Approfittiamo della attenzione dedicata dai media in questi giorni per parlare di un argomento che ultimamente ha sollevato molta polvere: le polveri sottili.
A partire dalla legna che arde nel camino fino ad arrivare alle reazioni all’interno dei motori degli aerei o delle automobili, tutte le volte in cui in presenza di ossigeno un combustibile entra in contatto con una adeguata sorgente energetica si ha una combustione.
Tutti i processi di combustione che coinvolgono idrocarburi hanno dei prodotti, i principali sono H2O e CO2 entrambi chimicamente stabili in quanto ultimi stadi della combustione dell’idrogeno e del carbonio ed essenziali in natura sia a livello cellulare che per il regno animale e vegetale.
L’emissione incontrollata di anidride carbonica, ahimè, è un altro paio di maniche.
Altri prodotti di combustione possono essere più o meno inquinanti e variano la loro concentrazione in base al tipo di reazione e alle condizioni in cui essa avviene.
Senza dilungarsi troppo sui processi che portano alla formazione degli ossidi di zolfo (SOx) e di azoto (NOx) entrambi estremamente dannosi per l’ambiente e per l’uomo vado direttamente al protagonista dell’articolo: il particulate matter (PM).
Il PM è in genere considerato come sostanza residua della combustione formata da particelle che possono avere un diametro dell’ordine del micron. Può essere distinto in sottocategorie in base alla dimensione delle particelle carboniose di cui è composto:
- PM 10: particelle con diametro inferiore a 10 µm
- PM 2,5: diametro inferiore a 2.5 μm
- PM 0,1: diametro inferiore a 0.1 μm
E così via..
Il più tristemente noto negli ultimi giorni è proprio il PM 10, per la sua definizione mi avvalgo dell’enciclopedia libera:
Identifica una delle numerose frazioni in cui viene classificato il particolato, quel materiale presente nell’atmosfera in forma di particelle microscopiche, il cui diametro aerodinamico (ovvero corrispondente al diametro di un’ipotetica sferetta di densità uguale a 1 g/cm³ ugualmente veicolata dall’aria) è uguale o inferiore a 10 µm, ovvero 10 millesimi di millimetro.
via Wikipedia
La principale pericolosità di queste particelle sta proprio nella loro dimensione: data la loro leggerezza possono rimanere sospese in aria e quindi inalate, inoltre essendo molto piccole riescono ad attraversare indenni i vari filtri di cui l’uomo dispone nella cavità nasale e orale. Superate le vie respiratorie superiori dove vengono filtrate le particelle più grossolane entrano nel tratto superiore dei bronchi e così via fino al tratto finale dei bronchi e negli alveoli polmonari.
Sebbene non ci sia ancora una ben definita verità scientifica, è lecito pensare che alla lunga e in dosi elevate questo accumulo di idrocarburi può portare la formazione di tumori.
Il PM infatti è già “digerito” e non cambia la sua forma, per questo, se non viene arrestato ed in qualche modo espulso, una volta entrato nelle vie respiratorie ci rimane.
Queste piccole particelle derivanti da idrocarburi possono avere molteplici sorgenti, quella che ha indubbiamente la conseguenza più diretta sulla quotidianità (almeno per chi abita in città) è dovuta ai motori a combustione interna delle automobili.
Quello su cui vorrei riflettere ora è quanto il progresso tecnologico sia attivo per far fronte a questo deficit.
Come si forma il particolato?
Nel caso dei motori a combustione interna la principale causa è dovuta al cattivo miscelamento tra combustibile e aria.
Soffermandosi solo dal lato PM10 e tralasciando tutto il resto, i seguenti grafici mostrano come sia notevolmente inferiore l’apporto di particolato dei motori a benzina rispetto a quelli a gasolio.
Il motivo sta nella diversità che distingue i due motori e nel loro principio di funzionamento: la fondamentale caratteristiche tra i due è il modo in cui avviene la combustione.
Nel motore a benzina, detto in maniera meno versatile “ad accensione comandata”, una miscela di aria e combustibile (premiscelata in modo stechiometrico) viene iniettata nella camera di combustione in cui è presente una candela che provoca la scintilla e dunque l’innesco. La miscela, salvo complicazioni, brucia tutta allo stesso modo essendo in ogni zona all’interno del cilindro presente con lo stesso rapporto stechiometrico.
Nel motore Diesel, detto “ad accensione per compressione”, il combustibile viene iniettato nel cilindro in cui è presente aria compressa. Nella camera di combustione non è presente alcuna candela e non è dunque possibile controllare direttamente il punto e l’istante dell’accensione. Si definisce tempo di ritardo il tempo che intercorre tra l’inizio della iniezione di combustibile nel cilindro e la accensione della miscela, in questo lasso temporale la concentrazione di combustibile all’interno della camera non è omogenea. Al momento dell’innesco ci sono zone più ricche ed altre meno, la miscela non completamente omogenea brucia in maniera differente formando incombusti e particolato.
Come in quasi tutte le cose dove è nato un connubio tra uomo natura vale la sequenza:
Creo una cosa non eco compatibile → me ne frego finché posso → faccio qualcosa per metterci una pezza sopra.
La stessa storia vale per l’evoluzione del motore Diesel.
