Esce il 12 agosto nelle sale italiane Monolith, film nato da un’idea di Roberto Recchioni e diretto da Ivan Silvestrini. Il film completa il percorso della graphic novel omonima pubblicata da Sergio Bonelli Editore, scritta sempre da Recchioni insieme a Mauro Uzzeo e disegnata da Lorenzo “LRNZ” Ceccotti. Un’odissea che racconta quel viaggio di fuoco che è essere genitori.
Finestrini bullet proof, adamantine nanotech body armor, 25 differenti sensori d’emergenza all’avanguardia, la possibilità di impostare la modalità “vault mode”, che la trasforma in un vero e proprio bunker mobile, e un drive companion, Lilith, dal nome luciferino e la voce suadente (quella di Katherine Kelly Lang, l’inossidabile Brook di Beautiful, nella versione inglese): come afferma Roy Lacombe (Jay Hayden), CEO/ CTO della Monolith Automative Corp., la Monolith è davvero la macchina più sicura al mondo.
Con la sua carrozzeria nero opaco e le mille funzioni, Monolith è un lusso per pochi: tra quei privilegiati c’è Sandra (Katrina Bowden), ex leader delle Hipstars, gruppo pop che la cantante ha lasciato per dedicarsi alla famiglia.
Messe da parte mosse sexy e gorgheggi, Sandra ha sposato Carl (Damon Dayoub), il suo produttore, con cui ha avuto David, bimbo di due anni che sta portando a casa dei nonni.
Passare dai riflettori a cambiare pannolini non è facile e i fantasmi di una vita ormai abbandonata si fanno insistenti, tanto da distrarre più volte la protagonista, ancora incerta nel ruolo di neomamma.
Una leggerezza di troppo e quello che sembrava il viaggio più sicuro del mondo diventa presto un incubo: Sandra deve lottare non solo con i dubbi che la divorano da dentro, ma anche con la stessa Monolith, fortezza inespugnabile che la separa da suo figlio.
Dal 12 agosto nelle sale italiane, grazie a Vision Distribution, neonata casa di distribuzione cinematografica che unisce Sky Italia ad altre cinque case di produzione italiane (Cattleya, Wildside, Lucisano Group, Palomar e Indiana Production), Monolith è un progetto crossmediale nato dalla mente di Roberto Recchioni, ideatore del soggetto del film, diretto da Ivan Silvestrini, che torna in sala a pochi mesi di distanza dall’uscita di 2Night.
Nati insieme, fumetto e film costituiscono uno sforzo creativo e produttivo insolito per il panorama italiano: unendo le forze di Lock & Valentine, Sky Cinema e Sergio Bonelli Editore, la storia di Sandra ha il privilegio di poter godere sia dei colori del vero deserto dello Utah, sia di quelli delle splendide tavole disegnate da LRNZ.
“È solo una macchina”
Apparentemente di lettura immediata, Monolith è in realtà un film che si sviluppa su diversi livelli: il primo è quello di una storia che gioca con i generi più diversi, passando dalla fantascienza in stile Black Mirror – in cui un oggetto di uso quotidiano come una macchina sembra portaci in un futuro prossimo, con tanto di luci posteriori che le danno uno sguardo alieno quando la vediamo inquadrata di notte e di lens flare quando è in controluce, quasi a farci credere di essere atterrati su un altro pianeta con un’astronave -, al thriller psicologico, fino al noir, in cui c’è un mistero personale da risolvere.
Ma, al contrario di quanto dice la protagonista, Monolith non è solo una macchina, così come il film non è solo una riflessione sul rapporto sempre più simbiotico che abbiamo con la tecnologia: l’auto diventa una prigione per il piccolo David non perché il sistema operativo Lilith sia cattivo o impazzito (come il cugino illustre HAL 9000 di 2001 Odissea nello spazio), ma perché chi la usa non ha la chiarezza di idee necessaria per mantenere il controllo, finendo per prendere una decisione sbagliata dopo l’altra.
Bisogna guadagnarsi il proprio ruolo di genitori
Accanto al gioco divertito sui generi e al confronto con una tecnologia sempre più avanzata, che sta cambiando completamente il rapporto con il mondo dei giovanissimi, che nascono con uno smartphone già in mano, c’è infatti un discorso più profondo su cosa voglia dire essere genitori: il piccolo David è messo in pericolo da un padre assente e da una madre che sembra non aver realizzato che la sua vita è cambiata completamente e che la priorità ormai è la sicurezza di suo figlio.
Da una parte apprensiva e dall’altra superficiale, Sandra è un personaggio molto umano, che vediamo in pochi minuti passare dalla vanità all’insicurezza, dalla gelosia alla rabbia, fino poi all’esplosione di terrore che aumenta con il salire della temperatura e dei pericoli.
Essere genitori non vuol dire solo, appunto, generare i propri figli: per guadagnarsi il titolo di “madre” o “padre” bisogna anteporre il bene della prole al proprio, passaggio che spesso vuol dire fare pace con questioni irrisolte e accettare i propri limiti.
È interessante come due dei film più originali usciti quest’anno ad opera di autori italiani raccontino la storia di due personaggi che rimangono fisicamente bloccati in mezzo al deserto e che per sopravvivere devono far leva sulla propria forza di volontà: come in Monolith, in Mine, di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, il soldato interpretato da Armie Hammer compie un percorso simile a quello di Sandra, anche se rimane sostanzialmente fermo con i suoi pensieri, mentre la seconda viene letteralmente decostruita fisicamente, saltando, sanguinando, lottando con minacce di vario genere, indossando jeans aderente e canotta, la divisa delle eroine action.
Recchioni, Silvestrini, Uzzeo e Ceccotti, utilizzando al meglio i mezzi a disposizione, hanno portato sul grande schermo la loro passione per il cinema di genere, realizzando un B-Movie con personalità, che si rispecchia nelle linee della macchina protagonista e trasmette una grande voglia di raccontare storie in modo diverso, lontano dagli stereotipi del cinema italiano contemporaneo, un deserto sia per quanto riguarda le idee sia soprattutto dal punto di vista produttivo.
Seguendo la scia di storie di riscatto come quella di Lo chiamavano Jeeg Robot e Veloce come il vento, anche Monolith prova a far vedere che “un cinema diverso in Italia è possibile”, al contrario di quanto dice lo scoraggiato regista René Ferretti della serie Boris, soprattutto se si pensa a storie e personaggi che possano avere un respiro più ampio e universale e non siano legati agli umori di un pubblico esclusivamente italiano.
Dal 12 agosto nei cinema italiani.