Tra le tante emozioni che spiccano all’interno del secondo capitolo di Inside Out Ansia è l’emozione al centro della campagna promozionale. Ma perché questo “personaggio” si è rivelato tanto vincente? Perchè grazie a questo personaggio si riesce a sviluppare al meglio un discorso scientifico e psicologico alla base dell’evoluzione da bambino ad adolescente.
Tornano le nostre emozioni. Torna la Disney Pixar con uno degli esperimenti cinematografici più riusciti di sempre. Tornano Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto, Paura insieme ad altre straordinarie emozioni. C’è tanto da raccontare su Inside Out ed è per questo che per addentrarci all’interno del suo secondo film, che ha riportato in massa le persone al cinema in un momento non propriamente felice per le sale, abbiamo deciso di analizzare il progetto Inside Out da un punto di vista psicologico e non solo. Dunque come ben sappiamo nel film le emozioni sono rappresentate come dei veri e propri personaggi, e chiaramente i caratteri dei personaggi rispecchiano la realtà, a cominciare dal fatto che le prime emozioni, viste in Inside Out, altro non sono che le famose emozioni di base, chiamate così perché iniziano a emergere fin dalla prima infanzia.
Il film si interroga più volte sull’importanza delle prime emozioni, essenziali nella vita di una persona che servono a uno scopo ben preciso. Ad esempio, la paura a proteggerci dalle situazioni potenzialmente pericolose; la rabbia, in misura moderata, serve per affermare ciò che pensiamo e far sapere agli altri che non siamo d’accordo; il disgusto ci permette di evitare ciò che ci mette a disagio; tristezza e gioia, infine, sono complementari perché la prima riesce a farci apprezzare la seconda e ci tiene in guardia rispetto a ciò che ci fa soffrire, mentre la gioia ci aiuta a superare i momenti bui.
Le emozioni sono essenziali per la comunicazione, per la vita e crescita di un bambino che poi diventerà adolescente e poi adulto, in quanto trasmettono agli altri qualcosa di noi e del modo in cui ci rapportiamo intorno al mondo circostante. Per questo motivo è fondamentale comprendere le caratteristiche e le funzioni di ciascuna emozione, per imparare a esprimerle in modo efficace e in linea con le richieste da parte della società. Reprimerle (e in questo secondo capitolo si affronta anche questo argomento) come tanti purtroppo vorrebbero fare, non fa altro che portare lontano dalla serenità il bambino di turno. E’ proprio una maggiore consapevolezza delle nostre emozioni che ci porta ad acquisire una conoscenza più profonda dei nostri processi mentali e di noi stessi, aiutandoci ovviamente a interfacciarci con gli altri facendo capire le nostre intenzioni e lasciando intravedere il nostro mondo ecco perché una pellicola come Inside Out può rappresentare un bellissimo strumento per far comprendere al meglio queste dinamiche psicologiche.
Il significato che vuole trasmettere Inside Out.
I ricordi di base e la costruzione del nostro Io sono le fondamenta del primo capitolo e nel secondo ci si affaccia, con la medesima struttura vincente, ad un’altra fase fondamentale della crescita: la pubertà. Ma prima di tutto andiamo a fare un passo indietro prima di addentrarci nelle nuove emozioni di Riley. Un aspetto fondamentale delle emozioni, che è anche una loro funzione, è quella di permeare alcuni particolari ricordi che rimangono impressi nella nostra mente e questi ricordi, così radicati in noi, vengono appunto chiamati ricordi base. Questi ricordi compongono la nostra storia e diventano parte di noi, andando man mano a costruire la narrazione della nostra identità, tanti di loro si formano nei primi anni di vita, che corrispondono al periodo delle prime esperienze, in cui anche le emozioni vengono avvertite in modo più pervasivo e spesso hanno a che fare con altre persone che hanno lasciato un segno o che rivestono un ruolo importante.
