Forse stiamo sbagliando tutto con l’autismo: serve una nuova definizione?
Medici e genitori chiedono di distinguere i casi più gravi di autismo: nasce la proposta di una nuova categoria, l’“autismo profondo”.

C’è chi non parla, chi ripete frasi in modo automatico, chi ha bisogno di assistenza continua. E poi ci sono persone che, pur rientrando nella stessa diagnosi di autismo, conducono una vita autonoma, lavorano e formano famiglie. È proprio da questa differenza che nasce un acceso dibattito nel mondo scientifico: l’attuale definizione di “disturbo dello spettro autistico” è ormai troppo ampia, e secondo molti rischia di confondere situazioni molto diverse.
A rilanciare la discussione è stata Alison Singer, madre di Jodie — una donna di 28 anni con una forma severa di autismo — e presidente dell’Autism Science Foundation. Insieme ad altri genitori e ricercatori, Singer propone di introdurre una categoria distinta, chiamata “autismo profondo”, per riconoscere chi presenta disabilità gravi e richiede assistenza costante.
Una definizione che è cambiata nel tempo
Negli anni Ottanta l’autismo era una diagnosi rara, riservata a bambini con difficoltà profonde nel linguaggio e nella socialità. Nel 1994 il manuale diagnostico DSM ampliò i criteri, includendo anche l’Asperger, cioè persone con buone capacità cognitive ma problemi relazionali. Nel 2013, poi, tutte le sottocategorie furono unificate sotto l’etichetta di “disturbo dello spettro autistico”, suddiviso solo per livelli di supporto. Questo allargamento ha fatto salire vertiginosamente le diagnosi: oggi, negli Stati Uniti, un bambino su 31 riceve una valutazione di autismo, contro uno su 150 nel 2000.
Gli esperti ritengono che la crescita non dipenda da un vero aumento dei casi, ma dal cambiamento dei criteri diagnostici. Tuttavia, questa “inclusione allargata” ha avuto anche un effetto collaterale: la ricerca dedicata ai soggetti più gravi si è ridotta, mentre le risorse si sono orientate verso le forme ad alto funzionamento.

Una frattura nella comunità autistica
La proposta di distinguere un “autismo profondo” divide il mondo scientifico e quello degli attivisti. I genitori di bambini gravemente disabili chiedono maggiore attenzione e fondi specifici. Al contrario, molte persone autistiche temono che una nuova categoria crei una gerarchia tra chi è “più” e “meno” autistico. La dottoressa Mary Doherty, fondatrice di Autistic Doctors International, ha spiegato che questa distinzione rischia di “negare la piena identità delle persone autistiche”.
Il dibattito, insomma, non è solo medico ma anche culturale. Da una parte c’è l’urgenza di tutelare chi vive condizioni di grave disabilità, dall’altra la volontà di difendere una visione inclusiva dell’autismo come forma di neurodiversità. Un equilibrio difficile, che continua a interrogare medici, famiglie e istituzioni.


