Oggi vi consigliamo un libro italiano, scritto da Francesco Crispino che riprende un po’ le tematiche della malavita anni ’70.

Tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70 si definiscono la mentalità e l’immaginario che plasmeranno i decenni successivi. Oltre alle trasformazioni antropologiche, linguistiche, politiche e comportamentali cambia anche il modo di concepire la criminalità. Dall’antica, territoriale, romantica visione, nel breve volgere di poche stagioni si afferma quella spietata, immorale, postmoderna che caratterizzerà i decenni successivi.

 

Sinossi

Roma, 18 ottobre 1972. Nelle strade di Tor marancia sembra una giornata come tutte le altre. Come al solito al bar “Maurizi” sono radunati gli amici della borgata, la piccola malavita che controlla i movimenti del quartiere. Tra di loro spicca Sergio, un ex-pugile che a metà degli anni ’60 sembrava una promessa e che ormai è entrato in pianta stabile nel giro delle bische clandestine. Nella piccola borgata chiusa tra la via Cristoforo Colombo e l’Ardeatina lo conoscono tutti, lo temono tutti. È lui la figura più carismatica, l’idolo dei più giovani. È lui “er più di Tormarancia”. Improvvisamente una fiat 125 si accosta allo spiazzo del bar. Ne discendono tre uomini con il volto coperto, mentre il quarto resta alla guida. I tre tirano fuori le pistole, senza indugi iniziano a sparare e si accaniscono proprio contro Sergio che, crivellato di colpi, muore sul colpo. Un’esecuzione brutale e selvaggia che a lungo occuperà le prime pagine della “nera” di quell’anno e che, come un fulmine a ciel sereno, irrompe nell’immaginario popolare.

L’omicidio di Sergio Maccarelli fu infatti un evento drammatico, dall’alto potenziale metaforico, che rimase impresso nella mente di intere generazioni. Non tanto per l’inaudita violenza con cui venne commesso, non solo perché fu il primo omicidio “all’americana” compiuto a Roma (tanto che i titoli della cronaca dei giorni successivi intitolavano “Roma come Chicago”), quanto perché ciò che successe in quel tardo pomeriggio di ottobre su via di Tormarancia fu un vero e proprio evento-spartiacque. Il punto di passaggio, forse definitivo, tra una concezione “romantica” della criminalità, quella a cui Sergio era ancora legato, e quella della “nuova” malavita. La criminalità emergente e senza scrupoli, violenta, postmoderna, incarnata nel gesto del suo avversario-killer, un giovanissimo Danilo Abbruciati al suo primo omicidio e ancora lontano dall’idea della Banda della Magliana.

Intorno all’omicidio di Sergio, fatto centrale e twist narrativo di un romanzo che incrocia il gangster-novel con il melò, ruotano i brandelli della sua storia, fatta di ring e di controllo del territorio, e quella di Danilo Abbruciati, colta nell’emblematico passaggio dalla Batteria, quella dei “camaleonti”, alla Banda dei testaccini (De Pedis, Pernasetti etc). Insieme a loro, protagoniste della storia che si sviluppa per oltre un decennio, Chiara e di Fabiana sono invece il drammatico contraltare femminile. Le loro vicende infatti s’intersecano con quelle dei due criminali rivali e nelle loro diverse reazioni s’iscrivono i movimenti del periodo: dall’escalation delle droghe alle delusioni generazionali.

Sergio, Danilo, Chiara e Fabiana sono insomma quattro personaggi della “peggio gioventù”, i cui quattro percorsi sono emblematici per raccontare l’altra faccia di quella generazione che, tra la fine degli anni ’60 e la fine dei ’70, viveva sulla propria pelle la grande trasformazione della metropoli e quella dell’immaginario. Un immaginario che, proprio in quegli anni, stava cambiando (anche e soprattutto) per un nuovo modo di percepire le immagini e i suoni. Sotto il loro disperato e accorato rincorrersi e ritrovarsi vibra costantemente l’immagine di una Roma cangiante. Una città in profonda mutazione, la cui contraddizione diventa espressione audiovisiva di un sempre più crescente malessere esistenziale.