Loki 2, il finale della serie Marvel ci ricorda l’importanza della “visione d’insieme”

Loki 2

Ciò che ha reso il Marvel Cinematic Universe in grado di indirizzare l’intera corrente cinematografica pop nordamericana, “salvando le sale” (espressione che chi scrive ha sempre trovato meravigliosamente rassicurante) in tempi di COVID e creando con il genere supereroistico un solco nella memoria collettiva come in passato solo il western, non sono le trovate di marketing, le storie o i personaggi, ma la visione d’insieme. Quella che i critici seri chiamano, giustamente, “la linea editoriale”, all’interno della quale si pone l’intero universo narrativo, composto a sua volta da archi e storie singole. Ciò che quindi allo spettatore serve per sentirsi legato ad un immaginario del genere (che dall’arrivo delle serie chiede uno sforzo di visione ancora maggiore) è avere sempre l’impressione di essere all’interno di una rete coerente e indirizzata. L’idea del Multiverso era quindi incredibilmente intrigante, ma anche incredibilmente pericolosa, perché poteva arricchirla, ma anche sfilacciarla. Nella Fase 5 l’MCU ha dato l’impressione di averla sfilacciata, fino ad oggi.

Loki, il cui finale della seconda stagione è andato in onda su Disney+ nella notte del 10 novembre 2023, ha sempre dato l’impressione di essere un’operazione con un senso diverso rispetto alle precedenti. Perché, con buona pace di WandaVision, la miglior serie Marvel da tanti punti di vista, il titolo dedicato al Dio dell’Inganno è stato l’unico ad aver restituito allo spettatore il sentore di essere dentro un arco narrativo più ampio incentrato sul Multiverso. In altre parole, restituendo la “visione d’insieme”.

L’idea del Multiverso era quindi incredibilmente intrigante, ma anche incredibilmente pericolosa, perché poteva arricchirla, ma anche smarrirla.

Oltre ad un’estetica riconoscibilissima e funzionale (fattore che le serie MCU hanno comunque sempre avuto, più o meno) la creatura ideata da Michael Waldron e con protagonisti Tom Hiddleston, Sophia Di Martino, Owen Wilson, Gug Mbatha-Raw, Jonathan Majors e Ke Huy Quan ha avuto di adoperare il core del nuovo atto Marvel non solo sotto forma di trovate narrative, ma anche come funzione meta, in grado di rompere qualsiasi parete della linea editoriale precedentemente dogmatica e permettendo allo spettatore, per esempio, di esplorare non solo altre dimensioni, ma altri tempi e quindi altre versioni. Un discorso che parte da Avengers: Endgame, ma che dopo, tolto qualcosa in Doctor Strange in the Multiverse of Madness non è mai stato adoperato in modo integrato e funzionale.

Una potenzialità creativa moltiplicata, che però ha necessariamente bisogno di essere inquadrata e indirizzata. Ecco, quello che vediamo nel finale di Loki 2 è il compiersi di un aggiustamento, una risintonizzazione di questo marasma fatto di miriadi di potenziali storie e sentieri che se non indirizzato al meglio potrebbe creare solamente una grande dispersione. Il male della Fase 5, no? L’abbiamo detto anche prima!

Colui che Rimane se n’è andato

La seconda stagione di Loki comincia con il vuoto lasciato da Colui che Rimane, una delle varianti di Kang (forse esaurendo il desiderio attuale dei vertici dei Marvel Studios), e con la necessità di riparare il Telaio Temporale in modo tale che la TVA continui ad esistere e impedisca all’apocalittica Guerra del Multiverso di scatenarsi, spazzando via tutto il creato. Le solite conseguenze a cui ogni protagonista dell’MCU è chiamato a fronteggiare.

Il Dio Norreno (o ex) decide quindi di andare a trovare Sylvie (Di Martino) per poi lanciarsi all’inseguimento di Miss Minutes e Ravonna (Mbatha-Raw) che vogliono trovare un’altra variante di Kang per costruirsi un loro nuovo controllore alla Fine del Tempo fai da te e tenersi la TVA tutta per loro, tornando a negare il libero arbitrio ad ogni sfortunato posto al suo interno e tagliare ogni ramificazione in modo che il solo tempo che esista sia quello della Sacra Linea Temporale. Insomma vogliono tornare indietro e azzerare tutto.

Le solite conseguenze a cui ogni protagonista dell’MCU è chiamato a fronteggiare.

Loki 2

Questo altro Kang si chiama Victor Timely (Majors), uno scienziato truffaldino di fine ‘800 già con una sapienza enorme, tale da poter essere necessario sia al team delle dark ladies che a quello di Loki (Hiddleston) e Mobius (Wilson), i quali devono accaparrarselo per riparare il diabolico marchingegno che sembra rispondere solamente al suo legittimo inventore, ovvero Colui che Rimane, che non c’è più.

E se non funzionasse neanche questa soluzione? Se ormai fosse troppo tardi per riuscire a ripristinare un flusso temporale gestibile? Se la TVA fosse destinata a scomparire e l’unico modo per uscire è che il corrispettivo di Timely torni, con tutto ciò che ne consegue? Solo un Dio può uscire da questo empasse, a patto che non sia un ex.

Un nuovo inizio?

La direzione che Loki segue e con la quale riesce ad imbrigliare la vivacità difficilmente contenibile del Multiverso è quella della storia di formazione del suo protagonista, al quale viene riservato il posto che ha sempre voluto tra il gota dei protagonisti del Marvel Cinematic Universe. Finalmente, tra l’altro, dato che il personaggio con il volto di Hiddleston gira ormai da 12 anni.

Questo arco diviso in due fasi distinte e ben ordinate (inizio, turning point alla fine della prima stagione, scontro con il cattivo e poi trasformazione finale) riesce a raccordare in modo molto chiaro il percorso personale e quello della trama, riuscendo a ricomporre una frattura che si era creata con lo spettatore passando per un allacciamento tra dimensione micro e macro. Nel maturare Loki aggiusta il tiro dell’Universo Cinematografico in cui vive, trovando conseguentemente anche il suo posto all’interno di esso.

Finalmente, tra l’altro, dato che il personaggio con il volto di Hiddleston gira ormai da 12 anni.

Loki 2

La soluzione finale è veramente interessante da un punto di vista semantico perché lascia presupporre l’idea di un possibile nuovo inizio della Fase 5 partendo, tra l’altro, da un grande atto di volontà, che era ciò che ha mosso tutti i grandi snodi della narrazione Marvel. D’altro canto c’è anche da dire come sia una nuova testimonianza di una certa discrepanza tra le componenti dello Universe, dato che in contemporanea alla messa in onda dell’episodio conclusivo della serie di cui stiamo parlando c’è stata l’uscita in salta di The Marvels (qui la nostra recensione), che è invece un ennesimo prodotto fatto con il pilota automatico.

Messa da parte la bontà della componente di scrittura, c’è anche da dire che Loki 2 riscopre anche una certa anima tipica dei lavori della Casa delle Idee, grazie ad un climax altamente spettacolare in grado di raggiungere un nuovo momento di epicità, dopo aver ripreso in mano quello che ha fatto le fortune dei grandi eventi collettivi: il lavoro di squadra. Sono le relazioni (tra personaggi, tempi, film, serie, dimensioni) a creare il world building, sia livello narrativo che emotivo, e non potrebbe essere altrimenti in un immaginario cinematografico che ha il suo asso nella manica nella visione d’insieme.

La seconda stagione di Loki è interamente disponibile su Disney+.

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