J.R.R. Tolkien, perché viene ancora politicizzato? Intervista a Wu Ming 4

Questo governo ha deciso di celebrare i 50 anni dalla morte di J.R.R. Tolkien con una mostra promossa dal ministero della cultura, dal titolo “Tolkien: uomo, professore, autore”, che si terrà a Roma a partire dal 16 novembre, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, e che verrà inaugurata dalla premier Giorgia Meloni in persona. Questo ha portato a diversi dibattiti, politicizzando di nuovo l’autore inglese. Abbiamo raggiunto Wu Ming 4, autore dell’ultimo saggio Difendere la Terra di Mezzo edito da Bompiani, in merito a questo delicato argomento.

Tolkien di destra o Tolkien di sinistra. Quante volte si è accostati l’autore de Il Signore degli Anelli ad una determinata fazione politica e quante battaglie sono state fatte a nome di colui che nella sua vita aveva interesse più per la Terra di Mezzo che per una battaglia ideologica di bandiere. Insomma l’Italia si è fatta sin dagli anni settanta capofila di questa appropriazione e nonostante il successo di Peter Jackson, che con i suoi film aveva assopito questa dicotomia, ecco rispuntare negli ultimi mesi dalle Paludi Morte il grande dibattito: Tolkien colonna della destra o eroe della sinistra. Ma qual è la causa scatenante di questa “nuova” (si fa per dire) disputa: senza dubbio la mostra che il 16 novembre sarà inaugurata dalla premier Giorgia Meloni, e organizzata dal Ministero della Cultura, è stata la classica goccia che ha fatto di nuovo travasare i vasi di varie testate giornalistiche, di vari intellettuali e collezionisti tolkieniani che non aspettavano altro che tornare sul carro delle “vecchie polemiche” che per anni si era riusciti ad arginare.

Questa mostra non è un incidente. È un atto deliberato e profondamente voluto. Ma non c’è alcuna dietrologia da fare. Anche se so che qualcuno si sta esercitando su questo.

Debutta così tra l’altro, il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano alla conferenza stampa per la mostra Tolkien. Uomo, Professore, Autore, che si protrarrà fino all’11 febbraio 2024 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Tra le tantissime frasi che si potevano esprimere, dalla gioia allo stupore, dalla meraviglia alla soddisfazione si è scelto di rimarcare un possibile “inghippo politico”. Per questo motivo si è deciso di intervistare (considerando che è stato più volte citato da varie testate e non solo) Wu Ming 4, del gruppo Wu Ming e autore dell’ultimo saggio, edito da Bompiani, Difendere la Terra di Mezzo. Ma prima di leggere le parole dello scrittore è giusto dare un po’ di informazioni storiche, soprattutto riguardanti Tolkien, i famosi Campi Hobbit e quello che è stato il periodo degli anni settanta ed il perché una determinata parte politica si stava appropriando di questo autore, c’è fin troppa confusione di quel decennio ed è buona cosa ricostruire quei momenti.

I Campi Hobbit e gli anni settanta

Sull’articolo “Tolkien, i mostri e la mostra di Sangiuliano” è possibile trovare la ricostruzione storica del periodo appena citato.

Era la fine degli anni Settanta e il panorama politico-culturale italiano era completamente diverso da oggi. Il paese era saldamente governato dalla Democrazia Cristiana, e all’opposizione c’era il partito comunista più grande dell’Europa occidentale, a sua volta incalzato dalla generazione della Nuova Sinistra nata dal Sessantotto. In quello scenario qualche giovane neofascista intraprendente tentò di importare dalla Francia le posizioni della cosiddetta Nouvelle Droite, e di tradurle nel tentativo di superare il vecchio «Dio, patria, famiglia» dei nostalgici, accettando la sfida dell’odiata modernità. Quei giovani neofascisti cercavano il confronto con la Nuova Sinistra sul piano culturale, prefigurando improbabili “nuove sintesi” e il reciproco riconoscimento tra opposte fazioni, contro le vecchie guardie di entrambi i fronti. In quest’ottica la Nuova Destra si interessò a neopaganesimo, ecologismo, comunitarismo, localismo, e in qualche modo li ritrovò ne Il Signore degli Anelli. L’opera di Tolkien venne quindi scoperta e letta da quella frangia minoritaria dell’MSI in questa chiave e non è un caso che quei giovani scegliessero la Contea e gli Hobbit per dare il nome alla loro esperienza collettiva, proiettando sui protagonisti dei romanzi di Tolkien il proprio voler essere piccoli ma determinanti.

La stagione dei Campi Hobbit e della Nuova Destra sul piano politico fu breve.