I ricordi base costituiscono anche il punto di partenza per intraprendere un percorso di psicoterapia o di supporto psicologico, in quanto sono i primi che emergono dalla memoria del paziente e di cui si sente il bisogno di parlare per farsi conoscere, in quanto parte fondamentale della propria identità personale. E’ proprio in questo percorso che si cerca di andare oltre la classica analisi della felicità addentrandosi più possibile nelle emozioni negative, le vere soluzioni (il più delle volte) per la ricerca di un equilibrio interiore. Insomma, le emozioni negative (come la tristezza) sono quelle che ci stimolano a essere introspettivi e a provare a conoscerci meglio per questo motivo è essenziale imparare ad accettare e accogliere tutte le emozioni e, nonostante possano spaventare, anche quelle negative devono essere affrontate per poi esprimerle in maniera più che efficace.
Proprio il primo Inside Out riesce a far comprendere in una maniera lineare, semplice e pulita a qualsiasi fruitore (che sia giovane, bambino, adolescente o adulto) che le emozioni negative non sono poi così da demonizzare, tutt’altro la maggior parte delle volte ci segnalano che abbiamo bisogno di guardarci dentro, capire cosa ha scatenato quell’emozione, perché, e cosa eventualmente potremmo fare per ricreare l’equilibrio interiore e la serenità. Quindi Inside Out chiarisce che per ritrovare la gioia è necessario affrontare e non fuggire la tristezza, intraprendere quindi un doloroso, ma necessario processo che va affrontato in quanto se decidiamo di ignorare le emozioni queste troverebbero il modo di uscire fuori o ci porterebbero a fare scelte sbagliate. Si tratta di una sfida che continuamente ci troviamo ad affrontare nella vita, a prescindere dall’età, dalle condizioni alle quali far fronte, dall’entità delle sfide e dalla mancanza o presenza di supporti esterni.
Le nuove emozioni di Inside Out 2
Un grosso pulsante rosso si accende. Sotto, scritta a lettere cubitali, c’è la parola “Pubertà“. Da quel momento in poi nulla sarà più come prima. Inizia così Inside Out 2 e da questo punto un po’ come nella vita reale delle nuove emozioni arrivano in pompa magna, subito dopo l’allarme: Imbarazzo, Noia, Invidia e Ansia. Nel loro animarsi si notano da subito le loro caratteristiche principali, ma come nel primo capitolo c’è un’emozione che viene sviluppata in maniera più accurata: l’Ansia. Senza dubbio è quella maggiormente caratterizzata ed esplorata, mettendo bene in evidenza soprattutto come sia necessaria nei processi di decision-making e durante le prestazioni di Riley. Una rappresentazione dell’ansia a tutto tondo, e non solo come una emozione (o stato) patogena. Non è un caso di aver scelto proprio ansia come “protagonista”: il primo ponte tra età adulta e infantile. Nel bambino non c’è ansia, finché non riconosce se un oggetto c’è o non c’è, il bimbo vive più frustrazione che ansia, come la frustrazione di non avere vicinanza del genitore, del suo giocattolo, o del suo oggetto transizionale.
L’ansia subentra quando inizia a capire che quell’oggetto c’è anche se fuori dal suo campo visivo e quindi sente il desiderio di averlo il prima possibile ed è proprio in quel momento che nasce la tensione dell’attesa. È il momento in cui l’individuo si rende conto che un oggetto continua ad esistere indipendentemente dal fatto che sia presente in quel momento e questo, secondo numerosi studi, avviene dopo i due anni. All’Ansia dunque – un po’ come avveniva per Tristezza nel primo film – viene riconosciuto il suo ruolo adattivo, a patto che essa sia gestita entro certi limiti, a conferma della nota curva a campana proposta dagli psicologi Yerkes e Dodson (1908) che sostengono che il rendimento aumenti con l’eccitazione fisiologica o mentale, ma solo fino a un certo punto. Quando i livelli di eccitazione diventano troppo alti, il rendimento diminuisce. I limiti difatti vengono superati nella parta finale del film, impattando negativamente su Riley e sul suo Senso di Sé, che ne risulta disorientato, disregolato e paralizzato, in preda al turbine di dubbi e insicurezze, innescate da Ansia, la quale in maniera opprimente, monopolizza mente e corpo di Riley, isolandola dalla restante esperienza emotiva in una scena (l’attacco di panico) che probabilmente vale tutto il biglietto del film.
Man mano che il “circuito si inceppa” le emozioni si agitano, riverberando tra di loro, in una forza centrifuga dalla quale svincolarsi diviene compito quasi impossibile. Il panico e la confusione crescono ed è in quel momento che Riley, accettando di farsi attraversare da queste sensazioni implosive e parossistiche, pare dilatare spazio e tempo di manovra, trovando nel proprio respiro un’ancora di salvezza all’interno della tempesta, tutto insieme all’aiuto “nella sua testa” di ovviamente Gioia.