Nato alla fine del 1800 da un brevetto del tedesco Rudolf Diesel consisteva in un grosso sistema cilindro-pistone in cui veniva compressa l’aria a tal punto da raggiungere la temperatura in cui il combustibile (all’epoca carbone) si accendeva in maniera spontanea.
Da allora il motore ebbe un grande successo dovuto alle buone prestazioni e soprattutto dal basso costo del combustibile. Le note dolenti non erano poche, oltre che essere estremamente rumorose le vetture emettevano una grande quantità di fumo nero che impestava l’aria rendendola irrespirabile.
Questo era dovuto al fatto che siccome il combustibile viene miscelato all’aria solo quando questa è già compressa dentro al cilindro risultava difficile dosare la quantità giusta di gasolio e per non correre il rischio di far spegnere il motore si tendeva ad esagerare nelle dosi utilizzando più combustibile rispetto a quello necessario. Il risultato è una combustione incompleta che dava origine al noto fumo nero.
L’Europa è sempre stata leader indiscussa del motore Diesel, molto più di paesi dalla grande tradizione automobilistica come Giappone e Stati Uniti. Le due principali migliorie che hanno consacrato questo motore (il turbocompressore e il sistema common-rail) infatti vengono proprio da due Paesi che hanno insegnato al mondo come si fanno le automobili, ovviamente sto parlando di Germania e Italia.
Negli anni ‘30 i tedeschi con Bosch hanno per primi brevettato il turbocompressore. Grazie a questo dispositivo è stato possibile aumentare la potenza semplicemente aumentando la pressione dell’aria all’interno della camera di combustione quindi senza agire sul combustibile o sulle dimensioni del motore.
Il common-rail è un idea degli ingegneri di Fiat i quali per dosare al meglio il combustibile dentro alla camera di combustione installarono un collettore dentro al quale il combustibile veniva messo in pressione e preriscaldato, mediante dei rubinetti elettrici posti in testa a ciascun cilindro si va a regolare le iniezioni in maniera molto precisa riuscendo quindi ad avere una combustione che si avvicina a quella completa.
Come già detto il particolato nasce da una cattiva miscelazione, per ridurre la sua formazione si possono adottare due strategie: una a monte e una a valle.
Per strategia a monte si intende fare in modo che non si formi (o almeno cercare che se ne formi di meno), a tal proposito occorre che la miscela sia il più omogenea possibile prima che la reazione di combustione cominci. Proprio grazie all’avvento del common-rail dai primi anni ’90 in poi è stato possibile agire sulla polverizzazione del getto di gasolio che garantiva più miscelazione e quindi fumi più puliti dal particolato.
Per strategia a valle invece si considerano tutti i possibili post-trattamenti in particolare costituiti da filtri.
In scala europea sono state emanate una serie di direttive finalizzate a ridurre l’inquinamento ambientale prodotto dai veicoli. A partire dal 1991 sono state individuate diverse categorie di appartenenza dei veicoli:
- Euro 0: fanno parte di questa categoria veicoli altamente inquinanti immatricolati prima del 1992 che generalmente non possono circolare nelle città (ad eccezione delle auto d’epoca);
- Euro 1: a partire dal 1993 i nuovi veicoli sono obbligati a montare la marmitta catalitica;
- Euro 2: dal 1997 la riduzione della emissioni inquinanti viene differenziata tra i motori Diesel e benzina;
- Euro 3: dal 2001 sono aggiornati i limiti di emissione per le varie tipologie di veicoli, common rail montato sulle auto Diesel;
- Euro 4: dal 2006 sono imposti limiti ancora più severi. Su alcuni veicoli iniziano ad essere disponibili tecnologie per abbattere il particolato e gli ossidi di azoto come l’EGR (ricircolo gas di scarico);
- Euro 5: dal 2008, è imposta l’adozione generalizzata del filtro antiparticolato sulle vetture con motore Diesel;
- Euro 6: dal 2011 sono aggiornati i limiti di emissioni, oltre al filtro antiparticolato sulle vetture Diesel viene imposto l’impianto deNOx.
Gli sforzi che sono stati fatti per ridurre gli inquinanti sono molti.
Basti guardare le stime fornite dalla comunità europea che dimostra come le quantità di particolato immesse in atmosfera (non solo dai veicoli) sia notevolmente diminuito.
I livelli di inquinamento di questi giorni sono la prova che non si è ancora fatto abbastanza tuttavia la direzione sembra essere quella giusta dato che grazie alle nuove normative si producono vetture sempre più pulite.
Come disse un mio professore:
i motori euro 7 inquineranno meno di una mucca.
Fresche dello scandalo VolksWagen sembrerebbe che le diverse case automobilistiche abbiano preso seriamente il discorso legato alle emissioni e che stiano stringendo sempre più per mettere sul mercato vetture sempre più ecologiche.
Mi fa piacere sentire che sono state adottate serie disposizioni per abbattere il livello di inquinamento e che i piani per il breve futuro di importanti città siano volti ad un potenziamento dei mezzi di trasporto pubblici.
Detto questo non vorrei passare per un tradizionalista che vuole rimanere a tutti i costi attaccato ai motori a combustione e all’economia del petrolio (in realtà sono un fervente sostenitore delle automobili elettriche) ma voglio guardare il progresso e l’evoluzione tecnologica che sta dietro l’industria dell’auto e quello che gli ingegneri stanno mettendo in pratica per far fronte ad anni di noncuranza.