Sotto la doccia. In mezzo al traffico. A lezione. Nel bel mezzo di una riunione di lavoro. O, ancora peggio, sull’orlo del collasso: pochi istanti prima di addormentarti.
Suona familiare? Dovrebbe. E’ l’elenco dei momenti peggiori nei quali avere un’idea, soprattutto di quelle geniali. Il processo di generazione delle idee sembra seguire una sorta di formula fissa:
un’idea arriva quando non hai il tempo, la possibilità o la lucidità necessarie a segnartela da qualche parte.
Corollario: un’idea arriva nel momento stesso in cui il cosmo decide che un supporto su cui scrivere e uno strumento con il quale farlo sono al di fuori della tua portata. Carta e penna, ma anche laptop o smartphone, kleenex e sangue sembrano essersi volatilizzati nel nulla.
E’ vero anche il contrario: quando carta, penna e voglia sono disponibili magna cum copia, accompagnate magari da un po’ di tempo libero e una buona dose di calma e concentrazione, la nostra immaginazione implode e l’unica cosa che rimane fissa sulla pagina bianca è il nostro sguardo ebete. E non siamo sicuri che sia quello che vogliamo tramandare ai posteri.
Questo ci porta a due derive: o cadiamo nella falsa trappola del blocco dello scrittore (che, di per sé, non esiste), cominciando a indossare larghi impermeabili e a bere solo scotch, trascinandoci per i fumosi locali alla periferia di Chicago; o, e forse è peggio, cominciamo a sniffare polvere di fata blaterando che alle Muse non si comanda e che noi scriviamo solo quando arriva l’ispirazione. Solo che quando questa si fa vedere torna valida la formula di cui sopra, che parafraso qui sotto:
l’ispirazione ha troppo poco timing e “troppo tanto” senso dell’umorismo.
Una soluzione semplice al problema dell’estemporaneità dell’ispirazione, anche se non strettamente correlata al processo di generazione delle idee, è portarsi un piccolo quadernino dappertutto, anche in bagno (tra le tante, mi vengono in mente le Moleskine. Date un occhio a chi le usava in passato: ce n’è da far ricoverare l’hipster medio per priapismo). E’ l’unico modo per non perdere nulla, ma davvero nulla dei bocconcini che il tuo cervello decide di lanciarti ogni tanto. Sottolineo “ogni tanto”: proprio a causa di questa mancanza di regolarità non puoi basare la tua attività creativa, amatoriale o professionale, su un capriccio come l’ispirazione.
In ogni caso, che tu voglia scrivere un racconto breve o una sceneggiatura, trovare uno spunto interessante per un articolo, sbloccare una vicolo cieco nell’avventura di D&D che stai buttando giù per il tuo gruppo o semplicemente progettare la prossima illustrazione da inserire nel tuo portfolio, sei sulla nostra stessa barca: tutti vorremmo avere idee a comando.
La bella notizia è che si può. O meglio, ci si può avvicinare a qualcosa di simile a diventare un’incubatrice di idee e il processo è anche abbastanza divertente. Perché, ammesso che il nerd medio sia curioso per natura, se sei nerd parti avvantaggiato.
Pronti? Via.
“Nulla si crea, nulla si distrugge. Tutto si trasforma.”
O si teleporta.
Sembra una frase ottenuta centrifugando l’emisfero sinistro di Lavoisier con quello destro del Dottor Spock, ma è così che funziona: il primo passo per una felice carriera prolifica di idee è mettere da parte l’ego e accettare che di nuovo nuovo non c’è proprio nulla. Inventare da zero non si può: l’ultimo che ci ha provato è finito a staccarci una costola per restituirci una donna, nonostante quaggiù si insistesse che un cane e la payTV fossero più che sufficienti.
Georges Polti, nel suo saggio “the thirty-six dramatic situations“, ipotizza che ogni trama concepibile dal cervello umano sia riconducibile a una combinazione delle 36 situazioni drammatiche rintracciate da Carlo Gozzi analizzando grandi opere del passato. Se vuoi dare un’occhiata in dettaglio, trovi il volume di Polti scansito per intero qui.
Goethe ci fa sapere che Schiller, convinto che i topoi (termine elegante che in letteratura sta per “motivi ricorrenti“) rintracciati da Gozzi fossero esigui in numero, provò a cimentarsi a sua volta nello stilare un elenco di situazioni drammatiche. Non riuscì nemmeno a raggiungere il numero ipotizzato da Gozzi.