Questa rappresentazione si basa sulle tecniche dell’ACT (acceptance and commitment therapy) , altro non è che un intervento psicoterapico che integra strategie di accettazione, mindfulness e di impegno nell’azione. La concezione centrale dell’ ACT è che la sofferenza psicologica sia solitamente causata dall’interfaccia tra il linguaggio, il pensiero e il controllo dell’esperienza diretta sul comportamento. Secondo il modello ACT ciò che promuove il cambiamento e il benessere psicologico è un insieme di competenze di accettazione e impegno (commitment). Tali atteggiamenti, se mantenuti e sperimentati nel tempo, portano alla flessibilità psicologica, e quindi a stare meglio.
Il Senso di Sé e il cambiamento
Il Senso di Sé è un altro punto molto importante in Inside Out, nella metafora Pixar viene rappresentato come un piccolo albero che nasce dalle radici dei ricordi, “inseriti” ad hoc in un meraviglioso stagno dalle stesse emozioni. I ricordi vengono raccolti nella memoria, anche se non si tratta, di una riproduzione fedele degli accadimenti vissuti, ma di un processo di riscrittura che crea una rappresentazione interiorizzata del vissuto necessario per creare la propria identità. Dunque il Senso di Sé, così importante ai fini della trama, insieme al Sé e all’Io sono degli oggetti di studio di tanti rami dalla psicologia e come viene spiegato nel film si tratta dell’insieme degli elementi ai quali gli individui ricorrono per autodescriversi. L’Io ha la funzione che acquisisce i vissuti, il Sé è ciò che il soggetto rappresenta per se stesso e Il senso di Sé comprende l’autovalutazione che il soggetto fa appunto di Sé.
Inside Out 2 si concentra sul Senso di Sé e lo fa basandosi su due teorie scientifiche della psicologia sociale statunitense di George Herbert Mead e William James. Il primo scienziato sosteneva che l’interazione con gli altri sia fondamentale nella costruzione della propria identità in quanto crescendo l’individuo diventa sempre più attento ai comportamenti, alle attribuzioni ed alle opinioni delle persone che lo circondano. Mentre il secondo affermava che le convinzioni, le idee e i pensieri ci appartengono e, in quanto tali, sono inaccessibili agli altri, lo stesso James è stato uno dei più importanti ad approcciarsi allo studio di questo senso mettendolo in relazione al concetto di autostima, situazione molto reale all’interno di Inside Out 2 (“non sono pronta”).
Il sé è ciò che un individuo pensa di se stesso, l’immagine che ha di sé nei vari contesti sociali in cui è immerso, è espressione di specifici punti di vista e prospettive, è legato allo sviluppo cognitivo del soggetto e alle differenti esperienze che egli affronta nel corso della sua vita e in relazione con gli altri e in Inside Out 2 viene “spacchettato“ dal suo senso puramente scientifico e teorico e trasformato, come in Esplorando il Corpo Umano, in un concetto terribilmente alla portata di tutti. Tuttavia se i protagonisti di Inside Out 2 sono le emozioni a farne il ruolo di antagonista è invece il tema del cambiamento, inteso come crescita.
Il film rimarca in modo molto concreto la sfida della autodeterminazione e, nel farlo, narra di una fase evolutiva fisiologicamente rivoluzionaria, quella della pubertà. In questa fase, le emozioni e il corpo, loro teatro e mezzo d’azione, scrivono storie segrete, che assomigliano ai moti del mare: quieti e tempeste, luci e ombre, chiari e scuri si reggono su un equilibrio dinamico, a prima vista alieno. Inside Out 2, parla di tutte queste cose e, nel farlo, abbraccia una narrazione di stampo allegorico, che assume sembianze oniriche; un sogno che è possibile decifrare, ma dal quale svegliarsi risulta impossibile perché quel sogno – come una macchia di Rorschach – parla di te, di noi e di tutto quello che siamo.
Per la stesura dell’articolo ringrazio il supporto scientifico della Dott.ss Elisa Loreti e del Dott. Jacopo Fioretti