Alone in the Dark, la recensione del reboot del cult horror targato Infogrames

A distanza di oltre 30 anni dall’uscita del capitolo originale e dopo il deludente reboot del 2008, Alone in the Dark tenta l’ennesimo rilancio con un rifacimento che punta a rivisitare gli avvenimenti di Villa Derceto, in termini contenutistici e narrativi, svecchiandone la formula ludica e restando fedele alle atmosfere dell’originale cult del 1992.

Nei panni di Edward Carnaby e Emily Hartwood ci ritroveremo dunque ad indagare sulla misteriosa sparizione dello zio di Emily e sui segreti che infestano la Villa, godendo stavolta della presenza diverse novità che andranno ad impreziosire il canovaccio narrativo. Le aggiunte più corpose riguardano, ovviamente proprio la componente narrativa e nel complesso, questo Alone in the Dark funziona proprio nel riproporre un racconto che si mostra godibile e coinvolgente sin dalle prime battute, fallendo, di contro, però nel tentativo di dare lustro al franchise per via di una struttura ludica zoppicante e di una realizzazione tecnica a dir poco deludente. Cerchiamo di capire cos’è andato storto in questa recensione di Alone in the Dark.

Ritorno a Derceto

La storia di Alone in Dark inizia con l’arrivo dei due protagonisti a Villa Derceto, un’austera casa di cura per pazienti psichiatrici immersa nel verde della Louisiana. La giovane Emily Hartwood ha assunto l’investigatore privato Edward Carnby per far luce sulla scomparsa dello zio, di cui non ha avuto più notizie dopo l’arrivo della sua ultima – preoccupante – lettera. Giunti sul luogo, i due si trovano subito ad avere a che fare il personale della Villa che a dirla tutta si mostra sin da subito sospetto e tutt’altro che collaborativo. Starà ovviamente a Emily e ad Edward darsi da fare per trovare le risposte all’interno di una fitta trama fatta di enigmi, segreti e oscure verità.

Nonostante l’incipit resti sostanzialmente lo stesso di quello del classico del 1992, il nuovo Alone in the Dark propone tutta una serie di interessanti variazioni sulla trama originale che contribuiscono a rendere la storia del gioco non solo più coerente e più articolata rispetto al passato ma anche più equilibrata dal punto di vista del ritmo del racconto. Ad esempio, oltre alla presenza di nuovi personaggi, alcuni eventi chiave del gioco sono stati rimaneggiati, prendendo spunto dagli eventi della trilogia originale con l’obiettivo di mantenere intatto il core dell’esperienza e l’atmosfera opprimente e affascinante del titolo a cui si ispira. La sceneggiatura, tra l’altro, sfrutta come nell’originale ed in maniera intelligente gli elementi di matrice lovecraftiana, che diventano, andando avanti, preziosi tasselli di un racconto efficace e coinvolgente, arricchito da un ampio assortimento di numerosi documenti che ci permettono di approfondire maggiormente tutti gli avvenimenti legati ai due protagonisti.

Il gioco offre, inoltre, la possibilità di scegliere a inizio partita quale dei due personaggi interpretare.  E la cosa interessante è che le due campagne offrono due prospettive diverse sul racconto con diverse linee di dialogo, diverse sequenze per quanto concerne alcune specifiche sezioni di gioco, diversi enigmi e diversi obiettivi. Intendiamoci, però: la storia in sostanza resta la stessa (e forse da questo punto di vista avremmo gradito la presenza di quest aggiuntive e di più varietà tra le campagne), ma cambiano alcuni elementi che restano comunque importanti per avere una visione d’insieme sugli avvenimenti e su quella che è la storia dei due protagonisti. Da questo punto di vista, la sceneggiatura preme molto sul fattore rigiocabilità, spingendo il giocatore ad effettuare una seconda run per godersi le scene aggiuntive. Il tutto accompagnato dalla presenza di un cast d’accezione: a prestare fattezze e voce a Edward troviamo David Harbour (I segreti di Brokeback MountainStranger Things), mentre per quanto concerne Emily abbiamo Jodie Comer (The Last Duel) con un risultato più che calzante e interpretazioni di livello.

Tra rompicapi ed esplorazione

Se il nuovo Alone in Dark , però, convince pienamente dal punto di vista narrativo, non si può dire lo stesso per quanto concerne la struttura ludica che, a differenza della trama, soffre la presenza di tutta una serie di approssimazioni e limitazioni tecniche. In sostanza, la componente puzzle e l’esplorazione rimangono il cuore dell’esperienza ludica del gioco che si pone come un survival di stampo più tradizionale con enigmi variegati e ben implementati.

Durante le fasi esplorative, l’opera di Pieces Interactive riesce in molti frangenti anche a restituire quel senso di claustrofobia e oppressione ricercata, grazie anche la presenza di una direzione artistica ispirata (gli interni di Villa Derceto sono splendidi e ricchi di dettagli) e di un sonoro da brivido. Il vero problema arriva, però, quando ci si trova a dover combattere le orripilanti creature che infestano i dintorni della Villa: il sistema di combattimento, infatti, resta il vero punto dolente di questa produzione, insieme ad un comparto tecnico davvero problematico di cui parleremo a breve. Durante la perlustrazione di Villa Derceto, dovremo spesso e volentieri mettere mano al nostro armamentario per far fuori le minacce che incontreremo sul nostro cammino. Per far fronte a questa incombenza, il gioco ci mette a disposizione sia diverse armi da fuoco (pistola, fucile, mitraglietta ecc..) che armi bianche con la possibilità di lanciare oggetti per rallentare il nemico o per recargli danni aggiuntivi.