Presto il partito normalizzò l’eresia, dopo aver già messo d’imperio al vertice del comparto giovanile Gianfranco Fini, delfino di Almirante. Fu lui che nella prima metà degli anni Novanta cambiò pelle e nome al partito, ma per accettare l’alleanza con Silvio Berlusconi, abbracciando posizioni atlantiste e liberal-conservatrici. Quella trasformazione diede inizio alla storia che – con alterne vicende e ribaltamenti – porta fino a oggi e al “nuovo” rinnamoramento di una certa fazione politica per l’autore del mondo di Arda. Nonostante la “nuova” destra sia anni luce lontana da quella di alcuni decenni fa le passioni letterarie sopravvivono alle svolte politiche e Tolkien, a quanto pare, è rimasto nel cuore degli ex-neofascisti riconvertitisi neo-con: la premier Giorgia Meloni in più interviste ha ricordato il suo amore verso Tolkien e addirittura ha voluto chiudere la sua campagna elettorale con la voce di Aragorn mentre declamava il celebre discorso agli «uomini dell’Ovest» prima dell’ultima battaglia. E dopo il successo di questa campagna elettorale con l’ascesa al potere della stessa premier siamo arrivati alla mostra “Tolkien: uomo, professore, autore” campo di dibattiti e polemiche a quanto pare ancora senza fine.

Wu Ming 4 a cinquant’anni dalla morte di Tolkien, quanto è cambiata la concezione in Italia di questo autore?

È cambiata tanto. Direi soprattutto grazie ai film di Peter Jackson, che hanno trasformato Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli in storie popolari, conosciute da tutti o quasi. E siccome la cultura pop e quella colta si influenzano vicendevolmente, negli ultimi vent’anni anche gli studi tolkieniani hanno avuto un impulso nuovo in Italia. Questa ondata d’interesse ha portato sia alla nascita di un fandom esteso, festival, giochi da tavolo e di ruolo, comunità di cosplayers, ecc., sia a quella di nuove associazioni, convegni accademici, riviste, gruppi di studio, saggi divulgativi, mostre artistiche. Tolkien oggi è un autore al tempo stesso popolare e colto, che rimette in discussione parecchi confini e categorizzazioni nella letteratura.

Nonostante si provi a non politicizzare questo scrittore, c’è sempre una parte politica che cerca di appropriarsene facendolo diventare “paladino di…”, secondo te perché?

La parte politica è più o meno sempre la stessa, da decenni. Credo che la ragione risieda nel vecchio imprinting degli anni Settanta, quando una parte della destra neofascista di allora si innamorò del Signore degli Anelli, un romanzo che era già stato “impacchettato” in un certo modo dal suo secondo editore italiano, all’interno di un progetto politico-culturale orientato. Perché Tolkien piuttosto che un altro autore? Prima di tutto perché Tolkien uomo non era certo un progressista, anzi, piuttosto un conservatore, e questo ovviamente si riflette nella sua narrativa. Ma soprattutto perché è un autore a lungo snobbato dalla critica letteraria, un outsider che è diventato famoso malgrado l’avversione dell’establishment culturale di impostazione progressista. Quindi per certi versi è un candidato perfetto per essere arruolato in una battaglia culturale dalla destra.

Perché questo governo ha deciso di celebrare i 50 anni dalla morte di J.R.R. Tolkien con una mostra promossa dal Ministero della Cultura, con relativa spesa a carico dei contribuenti?

Credo soprattutto perché la premier Meloni è una sincera appassionata de Il Signore degli Anelli, lo ha sempre detto, e così il ministro Sangiuliano. Adesso che sono al governo e possono decidere come investire i soldi di tutti, hanno scelto di stanziare duecentocinquantamila euro del ministero della cultura per una mostra celebrativa su Tolkien, che verrà inaugurata dalla premier in persona. Una cosa che nessun altro esecutivo avrebbe fatto, credo. Così Tolkien da outsider diventa un autore sponsorizzato e finanziato dal governo. È un cambiamento di status che gli mette un bel cappello politico e gli fornisce un bollino istituzionale. Ma fortunatamente la sua narrativa rimarrà sempre sfuggente a qualunque abbraccio da parte dei politici e delle istituzioni e continuerà a vivere della spontaneità del fandom.

The Guardian in merito a questo evento scrive: «Cosa sta cercando di ottenere questo governo imprimendo il proprio marchio in modo così aggressivo su una delle saghe fantasy più amate al mondo?». 

