Con un laconico annuncio sui social ufficiali, l’E3 (Electronic Entertainment Expo, ma anche Electronic Entertainment Experience, come era stata rinominata nell’ultima edizione) chiude definitivamente i battenti: “Dopo oltre due decadi di E3, ognuno più grande del precedente, è arrivato il momento di dirsi addio. Grazie per i ricordi“. Un messaggio opinabile nel contenuto (nelle ultime edizioni i fasti del passato erano solo un ricordo, altro che crescita di anno in anno!) e che sicuramente lascia l’amaro in bocca a tutti gli appassionati del settore che ne seguono i movimenti come mercato e industria, in qualunque modo l’abbiano vissuta in passato. L’ultima edizione effettiva, in presenza, è stata quella del 2019, dopodiché l’inevitabile e subitaneo declino a cui è seguito una sorta di accanimento terapeutico. Ma vediamo nel dettaglio cos’era l’E3, perché era così importante e perché è fallita ogni possibile operazione di recupero.
— E3 (@E3) December 12, 2023
E3: un’innovazione che non è stata al passo?
Alla metà degli anni ’90, i più grandi publisher di videogiochi decisero che il Consumer Electronics Show (CES) di Las Vegas non era più la piattaforma ideale per presentare le proprie console e, soprattutto, i propri videogiochi: la fiera era dispersiva e il mercato dei videogiochi si stava espandendo verso nuove direzioni. Anziché essere ostracizzati in un “angoletto dedicato ai giochini” dalle ultime novità dedicate agli schermi hi tech e all’alta fedeltà, serviva una fiera apposita in cui i videogiochi avrebbero avuto la dignità, il riguardo e l’attenzione che meritavano. Nel 1994 era stata fondata la Interactive Digital Software Association (IDSA), associazione di settore americana che doveva gestire al meglio il mercato videoludico negli Stati Uniti in seguito alla crescita del mercato specifico e alle varie controversie che i videogiochi andavano affrontando (ad esempio le interrogazioni parlamentari sull’impennarsi del coefficiente di violenza intrinseca che i giochi stavano registrando in seguito al successo dei primi esempi di grafica fotorealistica come Mortal Kombat). IDSA (che nel 2003 divenne Entertainment Software Association – ESA – sposò tra le sue prime missioni principali proprio la creazione di una fiera di settore.
Tempo fa, il presidente di dell’ESA, Stanley Pierre-Louis, ha raccontato che
A quel tempo, come industria, abbiamo compreso il potenziale dei videogiochi, ma molti altri non apprezzavano il ruolo importante che la nostra industria gioca nel settore dell’innovazione e nel creare vere espressioni d’arte, oltre che di crescita economica.
Era, insomma, giunto il momento di spiccare il volo e spostarsi da Las Vegas a Los Angeles, che ha sempre ospitato la manifestazione (salvo che nel biennio 97-98 – nei quali si tenne ad Atlanta – e nel 2007, all’aeroporto do Santa Monica) da allora nota come E3. L’evento era pensato per addetti ai lavori, ma un certo numero di ingressi e accrediti, in un modo o nell’altro, finiva nelle mani di appassionati, che avevano così un trampolino diretto nel mondo dell’entertainment videoludico in anteprima, in un periodo in cui l’informazione videoludica arrivava solo tramite le riviste di settore della carta stampata… i videogiochi in tv c’erano poco e niente, solo come spazi pubblicitari per un pubblico kids, e internet era ancora terra di frontiera.Visto il potenziale responso di pubblico, successivamente la fiera aprì le porte anche agli appassionati, in formule diverse di anno in anno, con numeri che si stagliavano tra i 40k e i 70k, tranne un paio di edizioni sfortunate o chiuse al pubblico. Per molti anni l’E3 è stato il palco mondiale principale per la presentazione dei videogiochi, in cui tutte le big presentavano i loro pezzi da novanta, tra videogiochi inediti e nuovo hardware. L’evento indimenticabile fu il 2005, così ricco di annunci e sorprese da rimanere negli annali della storia dei videogiochi. Certo, i costi erano alti quanto le aspettative, ma la vetrina era eccellente e, praticamente, obbligata: un pantagruelico banchetto che presentava tutte le più grandi novità a venire e alimentava le redazioni e i distributori, oltre che l’hype dei videogiocatori.
