Le reinvenzioni del vampiro nell’epoca moderna sono una delle tematiche più affascinanti da affrontare per chi fa horror e più intriganti da analizzare per gli amanti del cinema (dell’orrore e non) e per gli addetti ai lavori. La tendenza ad accompagnare una figura così classica per l’immaginario occidentale si avverte sin dagli anni ’90, ma solo dopo il duemila abbiamo assistito (scavalcata la fase trash) ad una serie di reinterpretazioni colte e allo stesso tempo anarchiche; serie, ma anche divertite (pensate a Renfield di Chris McKay).
Nella recensione di Abigail, al cinema da noi dal 16 maggio 2024 con Universal Pictures, vi parliamo di un titolo che è un degno esponente di questo grande filone di titoli che provano a ricontestualizzare un immaginario fuori dal nostro tempo, provando, a tutti gli effetti, la sua eternità.
La ricetta stavolta prevede uno studio sul vampiro che passa dalla movenze, dalla grazia e dal rovesciamento della simbologia della ballerina, eco del rovesciamento che subisce anche il genere del film, il quale inizia come una classica pellicola su un rapimento e poi diventa un’altra cosa. Per confezionare il titolo, Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett (il duo dietro al requel di Scream), pescano da qualcosa di classico come La figlia di Dracula del 1936 e aggiungono qualcosa di moderno, che non è tanto il contesto, quanto la tematica della famiglia ricostituita e dell’emancipazione dalla figura paterna.
Se è encomiabile il pensiero dietro il film, lo è anche il suo lato entertainment, curato da un ensemble raccordato e scritto benissimo e interpretato da una cast variegato e all’altezza composto da Melissa Barrera, Dan Stevens, Alisha Weir, Kathryn Newton, Kevin Durand, Angus Cloud (alla sua ultima apparizione su schermo), Giancarlo Esposito e Matthew Goode in un succulento cameo. Loro sono gli ingredienti che danno sapore ad una ricetta già sulla carta molto gustosa.
L’innocente ballerina
Abigail (Weir) ha appena finito la sua prova di danza e la prima cosa che fa, da brava figlioletta, è chiamare suo papà per aggiornarlo su com’è andata e dargli il saluto della buonanotte. Una serata come un’altra, segnata però da un evento drammatico: un gruppo di loschi figuri si presenta a casa sua e la rapisce senza spiegazione alcuna per poi portarla in una villa dove sarà tenuta in ostaggio e liberata solamente dopo il pagamento del riscatto. Evidentemente suo padre è uno che conta.
Il problema principale è che neanche i loschi figuri sanno chi sia quest’uomo, essendo stati semplicemente assoldati per il lavoro da un certo Lambert (Esposito). La verità è che non si conoscono neanche tra di loro e, di primo acchito, certamente non si stanno simpatici, tolta un’infatuazione non propriamente ricambiata. Devono però mettere da parte le acredini e gestire la bambina per 24 ore.
Una bambina sempre più spaventata, ma che trova in Joy (Barrera), sola tra i rapitori alla quale è concesso parlare con lei e presentarsi con il volto scoperto, una confidente e un punto di riferimento. Tra le due nasce un’intesa a causa di una frattura emotiva che le accomuna, ma la piega che prenderanno le ore successive sposteranno notevolmente l’attenzione su altro. Delle ore di cui nessuna delle due si scorderà facilmente.
Dopo un po’ di tempo infatti ad uno dei loschi figuri viene staccata la testa di netto e allora tra gli altri comincia a serpeggiare una certa preoccupazione. Sentimento che non farà altro che aumentare nel momento in cui scopriranno chi è il padre della dolce bambina incatenata nella stanza del piano di sopra e che raggiungerà il suo apice massimo quando la dolce bambina si libererà dalle catene e tirerà fuori dei carinissimi denti aguzzi con i quali poter sbranare ognuno dei suoi rapitori.
Bisogna saperci parlare con i classici
Se c’è una cosa che non si può imputare al duo composto da Bettinelli-Olpin e Gillett è la mancanza di coraggio. Il loro lavoro su Scream è la prova della loro sfrontata sicurezza nel rimescolare codici, registri e topos di genere per rigirarli, attualizzarli e giocarci senza mai per questo snaturarli o mancar loro di rispetto. La base di partenza è la stessa anche per Abigail, lavoro complesso in cui si riscontra ancora una volta la grande conoscenza degli autori nei riguardi del materiale con cui hanno a che fare.
La danza, arte sublime, passa dalla sporcature che ne hanno fatto, per esempio, in Suspiria sia Dario Argento che Luca Guadagnino (c’è anche una bella citazione in una sequenza al lavoro di quest’ultimo), ad una vera e propria disintegrazione dovuta all’abbrutimento da horror gotico e dallo slasher dalle componenti splatter. Solo questo esercizio vale la visione, che alza ancora la posta decidendo di lavorare per strati svelando allo spettatore ogni volta un risvolto nuovo di questo divertentissimo film di rapimento al contrario. La riuscita dell’intento è affidata ai personaggi, tutti credibili, tutti approfonditi, tutti diversi e tutti ben amalgamati.
L’ampio ventaglio dell’immaginario del vampiro lega il tutto: esso è mostro, manipolatore, serial killer psicopatico, ma anche solo, maledetto e sofferente. Abigail ha in sé il Dracula più pop, ma anche la Claudia di Intervista col Vampiro, sinonimo di innocenza e grazia predata e quindi perduta, come la danza in una pellicola in cui le persone esplodono in giro per casa (letteralmente). La componente di intrattenimento non è solo sfruttata, ma è anche celebrata, riproponendo la figura di Dracula come un ipotetico capo mafia, un ruolo di vertice che, a ben guardare, gli si addice alla perfezione, oltre a strizzare l’occhio ad altre pellicole dedicate al Conte.
In tutto ciò Abigail trova anche il tempo di elaborare un sottotesto fortemente moderno e in perfetto contrasto con il canonico patriarcato del mondo dei succhiasangue. Il titolo è infatti anche un lavoro tutto al femminile in cui si parla di seconde opportunità, della riscoperta di se stessi e della ricostituzione del senso della famiglia. Un film che parla di abbandono e della sofferenza che lascia un vuoto emotivo, sia da parte di una madre che da parte di una figlia. Componenti ovviamente traslate secondo un registro vampiresco dal tono più “leggero”. Una cosa straordinaria (una delle tante) che l’horror sa fare è quella di poter offrire un mondo pieno di opportunità, ma solo a chi lo merita davvero.
Concludiamo la recensione di Abigail della coppia composta da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett evidenziandone i tanti pregi che sottolineano la bontà della poetica degli autori e dimostrano come la fascinazione per l'immaginario vampirico abbia ancora una valenza nel cinema contemporaneo. Esso è infatti è poliedrico al punto da poter essere costantemente reinventato e ha una ricchezza tale da poter parlare anche al pubblico di oggi. Basta trovare qualcuno che ne conosca la Storia e sappia come trattarlo.
- La meticolosità e la giocosità con cui affronta i classici di riferimento.
- Il lavoro che fa sul rovesciamento del topoi tradizionali.
- Il sottotesto moderno e di rottura con il passato.
- Si tratta di un horror che vive del lavoro sul genere, forse per questo non apprezzabile dai non amanti.