Gli scontri, specie quelli corpo a corpo, mostrano, però, tutta una serie di magagne, risultando sin troppo ingessati nelle animazioni ed imprecisi nella reazione dei colpi. La situazione migliora leggermente nella gestione degli scontri a fuoco, anche se rimane una sensazione di approssimazione anche per quanto concerne le meccaniche stealth relegate alla semplice pressione di un tasto per cambiare la postura del personaggio. Altro elemento che rivela una gestione molto grossolana del sistema di combattimento che avrebbe meritato maggiore cura per rendere l’esperienza non solo più moderna e fresca nelle meccaniche, ma anche più appetibile per i nuovi utenti.

Un’esperienza con poche luci e molte ombre

Ciò che macchia pesantemente l’operazione di rifacimento svolta da Pieces Interactive, però, resta la presenza di un comparto tecnico a dir poco obsoleto con texture poco rifinite, continui bug e glitch più o meno evidenti. Più volte, purtroppo, abbiamo dovuto ricorrere al caricamento di un salvataggio precedente perché il nostro personaggio si era incastrato in qualche angolo della stanza e riavviare persino  la partita per i freeze del gioco.

Ovviamente, parliamo di problemi che verranno risolti gradualmente con il rilascio di patch correttive, ma che comunque – inutile sottolinearlo – vanno a pesare in maniera sostanziale sul bilancio complessivo di un’esperienza sporcata dall’assenza di una valida ottimizzazione e che si rivela purtroppo molto frustrante per il giocatore. A tutto questo dobbiamo anche aggiungere gli onnipresenti cali di frame rate, in certe situazioni anche piuttosto consistenti, che non migliorano di certo la situazione generale.

Insomma, al netto di qualche intuizione positiva, Alone in the Dark resta sicuramente un titolo che non convince pienamente. L’idea di rimaneggiare il canovaccio narrativo in maniera originale, restando fedele alla tradizione, resta senza dubbio solida e lodevole. Ma tutte le incertezze e le approssimazioni sul fronte ludico e tecnico impediscono purtroppo ancora una volta ad Alone in the Dark di compiere quel salto in avanti che gli avrebbe permesso di tornare a brillare tra gli esponenti del genere. Chissà che Pieces Interctive non decida di rimettersi al lavoro sulla saga. Lavorando sui punti deboli e aggiustando il tiro, il piccolo team potrebbe regalarci delle soddisfazioni in futuro con l’arrivo di un eventuale sequel.

65
Alone in the Dark
Recensione di Roberta Pagnotta

Il nuovo Alone in the Dark aveva tutte le premesse per riuscire a ridare lustro ad una delle saghe horror più amate dagli appassionati del genere e, invece, finisce per crollare sul peso delle sue stesse ambizioni. È davvero un peccato, perché sarebbe bastata qualche accortezza in più dal punto di vista tecnico e del gameplay per confezionare un'esperienza molto meno acerba e più compatta sul fronte ludico. Al di là di tutto, c'è da dire che sicuramente i fan della serie avranno modo di apprezzare l'impianto vecchia scuola e la perfetta riproduzione delle atmosfere di Villa Derceto. Di contro, invece, gli evidenti limiti tecnici della produzione potrebbero allontanare i nuovi utenti dal considerare l'acquisto di un rifacimento che fatica ancora una volta a lasciare un segno. 

ME GUSTA
  • Storia ben rielaborata, ritmata e coinvolgente con interpretazioni di livello
  • Gli enigmi sono variegati e ben implementati
  • Villa Derceto è affascinante e ancor più ricca di atmosfera
FAIL
  • I combattimenti, in particolare quelli corpo a corpo risultano ingessati e poco curati
  • Tecnicamente appare come un gioco della scorsa generazione
  • Meccaniche stealth approssimative
  • Molti bug e glitch più o meno evidenti
Sand Land, recensione: l'action RPG di Bandai Namco celebra Toriyama, ma non abbastanza
Sand Land, recensione: l'action RPG di Bandai Namco celebra Toriyama, ma non abbastanza
Stellar Blade, la recensione: un Angelo per salvare l'umanità
Stellar Blade, la recensione: un Angelo per salvare l'umanità
Videogiochi e audiovisivo non sono mai stati così vicini
Videogiochi e audiovisivo non sono mai stati così vicini
Kingdom Come Deliverance II: un ritorno inatteso ma graditissimo
Kingdom Come Deliverance II: un ritorno inatteso ma graditissimo
Nacon House a Milano è il nuovo ritrovo della Gen Z
Nacon House a Milano è il nuovo ritrovo della Gen Z
World of Warships dà il benvenuto a Marco Materazzi nelle vesti di Capitano
World of Warships dà il benvenuto a Marco Materazzi nelle vesti di Capitano
Sand Land, abbiamo provato il nuovo action RPG tratto dall'opera di Toriyama
Sand Land, abbiamo provato il nuovo action RPG tratto dall'opera di Toriyama