anche Sony ha sicuramente preso spunto per creare il PlayStation Move.

 

 

Nintendo SuperScope

(periferica SNES, 1992)

Cosa poteva esserci di più figo del Power Glove? Un bazooka! Ed ecco che anche il Super Nintendo ha la sua bella periferica uscita a metà. A dir la verità, rispetto al guantone, con il Super Scope (o Nintendo Scope in Europa e Australia) la grande N aggiustò il tiro facendo uscire giochi che necessitavano del mini-bazooka per essere giocati, purtroppo erano troppo pochi, solo 12 e non di particolare qualità.

E fu così che il Super Scope fu un altro insuccesso. Di questa periferica si possono trovare tracce sempre nei WiiMote di Nintendo Wii, ma anche nel (fallimentare anch’esso) Kinect di casa Microsoft. Infatti l’accessorio aveva un primo, rudimentale, ricevitore, che ne aumentava la precisione e fece da apripista a queste tecnologie.

 

 

Virtual Boy

(console stand-alone, 1995)

È il 1985 e Gunpei Yokoi (inventore della croce direzionale, papà della saga Metroid e del Game Boy) riceve entusiasticamente i rappresentati della Reflection Technology, Inc. a Kyoto.

Questi ultimi erano già stati a colloquio con SEGA, Mattel e Hasbro per presentare la tecnologia per un progetto molto innovativo: un visore che permettesse al giocatore di “entrare” nel gioco.

La Nintendo e Yokoi, sempre attenti alle innovazioni accettarono con entusiasmo di portare avanti il progetto. Ed è così che nel 1995 viene immessa sul mercato la prima console 32-bit della Nintendo: il Virtual Boy, un visore stereoscopico capace di catapultarti nel gioco.

Cosa andò storto allora? Nonostante la campagna pubblicitaria faraonica, sopratutto negli States (circa 25 milioni di dollari in marketing), la periferica ebbe un grosso insuccesso da imputare principalmente all’acerbità della console stessa.

Innanzitutto il giocatore veniva catapultato in un mondo fatto di rosso e nero, in quanto erano gli unici due colori visualizzabili, poiché i tempi erano ancora immaturi e uno schermo a colori avrebbe innalzato vertiginosamente i costi di progettazione e produzione.

Inoltre la console dopo pochi minuti creava una sensazione di nausea che sicuramente contribuì non poco al fallimento della stessa.

Dopo solo un anno, 22 giochi e 770.000 unità vendute il progetto Virtual Boy venne cancellato.

Anni dopo i visori per Realtà Virtuale come HTC Vive, Oculus Rift e Playstation VR, invadono il mercato, questa volta con una tecnologia (poco) meno acerba. Il senso di nausea, il famoso “Virtual Reality sickness” però permane per molti soggetti.

 

 

Altre Periferiche

Degne di nota, anche se non sempre fallimentari, sono stati sicuramente il Power Pad (1986), antesignano dei Dance Pad che vengono oggigiorno usati in giochi da sala di successo come Dance Dance Revolution; la Game Boy Camera (1998), tra i primi apparecchi tecnologici a supportare il concetto di fotocamera frontale; il Game Boy Advance Wireless Adapter (2004) che per primo ha portato il concetto di scambio file senza fili in mobilità.

 

 

 

Sega Dreamcast,
la console “troppo avanti”

 

Oggi una grossa fetta del mercato dei videogames è rappresentata dal gioco online, ma, come qualcuno ricorda, tranne qualche partita a Quake per PC, alla fine degli anni ’90 era impensabile giocare in multiplayer se non in locale.

Eppure ci fu una console, lanciata nel 1998, che permetteva di fare questo ed altro. Era il Dreamcast di SEGA.

La console non aveva solo la marcia in più del gioco online, ma a ben vedere, era nettamente superiore a qualsiasi console dell’epoca.

Oltre ad un modem 56k integrato (33,6 nella versione PAL), il Dreamcast poteva vantare un sistema operativo Windows CE adattato per poter girare anche sulla console.

Inoltre tra gli accessori troviamo il Visual Memory Unit (VMU), cioè una sorta di scheda di memoria da 128kB dotata di schermo LCD, che non faceva solo da “memory card” per i salvataggi dei giochi, ma bensì se inserita nel pad, permetteva anche di visualizzare informazioni aggiuntive.

Se scollegata dal pad invece era una vera e propria mini-console portatile, con la capacità di far girare alcuni mini-giochi e scambiare informazioni con altre VMU e alcuni cabinati da sala giochi.

Anche gli altri accessori non erano da meno: alcuni come la canna da pesca, erano comandati dal movimento delle braccia.. vi ricorda nulla?

Cosa non funzionò nel Dreamcast? Nonostante fosse nettamente superiore per hardware e innovazioni alle concorrenti dell’epoca (es. Nintendo 64) e sotto certi aspetti superiore anche alle console della sesta generazione come l’Xbox, il GameCube e la PlayStation 2 (che uscirono ben due anni dopo, un abisso in ambito teconologico), il Dreamcast fu capito a metà: ebbe buone vendite, ma nulla di davvero eclatante, forse sia per l’elevato costo, che per uno scarso parco titoli, alcuni di questi solo online, come Phantasy Star Online, che solo anni dopo vennero capiti e apprezzati realmente.

Se ci aggiungiamo la pessima situazione finanziaria dell’epoca di SEGA, possiamo capire come la console fu ritirata dal mercato già nel 2001.

A cosa è servito il Dreamcast?  Le console della generazione successiva hanno imparato molto dalla suddetta console. Non solo ad oggi praticamente tutte le console hanno una grossa fetta di guadagni con il gioco online, ma questo viene utilizzato a tutto tondo, come per esempio per scaricare i giochi, sempre tramite connessione. Inoltre troviamo ad oggi anche delle funzionalità aggiuntive, come il poter utilizzare applicazioni sulle console (es. Netflix) derivate anche dall’idea di un sistema operativo su console.

Per quanto riguarda il VMU è innegabile come Nintendo abbia preso spunto dal competitor prima per la creazione del Wii U, poi per Nintendo Switch. Insomma, lunga vita al Dreamcast!

 

 

Sega Dreamcast

Anni: 1998 – 2001;
Unità vendute: 9,13 milioni;
Costo all’epoca: 1999 $;
Costo attuale usato: 100-300 €,

Curiosità: SEGA come sistema antipirateria utilizzò una tattica diversa dai concorrenti. Infatti introdusse un nuovo formato di CD, il GD-Rom, che poteva contenere fino a 1,2 GB di dati. Non essendoci lettori e/o masterizzatori sul mercato di GD-Rom, pensava di evitare la pirateria; in realtà collegando la console al computer o modificando un normale lettore CD, è facile creare e far partire copie di backup sulla console, quindi saltando modifiche hardware come successe con le console concorrenti.

Curiosità 2: In realtà il Dreamcast non è stata la prima console a introdurre la possibilità di scaricare videogame, dobbiamo infatti andare indietro, addirittura al 1981 con l’Intellivision e il suo “Playcable” che dava la possibilità di scaricare videogame… via cavo antenna TV, con un sistema simile al televideo.

 

 

 

 

 

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