Alternate Reality Games: cosa sono e perché giocarci

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Indipendentemente da dove vivete, sarà capitato anche a voi di notare, in giro per la città, strani figuri dai comportamenti bizzarri sui quali vi siete talora interrogati. No, non le sentinelle in piedi.

Quelli di cui parlo io li trovate a qualunque ora del giorno e della notte, in varie formazioni: a volte lupi solitari dallo sguardo paranoico, altre volte branchi compatti stile guerrieri della notte.

Non hanno mazze né bastoni, solo smartphone, su cui tengono la testa perennemente china stuprando gli schermi a suon di pigiate e muovendosi come androidi difettosi in quaranta direzioni diverse. Il tono canzonatorio me lo permetto perché sono uno di loro: la nostra droga si chiama Ingress, e se non ne avete mai sentito parlare sarà bene iniziare a googlarlo.

Da quando, nel Dicembre 2013, è terminata la fase di beta-test, il numero di giocatori è aumentato esponenzialmente: è difficile avere delle stime precise, ma si parla di un passaggio da circa 500.000 a ben 7 milioni di giocatori.

Considerato che le stime al rialzo pertengono ai download effettivi dell’applicazione, non è irragionevole pensare che il numero di giocatori attivi possa effettivamente essere a sei zeri. Il successo del fenomeno è quasi incredibile se confrontato con la risonanza avuta da iniziative simili.

Perché va detto: quanto a struttura dell’esperienza, Ingress costituisce tutt’altro che una novità; anche se il merito innegabile dei Niantic Labs è stato quello di sfruttare al massimo un trend che sembra stare ridefinendo gli orizzonti ludici.

Tipologicamente parlando, l’esperimento ormai consolidato di Google viene definito un Augmented Reality Game.
L’idea alla base è tanto semplice quanto rivoluzionaria.

L’idea alla base è tanto semplice quanto rivoluzionaria: allargare i confini dello spazio di gioco fino a coinvolgere gli ambienti della realtà circostante. L’interazione con il mezzo (in questo caso, lo smartphone) diventa interazione con la realtà, laddove determinate operazioni possono essere svolte solo in determinati luoghi.

Allo spazio che vi circonda si sovrappone lo spazio virtuale, permettendo un’immersione totale. Quella di fronte a voi è la Torre di Pisa, certo: ma è anche la roccaforte della fazione avversaria. Insomma, una figata totale.

Anni fa lo vidi fare a Vito Doppioscherzo e pensai che qualcuno avrebbe dovuto farlo per davvero: oggi la realtà mi ha accontentato (parlo ovviamente del mitico Guazzabù).

Trasformare la realtà in spazio di gioco è l’idea alla base di moltissimi altri fenomeni analoghi

Trasformare la realtà in spazio di gioco è l’idea alla base di moltissimi altri fenomeni analoghi, le cui definizioni e sigle sfumano l’una nell’altra: la più comune è quella di ARG, Alternate Reality Games, giochi nei quali la realtà diventa lo spazio entro cui sviluppare una narrazione interattiva attraverso i vari strumenti messi a disposizione dalle nuove tecnologie digitali.

Enigmi e puzzle da risolvere per scoprire, pezzo dopo pezzo, una storia avvincente che veda i giocatori protagonisti in prima persona. Con Internet come spazio di coordinamento, diventa possibile creare qualcosa che veda coinvolti paesi lontanissimi fra loro, aumentando il senso di partecipazione e verosimiglianza dell’esperienza.

Il potenziale del mezzo è stato intravisto dalle case produttrici di videogames e film.

Il potenziale del mezzo è stato intravisto dalle case produttrici di videogames e film, che hanno spesso anticipato il lancio di un prodotto con la creazione e lo sviluppo di un ARG dedicato: è il caso di The Lost Experience, legato all’omonima serie tv, nonché di I Love Bees, a cui è seguito il lancio di Halo 2. Successi di marketing conclamati che provano ulteriormente il valore del fenomeno. La stessa Google ha recentemente annunciato un nuovo gioco a realtà aumentata legato ad una serie di romanzi di prossima uscita, chiamato Endgame.

 

 

In Italia il fenomeno fatica a prendere piede.

In Italia il fenomeno fatica a prendere piede: l’esempio più degno di nota è quello di Frammenti, serie televisiva andata in onda su Current TV tra fine 2009 e inizio 2010 che ha visto lo sviluppo parallelo di un ARG grazie al quale i giocatori/spettatori hanno avuto la possibilità di incidere sulla trama della serie stessa.

Si è concluso da poco Project Ragnarok, un progetto interamente italiano portato avanti dagli amministratori di Lokee.it. Qualcosa di simile ad Ingress avevano provato a farlo i ragazzi di Pandemia: The Game il cui sviluppo è purtroppo, ad oggi, fermo.

Insomma, di esempi ce n’è a bizzeffe. Hanno tutti in comune qualcosa di ben preciso: l’abbattimento delle barriere spaziali del gioco, per arrivare a rivoluzionarne il concetto stesso.

Può sembrare poco, ma non lo è. Huizinga, nel suo Homo Ludens, definisce il gioco come “un’attività che avviene entro determinati limiti di spazio, tempo e significato, in base a regole predeterminate”.

Il suo (quasi unico, in letteratura) tentativo di attribuire al gioco un ruolo sociologicamente fondante, sottraendolo al dominio esclusivo dell’infanzia e del disadattamento, mette in luce come il gioco costituisca un fenomeno trasversale rispetto alle diversità di chi vi prende parte: cosa che, in fondo, gli “infanti” sanno benissimo (se fosse nato trent’anni dopo, anche il piccolo Salvini avrebbe giocato a lupo mangia color con i compagni marocchini). Eliminando le barriere geografiche, le capacità del gioco di legare fra loro persone altrimenti lontanissime (non solo in senso spaziale, ma anche culturale, religioso, ideologico) aumentano esponenzialmente. Per questo, in tempi come i nostri, non è così sciocco riscoprirne il ruolo e valorizzarne il potenziale: anche se adulti.

Certo è difficile, dalla lettura di un articolo come questo, afferrare con precisione cosa significhi prendere parte ad un ARG. Potrei provare a descrivere l’emozione che si prova nell’aprire una cassetta di sicurezza fuori da una banca e trovarci dentro una chiavetta USB piena di dati cifrati, sapendo che sulla Rete ci sono centinaia di persone come te pronte ad affrontare l’enigma che pone; ma la verità è che “nessuno di noi è in grado, purtroppo, di descrivere [Matrix] agli altri”.

Perciò ecco l’invito ai lettori: pillola azzurra, cliccate sulla X in alto a destra e fine della storia: domani vi sveglierete in camera vostra, e tornerete a giocare a Call of Duty.

Pillola rossa, fatevi un giro su argology.org, e vedrete quant’è profonda la tana della Realtà Aumentata.

 

 

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