Non c’è bisogno di cercare chissà quali secondi fini, evidentemente il governo ritiene che l’opera di Tolkien sia portatrice di una visione che condivide. È una motivazione più che sufficiente. Ovviamente si tratta di un’autonarrazione diversiva del potere, che quasi mai coincide con l’agire pratico. Anzi, tanto più si esaltano certe visioni quanto più nella dura realtà ce ne si distanzia. Pensiamo per esempio a un tema portante nella narrativa tolkieniana come l’importanza della cura del paesaggio e dell’ambiente, la critica alla devastazione del territorio e al suo sfruttamento indiscriminato. Pensiamo ai fumi che si alzano sulla desolazione di Mordor, alla rabbia degli Ent per i loro simili abbattuti dagli Orchi, o a Sam che dopo la liberazione della Contea demolisce il mulino inquinante e gli orrendi edifici costruiti da Saruman e ripianta gli alberi. Poi pensiamo al finanziamento del ponte sullo Stretto di Messina, all’appoggio al progetto TAV in Val Susa, che dovrebbe sventrare una valle e una montagna per farci passare un inutile treno superveloce, e in generale all’approvazione di tutte le “grandi opere” che ricopriranno ancora di più il nostro paese di cemento e asfalto. Magari al governo ci fosse una classe politica che si facesse ispirare dalle storie di Tolkien e invertisse la tendenza. Di certo non è quella attuale e all’orizzonte non se ne vede nemmeno l’ombra.

Sul quotidiano “Libero” sei stato accusato di “appropriazione indebita” per il tuo saggio Difendere la Terra di Mezzo, ripubblicato da Bompiani, perché sostieni che Tolkien sia troppo universale per essere rinchiuso in una nicchia identitaria.

Un ateo non dovrebbe occuparsi di Manzoni, C.S. Lewis, Eliot? Chi ha una formazione di sinistra non dovrebbe apprezzare autori come Conrad, Céline, Borges? Sarebbe una cosa assurda da sostenere. Perché quindi Tolkien dovrebbe fare eccezione? Quello che rivendico nel mio saggio è che questo autore merita la stessa attenzione dei grandi della letteratura occidentale. Per farlo ovviamente smonto le letture strumentali, e miserrime sul piano critico-letterario, che una certa compagine politico-culturale ha sostenuto per anni. Questa non è un’appropriazione, ma piuttosto una liberazione di Tolkien dalla nicchia tutta italiana nella quale era rimasto prigioniero per troppo tempo. Giustamente chi voleva tenerlo chiuso là dentro vede il libro come fumo negli occhi. Ci sta.

Quali sono secondo te i valori che Tolkien vorrebbe che si portassero avanti grazie ai suoi scritti?

Tolkien ha ribadito a più riprese di non avere proprio niente da insegnare e di non voler predicare alcunché. Raccontava storie, costruiva mondi, inventava miti. Questo voleva fare, non era uno scrittore propagandistico o apologetico. Ovviamente in quelle storie si riscontrano valori che attingono al suo bagaglio culturale e alla sua formazione cristiano-cattolica. Pietà, umiltà, provvidenza, speranza, carità. Sono tutte virtù che si trovano nella sua narrativa. Ma questa non è un manifesto etico-religioso, Tolkien non ha mai voluto che lo fosse o lo diventasse, lo dice a chiare lettere nei suoi scritti privati. Come non ha mai voluto che la sua formazione personale o la sua biografia venissero anteposte alla sua opera, perché pensava che questo approccio facesse un pessimo servizio alla letteratura. E aveva ragione da vendere.

L’opera tolkieniana sono decenni che viene definita di moda, ma le mode sono passeggere e fugaci, invece Tolkien con i suoi libri è sempre “in prima linea”. I suoi scritti ispirano giochi da tavolo e di ruolo, dipinti, fumetti, film, serie tv e videogiochi, segno che l’autore con i suoi testi riesce a viaggiare parallelo ad ogni momento storico.

Una moda che non è passeggera semplicemente non è una moda. Per molto tempo la critica paludata ha tentato – e in parte ancora tenta – di tenere Tolkien fuori dal suo raggio d’interesse, attribuendo il suo successo duraturo al fenomeno culturale, al fandom, alle opere derivate, ecc. Ma la verità è che se un’opera letteraria produce tutto questo nell’arco di decenni, non può essere né effimera né insignificante sul piano squisitamente narrativo. Dietro al fenomeno culturale c’è un grande racconto, mitopoiesi ai più alti livelli. E ci sono opere propriamente letterarie. Non si può fingere che non sia così.

Tutti le illustrazioni sono a cura di Ivan Cavini©

Il 30 agosto, a pochi giorni dal cinquantennale della morte di J.R.R. Tolkien, la nuova edizione riveduta e corretta di Difendere la Terra di Mezzo, il saggio monografico di Wu Ming 4, uscito per la prima volta nel 2013 per i tipi di Odoya, e oggi riproposto da Bompiani.

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