Non mancavano le problematiche, tuttavia: in un periodo in cui i videogiochi venivano ancora tutti distribuiti su formato fisico gli annunci in date “strette e costrette” risultavano a volte difficili non solo da organizzare ma anche da realizzare: i prototipi dovevano per forza di cose essere pronti per la data della kermesse e, inoltre, gli annunci dovevano essere sempre roboanti, per farsi notare nella calca di chi la sparava più grossa. Era una costante sfida tra le big del settore piuttosto stressante, un’annuale sfida all’O.K. Corral che faceva anche vittime eccellenti nel marketing. Allo stesso tempo, è grazie all’E3 che gli sviluppatori di videogiochi cominciarono a uscire dagli Studi per farsi conoscere dal proprio pubblico, facendo conoscere le proprie personalità e creando degli status di piccole celebrità: pensiamo ad esempio all’ascesa di Hideo Kojima, ad esempio, ma anche agli executive delle società, come Satoru Iwata, Doug Bowser e Reggie Fils-Aimé per Nintendo.
La stessa Nintendo che, ad ogni modo, con l’affermarsi di altri eventi di presentazione dedicati come il Tokyo Game Show e, successivamente, la Colonia Gamescom, colse la palla al balzo per presentare un format personale e moderno: i Direct su YouTube. Presentazioni online, in streaming, ad orari prestabiliti (ma spesso annunciati con poco preavviso) che presentavano, con poca spesa e molta resa, le novità della Casa di Kyoto. I vantaggi erano evidenti: tempistiche comode, nessuna complicanza logistica nell’invitare la stampa, contatto diretto col pubblico, spesa irrisoria. Difatti, se partecipare a una fiera come l’E3 era relativamente comodo perché assicurava un notevole ritorno di pubblico, si trattava comunque di spese importanti soggette al discorso della concorrenza di cui parlavamo prima; eventi personalizzati e a costo quasi zero come un Direct sono diventati, col tempo, dei must un po’ per tutti, con modalità e particolarità differenti. Si trattava, comunque, di qualcosa che andava ad affiancarsi e non sostituirsi alle fiere dal vivo.
Cosa ha portato alla morte dell’E3? L’avvento della pandemia di COVID-19, nel 2020, ha destabilizzato molte industrie, con scossoni che hanno creato danni irreparabili e, al contempo, accelerato altri processi che erano solo questione di tempo. Vedasi la diffusione dello streaming (anche nei campi di televisione, cinema e musica) e della distribuzione di prodotti audiovisivi in digital download. Durante il lockdown qualunque evento dal vivo è stato cancellato, ma anche negli anni successivi l’E3 non è tornato, nonostante le promesse. Nel 2021 si è tentato di farne un’edizione online, con scarso successo, e nel 2022 e 2023 non c’è stato modo di far fronte alle numerose difficoltà organizzative. Si pensava che il 2024 e 2025, grazie anche all’apporto di Reedpop (che organizza manifestazioni di cultura nerd/pop di successo, come il PaxEast) si sarebbe trovata una nuova formula, ma tutti hanno tirato i remi in barca, Reedpop in primis. “Colpa” dei grandi publisher che hanno comunicato disdette a catena: e se mancano Nintendo, Sony, Microsoft etc., che fiera è? Un E3 non si può basare quasi solo sugli “indie”, che oltretutto non hanno la potenza di fuoco, il battage mediatico, la disponibilità economica necessaria, e il giusto ritorno di pubblico.
Del resto, perché lanciarsi in una competizione che ha ormai fatto il suo tempo quando si possono realizzare spotlight proprietari più economici e con risultati migliori? Raggiungere il pubblico direttamente è comunque meglio e la stampa di settore seguirà comunque l’evento, senza neanche bisogno di prenotare visite ai booth etc. E se c’è bisogno di mostrare qualcosa dal vivo, si organizzano eventi specifici senza andare in concorrenza.
Sappiamo che l’intera industria, i giocatori e i creatori di contenuti amano molto l’E3. Condividiamo questa passione. E sappiamo che è difficile dire addio a un evento così amato, ma è la cosa giusta da fare date le nuove opportunità che ha la nostra industria di raggiungere fan e partner commerciali.
ha affermato Pierre-Louis.
Le fiere in presenza, tuttavia, non sono morte: perché TGS e Colonia continuano? Si tratta di un discorso complesso, relativo a ecosistemi diversi e costi relativamente minori. Allo stesso tempo, ecco arrivare anche eventi mediatici di terze parti che stanno sempre più prendendo piede, come quelli organizzati da Geoff Keighley, che da giornalista specializzato si è evoluto in produttore di questo tipo di eventi, come il Summer Game Fest e i The Game Awards.
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