Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo, recensione: su Disney+ una serie teen che racconta la mitologia

Dieci puntate per raccontare il primo romanzo di Percy Jackson, opera di Rick Riordan che era già stata trasposta a suo tempo, in formato lungometraggio, riscuotendo un successo discreto, ma non del tutto trasbordante. A distanza di 14 anni dal film firmato da Chris Columbus, le avventure del figlio di Poseidone tornano a essere protagoniste di una serie distribuita su Disney+ con l’intento di dare maggior respiro a molti dei personaggi che erano stati soffocati da una durata contenuta della pellicola originale e anche per andare ad approfondire alcuni collegamenti tra i vari protagonisti che erano stati sacrificati per il nome della compattezza narrativa. Vi raccontiamo, a questo punto, cosa potreste aspettarvi da Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo, disponibile adesso completa su Disney+ in tutti e dieci i suoi episodi.

Le fatiche di Perseo

Percy Jackson è un ragazzino con numerosi problemi di adattamento, che fa fatica a trovare il proprio spazio all’interno del mondo. A fargli da fedele spalla c’è solo Grover, un ragazzo emarginato come lui che prova a stargli accanto in ogni possibile momento. Percy, in realtà, cela un segreto del quale non è a conoscenza: è il figlio di Poseidone, il dio del mare, il che fa di lui un semidio, essendo sua madre un’umana. Grover non è altri che un satiro e insieme verranno catapultati a quello che è il campo d’addestramento per i giovani semidei: qui la sua missione diventerà molto più grande e importante del riuscire a trovare uno spazio nel proprio mondo, perché la folgore di Zeus, la più alta arma del Padre degli Dei, è stata rubata da qualcuno. Dovrà essere Percy, insieme a Grover e Annabeth, figlia di Atena, a viaggiare verso gli Inferi e recuperarla da quello che è ritenuto essere il principale indiziato di questo furto, con l’unico obiettivo di scongiurare una guerra tra gli dei, pronta a ripercuotersi anche su quella che è la situazione terrestre.

Percy Jackson riprende quelle che sono le tematiche trattate nel romanzo e recupera anche quegli aspetti che Columbus nel film aveva edulcorato o tagliato, come già detto principalmente per necessità di tempistica e di durata del film. Per chi ha, quindi, apprezzato il romanzo e lo ha sviscerato a suo tempo, sarà più facile apprezzare quella che è la messinscena attuale, molto più fedele a quanto aveva scritto Riordan all’epoca. Gli stessi personaggi hanno molto più tempo e spazio per lasciarsi comprendere e apprezzare: al di là di Percy (Walker Scobell, molto bravo nel suo ruolo), anche Grover (Aryan Simhadri) avrà a disposizione il giusto screen time per raccontarci della sua famiglia, di quello che è lo scopo dei satiri come lui e persino qual è il suo sogno da adulto, un giorno. Gli intrecci del trio, che comprende anche Annabeth (Leah Jeffries), viaggiano comunque su delle tematiche molto giovanili, non sfociano mai in nessun rapporto che possa travalicare l’amicizia e si limitano a tradimenti per lo più figli di quelle che sono le derivazioni degli atteggiamenti dei rispettivi genitori, soprattutto per Percy e per Annabeth. I sentimenti sono quelli di affetto, di paura, gli abbracci sono gli elementi di maggior espressione dell’intera serie, proprio per abbassare a un livello molto più giovanile l’intera narrazione: Percy, d’altronde, nel romanzo aveva 12 anni appena, mentre nel film si era deciso di renderlo più grande di un paio di anni.

Un’eccessiva verticalità degli episodi

Sebbene questo non rappresenti in alcun modo un problema, ma un semplice voler puntare a un target ben specifico, la difficoltà che incontra la serie di Percy Jackson fino al penultimo episodio è la struttura prettamente verticale di ogni segmento, atto a raccontarci e ad approfondire un determinato antagonista. Per restare in ambito mitologico, se volessimo paragonare il tutto a quelle che furono le fatiche di Ercole non andremmo troppo distanti da quella metodologia di racconto: d’altronde ogni fatica, che per Percy equivalgono allo sconfiggere o al fronteggiare una divinità, si fa carico di un intero episodio, che si tratti dell’incontro con Medusa o dal tentativo di irretire i giovani da parte di Ermes. È indubbio che così facendo c’è lo spazio anche per gli antagonisti – e non solo per i protagonisti – di prendersi l’adeguato screen time per raccontarsi, con addirittura Ares che se ne prende di più in maniera tracotante, ma è anche scontato che con questa struttura si finisca per essere abbastanza ripetitivi. La crescita dei tre personaggi è affidata così alle sfide dinanzi alle quali si trovano e il tutto finisce per essere estremamente semplicistico.

