Un Paese che ignora il proprio ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un domani.
Indro Montanelli

Non c’è storia.
In tutti i sensi.
Non c’è storia che tenga.
Nemmeno che resti.

Chi vi scrive è un emiliano.
Avete presente quel popolo che ha subito un terremoto devastante e che senza tanti piagnistei si è già risollevato nel giro di un anno? Eccoci qua.

Siamo un po’ meno veneti e un po’ meno toscani, siamo emiliani.

Lo ribadisco perché siamo meno orgogliosi di queste due (splendide) regioni che ci circondano. A differenza loro qui siamo meno campanilisti e più comunitari. Aiutarci è lo standard per vivere nella nostra regione.
Quest’area è baciata dalla solidarietà.

Questi sono i nostri valori. Si chiama lungimiranza e assomiglia molto a un discorso simile a questo:

“Se io ti do la possibilità di crescere, potremmo continuare a farlo insieme”.

L’economia ci impone grandi cambiamenti, soprattutto in periodi recessivi come quello in cui siamo immersi. Il problema è che di crisi ne parliamo dal 2007, di quei valori che ho su descritto invece si sa che sono insiti da secoli. Non per niente la mia città accoglie studenti universitari dal 1088.

Veniamo al fatto: è stata demolita una palazzina in una zona tra la campagna e una zona di servizi/industriale.

E’ stata demolita per fare posto ad un supermercato/fabbrica di trasformazione alimentare di una nota azienda della zona. La proprietà era loro e quella cascina non era vincolata.
Tutto in regola.
Tutto a norma.

Dal fatto andiamo alla storia: è una Storia con la esse maiuscola. Se la merita.

 

La storia di Guglielmo

E’ un giorno di dicembre del 1895, è freddo a Sasso, paese sulle colline di Bologna.

C’è Guglielmo, un giovane uomo di 21 anni, colto, che vive agiato nella villa di famiglia. Con lui c’è il suo maggiordomo Mignani che, incavolato, si prende la briga di scavalcare i campi della collina. Con quel freddo umido che ti penetra le ossa e quella cassa pesante che gli ha consegnato Guglielmo.

Quante raccomandazioni. “Mi raccomando tienila diritta, fai in modo che non si bagni. Se mi senti, spara.”

Passa una mezz’ora. Mignani si mette in posizione. Forse solo lui e il Signore sanno quanto vorrebbe nascondersi al caldo della stalla o salire nel fienile e farsi una pennichella, ma bisogna eseguire le richieste del padrone. Lui se lo ricorda che bambino vispo e simpatico che era, serve in quella casa da tempo immemore. E ora gli tocca di assecondarlo nelle sue stranezze. Forse pensava questo nell’ora scarsa in cui saliva e scendeva il clivio, mentre attendeva al freddo.

Le colline bolognesi sanno regalare viste fantastiche, ma non quella. Quella è un buco in cui è stato spedito apposta, alla bisogna.

Mignani, zdazdet!
(Mignani, svegliati!)

Tre suoni come un frinire di un grillo.
Un istante prima Guglielmo aveva mandato tre impulsi, uno di seguito all’altro, e aveva fatto la Storia.

Guglielmo, per la cronaca, di cognome fa Marconi.

Il suo paese cambia nome: da Pontecchio si trasforma in Pontecchio Marconi. Il suo comune oggi si chiama Sasso Marconi. L’aeroporto di Bologna è stato dedicato alla sua persona. Le trasmissioni senza fili (wireless) nascono a dicembre a meno di 30 km da ove vi scrivo e ne sono orgoglioso. Col tempo, naturalmente, Guglielmo Marconi prosegue i suoi studi e il telegrafo senza fili aumenta il suo raggio d’azione diventando transoceanico, si passa alla costruzione della radio.

La radio.

 

Marconi e il fascismo

Facciamo un altro balzo temporale nel nostro racconto.

Siamo nell’anno XV dell’era fascista. In Italia la camicia più venduta è quella nera, ed è meglio che tu ne possieda almeno una in casa e che la tenga da conto. Guglielmo Marconi fa la spola tra l’Inghilterra e l’Italia con puntate anche negli Stati Uniti.

Ha poco meno di sessant’anni ed è uno scienziato tra i più noti ed apprezzati al mondo. Non è simpaticissimo al regime per via dei suoi frequenti spostamenti all’estero, ma è una personalità riconosciuta in tutto il mondo e non si può reprimere la sua libertà di pensiero e di movimento.

Guglielmo vuol bene alla sua terra. Vuole che Bologna abbia la sua stazione radio che possa trasmettere un segnale sulla città e coi ripetitori, magari, rispedirlo in giro per il mondo. La radio avvicina.

1936 a.D. – Budrio, provincia di Bologna. Su indicazione di Guglielmo Marconi nasce un piccolo edificio chiamato Radio Marconi, di proprietà dell’EIAR. L’EIAR diventerà successivamente RAI, la palazzina resterà come esempio di una bellissima architettura fascista nella campagna bolognese.

 

Un passato che non esiste più

Veniamo ad un passato molto più prossimo.

Guglielmo non è eterno e non c’è più. Ci sono però le sue intuizioni.
Vivono in molte, moltissime delle cose che usiamo quotidianamente. Ho in mano un mouse senza filo che comunica con un pc collegato ad internet tramite wi-fi e non mi dilungo. Fatelo voi questo giochino.

Il fatto che una persona di questa terra ha studiato, pensato, realizzato la base per eliminare la variabile spazio dalle nostre comunicazioni dovrebbe renderci orgogliosi almeno quanto i primi passi dell’uomo sulla Luna, invece…

Invece qualcuno ha pensato che demolire quella palazzina sarebbe stato più fruttuoso rispetto a lasciarla alla storia. Meglio un ipermercato dove vendere i proprio prodotti. O la fabbrica per ingrandirsi di un altro poco.

Ma poi c’è crisi e forse nemmeno si farà.
Oltre al danno la beffa.
Abbiamo tirato giù un pezzo di storia per… niente.

In compenso teniamo edifici fatiscenti in centro storico perché un piano regolatore ci impone di non aprire le finestre dove servirebbero, etc.

Che cosa aggiungere?
Aggiungo che ne ha parlato solo questo giornale e me ne dispiace molto. Non ne è stata data notizia.

Vi lascio un sito dove potreste andare a spulciare un po’ d’informazioni sul luogo di questo racconto che, ahimè, non esiste più.

Ora ripetete ancora questo mantra con me:

Un Paese che ignora il proprio ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un domani.

Crosspost su SaySomethingLoud scritto da @mever