Bruciate l’ultimo libro di Frost, annullate l’ordine della terza stagione in blu-ray e mettete all’asta la vostra copia spiegazzata del diario di Laura Palmer: se l’obiettivo è capire Twin Peaks, e quindi capire Lynch, niente di tutto ciò vi sarà utile.
Forse perché avete sbagliato in partenza.
Insomma: siamo davvero sicuri che Twin Peaks abbia davvero una spiegazione? Che nani ballerini, giganti e gufi che non sono quello che sembrano siano riconducibili a un’interpretazione anche solo vagamente razionale?
E anche se ci fosse sul serio un “perché”, vorremmo davvero scavare così a fondo da trovare una risposta e dissolvere quel bellissimo mistero che ha turbato il sonno di almeno due generazioni di spettatori?
Cazzo, sì.
In tal caso, è sufficiente un piccolo passo indietro nel tempo. Ma senza perdere di vista il presente. Insomma: è sempre il 2017, ma è anche il 1977. Perché quando si parla di Lynch, almeno a livello cronologico, bisogna sempre tenere il piede in due scarpe. O forse la scarpa è una sola, ma è il piede al suo interno che…
Insomma. Partiamo dal 1977.
Lynch è agli inizi della sua carriera cinematografica: Eraserhead, forte di un dilagante passaparola, è già diventato un piccolo cult da popcorn di mezzanotte, e il regista della Louisiana può già vantare due illustri ammiratori del calibro di Mel Brooks e Stanley Kubrick.
Il futuro sembra promettente: le porte dell’industria cinematografica iniziano a schiudersi lentamente, e dallo spioncino i produttori scrutano con interesse questo bizzarro cineasta con la passione per la caffeina.
Ed è a questo punto che il regista, nel pieno della sua creatività, realizza uno dei suoi progetti più rappresentativi, talmente importante da condizionare tutta la sua successiva filmografia.Stiamo parlando, ovviamente, di Ronnie Rocket.
Mai sentito nominare? Tranquilli, è assolutamente normale: Ronnie Rocket non esiste.
O almeno, non come film: è sempre rimasto lì, nel grande cassettone dei progetti incompiuti, in attesa di un’occasione che non si è mai presentata.
I motivi di questo abbandono sono tanti: film più promettenti (vedi Elephant Man e Dune), divergenze con i produttori e, soprattutto, una smisurata diffidenza nei confronti di un progetto complesso, relativamente costoso e assolutamente rischioso dal punto di vista commerciale.
Tuttavia, Lynch non si è mai arreso: nelle sue intenzioni, Ronnie Rocket è sempre stato il prossimo sulla lista.
Dal primo rifiuto di Francis Ford Coppola fino all’ultima esperienza sul grande schermo con Inland Empire, Ronnie Rocket viene rimaneggiato più di una volta, fino ad assumere una forma più estesa e, al momento, definitiva.
In rete sono comodamente reperibili due trascrizioni della sceneggiatura. La versione più recente si differenzia non solo per il consistente numero di personaggi e una maggiore complessità di un intreccio già abbastanza articolato, ma anche per un breve sottotitolo: “the absurd mystery of strange forces of existence”.
Suona familiare? Ovviamente sì: è esattamente la stessa frase pronunciata dall’agente Albert nella terza puntata dell’ultimissima stagione di Twin Peaks.
Un semplice easter egg? Sì e no.
Twin Peaks è infatti l’opera che più di ogni altra si è fatta carico dell’eredità di Ronnie Rocket: personaggi, simbologia, ambienti e temi della serie trovano un riscontro più che esplicito all’interno del progetto incompiuto.
Ad esempio…
NB: molti punti di contatto tra Ronnie Rocket e la serie si trovano nella terza stagione. Quindi sì: anche parlando di un progetto del ’77, è bene specificare SPOILER ALERT.
Elettricità
Di che parla esattamente Ronnie Rocket? Difficile a dirsi. Ma una cosa è sicura: come in Twin Peaks, c’è di mezzo parecchia elettricità.
All’interno della serie televisiva, l’elettricità è un elemento costante non solo visivo e sonoro, flash, lampi di luce, ronzii e semafori, ma anche e simbolico: è attraverso la corrente elettrica che le entità della Loggia Nera entrano in contatto col mondo degli umani.
In Ronnie Rocket, l’elettricità assume lo status di una delle grandi forze che regolano l’esistenza, ed è legata sia al bene che al male: il protagonista, Ronnie, sopravvive grazie a un apparecchio alimentato a corrente elettrica collegato al suo organismo, mentre il grande antagonista, Hank Bartells, usa l’elettricità per terrorizzare e deturpare gli abitanti dell’Inner City, un luogo oscuro e misterioso con molti punti di contatto con la Loggia Nera.
Del resto, Lynch non ha mai nascosto il suo fascino per l’elettricità, vista da lui come una forza potente e complessa, un’energia con cui abbiamo a che fare quotidianamente ma che, al tempo stesso, è anche molto misteriosa e non sempre è riconducibile a una spiegazione razionale.