Se è vero che nulla si crea, è altrettanto vero che nulla si distrugge: qualsiasi frammento di informazione che i nostri sensi captano e trasmettono al cervello viene immagazzinato (e spesso alterato nel ricordo).
L’efficienza del cervello nel ricordare e la percentuale di alterazione del ricordo stesso sono legate a diversi fattori: primo tra tutti, quanto ciò che abbiamo sperimentato ci abbia colpito a livello inconscio; anche un’esperienza sinestetica, cioè che coinvolge più sensi contemporaneamente, viene ricordata meglio e rimane accessibile a livello conscio per più tempo.
Quello che è interessante a proposito della correlazione tra memoria e creatività è il processo che Steven Johnson, in “where good ideas come from” definisce “slow hunch”: in pratica, gli stimoli accumulati negli anni, mesi, settimane o giorni di ricerca hanno un tempo di incubazione che non risponde a regole fisse. Gli stimoli hanno bisogno di maturare, incontrarsi, conoscersi, separarsi, rimpiangere la condivisione dei beni e infine rifarsi una vita.
Per tirare le somme, nulla si distrugge perché il nostro inconscio rivive, rielabora, nasconde e riprende in background le nostre esperienze, sia effettive che di “seconda mano” (come mi piace chiamare quelle che derivano da film, libri, fumetti e sogni a occhi aperti). Il bello arriva quando il bastardo si decide a sputare fuori ciò che ha masticato per anni…
Ho appena avuto un’idea per il mio prossimo articolo: come funziona la memoria. Non ho a portata il mio quadernino su cui appuntare due righe per non dimenticarmelo. Ironia.
E qui arriva la parte che preferisco del titolo che apre questo paragrafo.
tutto si trasforma (o si teleporta).
Trasforma è la parte più divertente. Quel tutto, però, è più importante. La marktwainiana norma “scrivi di ciò che conosci” significa che dobbiamo lavorare su qualcosa che ci è familiare, o che questo qualcosa familiare lo deve pur diventare.
È questo il senso della ricerca che sta alla base di ogni romanzo, ogni racconto, ogni campagna pubblicitaria: fornire delle solide basi al meccanismo di sintesi del nostro cervello, responsabile per eccellenza della creazione di nuove idee.
La sintesi opera a un livello così inconscio che chi è alle prime armi ne è a malapena consapevole, ed è per questo che molte volte accompagniamo i nostri Eureka! all’incapacità di ammettere che da qualche parte avremo pur preso la nostra ispirazione.
Ricordi i nostri amici Polti, Gozzi e persino Schiller, il bimbo imbronciato laggiù in fondo che non ne vuole sapere di giocare con gli altri? Le loro 36 situazioni drammatiche, prese singolarmente, sono trite e ritrite. Sono state rappresentate miliardi di volte a teatro, sugli schermi, tra le pagine di un libro o di un fumetto… Ma possono essere associate tra di loro (e condite a piacere) creando un’infinità di storie, più o meno originali a seconda di quanto l’associazione (e il condimento) si avvicinino a sintesi già compiute in passato.
Ne consegue che un’idea è originale quanto è originale e inaspettato il processo di sintesi che l’ha fatta nascere. Non solo gli elementi di partenza: ancor di più la loro associazione.
Un asino e una carota sono elementi talmente quotidiani da risultare banali: eppure ci sono almeno due modi per combinarli così da aumentare l’efficienza motoria dell’asino stesso. In primo luogo potremmo fargli oscillare la carota davanti agli occhi.
Il secondo metodo è un po’ più brusco ma sicuramente inaspettato. Per lo meno per l’asino.
Ciò vuol dire che tutto è derivativo? Non perdere l’entusiasmo. Di originale può non esserci il punto di partenza, ma l’associazione di per sé è tua e solo tua. A meno che non ci si trovi davanti a un caso di associazioni identiche e indipendenti, ma questa è un’altra storia…
Bibliografia:
- Edoardo Boncinelli, Come nascono le idee, Einaudi
- James Webb Young, A technique for producing ideas, McGraw-Hill
- Mario Pricken, Creative Advertising, Thames & Hudson
- Steven Johnson, Where good ideas come from, Penguin Group
Immagine in testata: Idea Pirate Flag di Richard Winchell