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Cito l’articolo di [url=http://it.wikipedia.org/wiki/Green_Fluorescent_Protein]wiki[/url] perché spiega perfettamente:
[quote]La green fluorescent protein (GFP, in italiano proteina fluorescente verde) è una proteina espressa nella medusa [i]Aequorea victoria[/i]. Grazie alla sua proprietà di fluorescenza, alle sue modeste dimensioni e alla possibilità di modificarne entro certi limiti le caratteristiche spettroscopiche, la GFP è diventata negli ultimi decenni un diffuso strumento per esperimenti e tecniche di biologia molecolare. La GFP, se colpita e eccitata da una radiazione ad una specifica lunghezza d’onda, è in grado di riemettere luce di colore verde acceso. Sono ormai molte comunque le forme di GFP modificate, in grado di assorbire e emettere radiazione diverse da quelle della proteina originaria.[/quote]
Ciò che la rende un potente strumento in biologia molecolare è il fatto che non richiede nient’altro per svolgere la sua funzione, basta inserire il gene e farlo esprimere. Sfruttando la GFP si può seguire lo sviluppo embrionale, lo sviluppo di malattie, analizzare promotori, attaccarla ad altre proteine per analizzarne gli spostamenti e interazioni, in vitro e in vivo, anche in organismi molto complessi difficili da manipolare. Per il numero enorme di applicazioni e per la diffusione universale di queste tecniche gli scopritori e primi studiosi della proteina [b]Martin Chalfie, Osamu Shimomura, e Roger Y. Tsien[/b] sono stati premiati con il [b]Nobel per la chimica nel 2008[/b].
Le prime osservazioni nella medusa si devono a [b]Shimomura[/b] dal [b]1961[/b], che purificò e studiò la proteina. Poi il colpo di genio: usare la proteina per studiare altre proteine: si “fondono” il gene della proteina di studio con quello della GFP e si ottiene una proteina con attaccato un cartello fluo che dice: “sono qui!”.
Siamo nel [b]1994[/b] quando [b]Chalfie[/b] esprime la GFP in E.coli e C.elegans. Nel [b]1995 Tsien[/b] migliora la GFP rendendola più luminescente, stabile e shiftando il picco di assorbimento in una lambda più “standard”. Nel [b]1996[/b] viene depositata la prima struttura cristallografica: un [b]barile-β[/b] che protegge il [b]fluoroforo[/b] (quello che assorbe UV ed emette fluorescenza) formato dal tripeptide [b]Ser-Tyr-Gly[/b].
Oggi è una tecnica di routine in quasi tutti i laboratori di biologia molecolare e biotecnologie.
Negli anni si è utilizzato la GFP in numerosi organismi. L'[url=http://news.nationalgeographic.com/news/2009/05/photogalleries/glowing-animal-pictures/#/crystal-jelly-gfp-glowing-animals_11833_600x450.jpg]articolo[/url] a cui vi mando vi presenta questi esperimenti e, anche se alcuni possono sembrare un maltrattamento di animali (in realtà la GFP al 99% non fa nessun danno all’organismo in cui viene inserita), vi spiega come questi studi possano aiutare noi e quegli animali.
Accanto ai classici modelli di studio ([b][i]Macacus rhesus[/i], lievito, batteri, topi, vermetto[/b]) ci sono anche [b]cane, gatto, scorpione e tabacco[/b].
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