La corrente elettrica è alla base della vita stessa, ha portato l’umanità a un salto tecnologico inimmaginabile, ma al tempo stesso, se usata incautamente, può essere letale, fino a trasformarsi in quello che, in particolare nell’universo lynchiano, è il simbolo per eccellenza del male: il fuoco.
Dougie Vs. Ronnie
Ma è soprattutto nella sfera dei personaggi che le similitudini abbondano. Uno dei protagonisti di Ronnie Rocket, ad esempio, è un anonimo detective (riportato semplicemente come “The Detective”) alle prese un’indagine che lo porterà a fronteggiare forze malvagie e soprannaturali.
Nell’universo di Twin Peaks, però, c’è un personaggio in particolare che sembra preso di sana pianta da quella sceneggiatura di tanti anni prima.
Nella terza stagione, il ritorno di Dale Cooper sul nostro piano d’esistenza dopo 25 anni passati tra le tende rosse della Loggia è tutt’altro che indolore: privo di ricordi e pressoché incapace di intendere e di volere, Cooper si ritrova prigioniero della routine quotidiana di Dougie Jones, un fantoccio – o meglio una tulpa – plasmato al fine di realizzare i loschi piani del Bad Cooper.
In totale balia degli eventi, Dougie si ritroverà invischiato in un losco complotto nel mondo delle assicurazioni, in cui si destreggerà esclusivamente con giochi di equivoci, premonizioni alla crostata di ciliegie e, ovviamente, tanto caffè.
In Ronnie Rocket, la vicenda dell’omonimo protagonista non è troppo lontana da quella di Dougie: orribilmente e misteriosamente sfigurato, Ronnie, all’anagrafe Ronald De Arte, viene rimesso in sesto da due scienziati che finiranno per diventare i suoi genitori adottivi, con il difficile compito di reinserirlo nella società.
Brutto, incredibilmente basso e con una poco gradevole acne su tutto il viso, Ronnie, come Dougie, è assolutamente incapace di formulare frasi di senso compiuto, e si limita a ripetere le parole pronunciate dalle persone che lo circondano.
Anche lo schema degli equivoci è molto simile: così come Dougie diventa il fiore all’occhiello della Lucky 7 Insurance, nonché il pupillo del suo capo Bushnell Mullins, aka “Battling Butt”, Ronnie è l’inconsapevole protagonista di una vicenda che, nel giro di pochissimo tempo, lo condurrà sui palcoscenici più prestigiosi della città, fino a diventare una vera e propria rockstar (sì: Ronnie Rocket è anche un musical).
Globi dorati e Uova cosmiche
Twin Peaks, terza stagione, ottava puntata: i Nine Inch Nails hanno appena lasciato il palco del Roadhouse, la bomba atomica è già esplosa e Bob è stato finalmente partorito in un rigurgito acido di orrore cosmico.
All’interno di una sala in bianco e nero dai contorni teatrali, un accigliato Gigante (alias The Fireman) sta osservando l’accaduto sul grande schermo quando, visibilmente preoccupato, si solleva a mezz’aria generando dalla testa una sfera dorata, che finisce nelle mani di una misteriosa presenza femminile identificata come Señorita Dido.
Sulla superficie della sfera, con estatica gioia della donna, compare il volto di Laura Palmer.
Ronnie Rocket, ultimissima scena: il buon Ronald si trova sul palcoscenico di uno dei suoi concerti più importanti, mentre nell’Inner City il Detective e la sua suicide squad sono impegnati nello scontro finale con Hank Bartells.
Allo stremo delle forze, Ronnie si sovraccarica di energia elettrica, finché…
…tutto viene inghiottito in una grande luce dorata. Bene e male, Inner City e Main City, cattivoni armati di ciambelle ed eroi che si difendono a suon di scarpe slacciate vengono inglobati da un unico grande bagliore, mentre un Ronnie dorato si libra lentamente nel cielo fino ad assumere le dimensioni di un uovo.
Il tutto si chiude in un epilogo cosmico: all’interno di una stanza con un pavimento di oceano, un padre promette alla figlia abbondante cioccolata in occasione della rinascita degli universi, mentre intorno a loro volteggiano altre uova dorate.
Nel frattempo, una donna dalla carnagione bluastra se ne sta all’interno di una bolla muovendo freneticamente le sue quattro braccia (sì, quattro), finché, sfiorando una delle uova dorate, esclama: “Ronnie Rocket”.
Lo so: qui non ci sono risposte. Al limite, solo altre domande. Ma è proprio questo il bello di Lynch.
Ognuno di noi deve diventare un piccolo Detective alle prese con qualcosa di più grande, tentando di decifrare un universo cinematografico volutamente indecifrabile, infarcito di riferimenti, autocitazioni e
Vedremo mai Ronnie Rocket un giorno? Se lo chiedete a Lynch, lui vi dirà di sì.
La verità è che, forse, lo abbiamo già visto. In un modo o nell’altro.