Dal punto di vista della realizzazione tecnica, per quanto la CGI non sia sempre curata nei minimi dettagli, è affascinante l’idea di aver reso tutte le divinità, quindi le special guest adulte, vicine all’atmosfera metropolitana. Percy Jackson diventa una sorta di American Gods di Neil Gaiman per ragazzi, con le dovute proporzioni: se lì Odino stava reclutando una squadra per andare a muovere guerra alle divinità moderne, qui si cerca di scongiurare che Zeus possa scatenarne un’altra. La commistione tra il mondo reale e quello mitologico è affascinante e ben congegnata, soprattutto nel collocare l’Olimpo nell’Empire State Building, come d’altronde lo stesso Riordan aveva pensato ai tempi del suo romanzo. Inoltre, l’ascesa all’Olimpo riserverà anche una sorpresa agli spettatori (l’ha riservata anche a noi, per dire) sull’interprete di Zeus, per il quale non vi diremo nulla per lasciarvi godere il cameo.

Una famiglia dissociata

L’idea di base di Percy Jackson, così come era quella del romanzo, si manteneva forte sull’idea di raccontare la mitologia greca ai più giovani: tutte le sue brutture e difficoltà, figlie di un intreccio sempre molto sui generis per come ci venivano raccontate le tragedie greche, vengono a galla in quello che è un intreccio già di per sé funzionante e qui riproposto con l’arguzia di dimostrare ai più giovani che bisogna sempre guardarsi le spalle e dubitare costantemente anche di chi si trova nella nostra famiglia a predicare bene. Non vuole essere un monito, sia chiaro, ma un semplice modo per spingere tutti a ragionare su quali sono le persone nelle quali riponiamo fiducia: d’altronde la vicenda di Zeus con suo padre Crono è l’esempio più lampante delle problematiche famigliari. Specifichiamo che, nonostante non sia stata annunciata ufficialmente, prevedere una seconda stagione per Percy Jackson è abbastanza scontato: così come arrivò il secondo film, anche qui ci aspettiamo che le vicende che coinvolgono gli dei non si possano arrestare, soprattutto perché il finale ripercorre lo stesso del film e del libro.

Per quanto riguarda quelle che sono le differenze che intercorrono tra il romanzo di Riordan e la serie (e di conseguenza anche il film) soprassediamo al momento per evitare spoiler: come già detto in apertura, però, vi confermiamo che l’intenzione della serie è riuscita, perché nell’andare a raccontare in modo molto più ravvicinato quello che l’intreccio del romanzo originale si riesce a seguire in maniera anche più fedele quelle che erano state le indicazioni dello scrittore stesso. Aspettatevi, insomma, delle variazioni rispetto a quanto avevate visto nel film, pur rimanendo ben ancorati a quello che sarà l’obiettivo conclusivo dell’intreccio narrativo.

70
Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo
Recensione di Mario Petillo

Per il target a cui punta, Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo è un'ottima serie teen, in grado di raccontare non solo la mitologia greca in maniera molto leggiadra e piacevole, ma anche di intrattenere per tutti i suoi dieci episodi. Bisognerà scendere a patti col fatto che gli episodi sono molto verticali e finiscono per raccontare storie tra di loro unite solo dal fil rouge di un viaggio che da New York dovrà condurre il trio a Los Angeles. Sarà questa l'occasione per andare a porre delle pietre miliari di città in città per scoprire novità sugli dei e sul loro mondo, mantenendo sempre quello stile molto leggiadro e che punta forte a un pubblico adolescenziale, tenendo i toni sempre molto allegri e adeguati alle esigenze.

ME GUSTA
  • Un target teen che viene espressamente soddisfatto
  • Ottima scelta affidarsi di più al romanzo rispetto al libro
FAIL
  • Episodi troppo verticali e quasi sconnessi tra loro
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